VIDEO Un Charlie Chaplin memorabile nel film Il Grande Dittatore
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Oggi vi consigliamo un film imperdibile del regista russo Nikita Mikhalkov. Un ragazzo ceceno, accusato di aver ucciso il padre adottivo, ex ufficiale dell’esercito russo. Dodici giurati chiusi in una scuola a deciderne il destino. Dovrebbe essere una scelta facile, ma non tutti se la sentono di decidere in cinque minuti il destino di un giovane, così veniamo trascinati in un grande ritratto della Russia contemporanea, raccontata attraverso i volti e le storie dei giurati. Sullo sfondo, i flashback del giovane imputato in una terra, la Cecenia, martoriata dalla violenza. Lo stile è quasi teatrale, con delle interpretazioni forti, coinvolgenti e capaci di tenere accesa la vostra attenzione anche alla seconda o alla terza visione dell’opera (presente!). Candidato nel 2008 all’Oscar come miglior film straniero, il film non è solo emozionante, non è solo un ritratto della Russia, dei Moscoviti, né un racconto della questione cecena, ma – a chiunque sia disposto ad ascoltarlo – il regista pone una domanda sui limiti della giustizia umana (o dell’uomo onesto). Vi lascio il trailer, ma se volete un consiglio, saltatelo e andate a vedere il film!
Il film, ambientato nel 1841, racconta la storia vera di Solomon Northup, uomo libero di Saratoga (New York), rapito, privato della sua identità e trasformato in uno schiavo per dodici anni, passati per la maggior parte nella piantagione del “padrone Epps” (Michael Fassbender – Bastardi senza gloria, X-Men – l’inizio, Prometheus, The counselor) Vincitore di tre premi Oscar, meritatissimi, come miglior film, miglior sceneggiatura non originale (John Ridley) e miglior attrice non protagonista (Lupita Nyong’o alias Patsey), il film è uscito nelle sale a fine febbraio e si è inserito in un filone di film americani che hanno trattato in modo molto diverso lo stesso tema: la schiavitù. Gli indimenticabili predecessori – davvero se non li avete visti rimediate immediatamente! – sono Lincoln (2012 – Steven Spielberg), che racconta le ultime fasi della guerra di secessione americana e particolarmente della lotta per l’approvazione del XIII emendamento della Costituzione (che abolì definitivamente la schiavitù), e Django Unchained (2012 – Quentin Tarantino), omaggio all’omonimo del 1966 di Sergio Corbucci, che racconta invece la storia di Django, schiavo liberato da un cacciatore di taglie (il Dr. Schulz) per riconoscere i fratelli Brittle (ricercati), che diventa cacciatore di taglie al fianco del suo liberatore, con l’obiettivo ultimo di ritrovare la moglie, Broomhilda. I tre film sono profondamente diversi, ma il confronto viene naturale. 12 anni schiavo condivide con Lincoln la storicità e veridicità della storia narrata, tratta dalle stesse memorie di Solomon Northup, ma il collegamento con Django Unchained è più diretto e il paragone è più immediato. Entrambi narrano la storia di due uomini – due nigger – eccezionali: nel film di Tarantino, Django viene definito “un negro come ce ne sono uno su un milione” e Solomon Northup si fa notare dai propri padroni – sempre con conseguenze infauste – proprio grazie alle sue capacità, frutto di una vita come lavoratore libero, prima, e artista, poi. Entrambe le pellicole raccontano di due uomini che non accettano la loro condizione di schiavi, ma nei due casi le reazioni sono diverse: Solomon prova subito su di sé le conseguenze del cercare di dire la verità, quindi si rassegna a imbracciare le armi della pazienza; al contrario, Django imbraccia armi affatto metaforiche per salvare la sua Broomhilda. La differenza fondamentale tra i due film sta nel tipo di pellicola che i due registi hanno voluto produrre: le violenze del film di Tarantino, per quanto maggiori da un punto di vista quantitativo, sono così splatter da non riuscire mai a impressionarmi, la finzione in Django viene sbattuta e agitata davanti allo spettatore, tanto che è impossibile dimenticarsi che si sta guardando un film; quando si guarda 12 anni schiavo, invece, è impossibile dimenticarsi che quella rappresentata è una storia vera e la violenza quantitativamente minore, meno spettacolarizzata e più spoglia, giunge allo spettatore come uno schiaffo, di quelli dati bene. Steve McQueen non si preoccupa che il suo spettatore si ricordi che sta guardando un film, una fiction: ti sbatte in faccia la Storia a...
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