La visita ai pazienti dell’ospedale psichiatrico Sadik Dinci di Elbasan, vicino alla capitale albanese
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È del poeta nazionale albanese Naim Frashëri la frase che i Giovani per la Pace di Tirana hanno scelto per accompagnare le immagini di un Natale passato con gli anziani, con i pranzi e le feste della Comunità di Sant'Egidio.
Dal più grande ospedale psichiatrico dell'Albania alla Casa rossa, la struttura di Sant'Egidio che ospita malati psichici in alternativa al reparto psichiatrico
Da Genova e Pavia giovani volontari per donare gioia ai bambini e ai malati di Elbasan
Signor Presidente della Repubblica, Beatitudine, Illustri leader religiosi, Cari amici, sono contento che questo nostro incontro internazionale si tenga a Tirana. Ringrazio in modo particolare il Presidente, il Primo Ministro e le autorità albanesi, mentre ricordo come le religioni dell’Albania hanno voluto questo convegno con determinazione. Questo è uno dei motivi per cui siamo qui: l’Albania è un paese plurale dal punto di vista religioso. Musulmani sunniti, cristiani ortodossi, cattolici, bektashi vivono insieme. E’ l’eredità della storia di questo paese. Non un resto del passato. Vivere insieme tra diversi é ormai la condizione di tantissime società del mondo. Non esistono più società omogenee senza l’altro. Nessuna società è un’isola. Vivere insieme tra diversi crea problemi, ma è una condizione ricca umanamente che spinge al dialogo quotidiano. E’ l’Albania: terra del vivere insieme. Eppure questo paese è stato ferito in profondità. Negli anni bui dopo la seconda guerra mondiale, fu la terra del “comunismo realizzato”. Ogni libertà, particolarità, diversità, fu interdetta. Anche la religione, tanto che nel 1967 l’Albania fu proclamata primo Stato integralmente ateo del mondo. Ogni atto religioso era proibito e duramente punito. In quegli anni, libertà, coscienza, fede significarono il martirio di molti. Questa è una terra di martiri. Non è un caso che a Durazzo finiscano nella stessa prigione e nella stessa tomba il muftì, Mustafà Varoshi e l’arcivescovo cattolico Prendushi. Secondo Amnesty International, ancora nel 1991, erano aperti ben 31 lager in Albania. Gjovalin Zezaj, caro amico sopravvissuto al gulag, ha raccontato: “è entrato un prigioniero, sostenuto a braccia, sembrava l’avessero torturato molto, perché non poteva stare in piedi e tra i denti lo sentii dire: Qui è veramente l’inferno”. Sì, un inferno. L’Albania era chiusa alle frontiere. Avevano pure chiuso lo spazio del cielo e della coscienza. Gli albanesi hanno tanto sofferto in più di quarant’anni di regime. Sembra una storia lontana. Io stesso ho conosciuto quel mondo –negli anni Ottanta. Era grigio, chiuso, violento. A ripensarci, oggi, sembra impensabile, impossibile, un simile sistema di vita. Quasi un brutto sogno, anzi un incubo della storia. Invece è esistito. Ancora negli anni Ottanta, il regime sembrava forte senza varchi di libertà e cambiamento. Sembrava destinato a durare a lungo. Invece, tutto è cambiato. Ricordo i giorni entusiasti della conquista della libertà. La storia è piena di sorprese, magari dopo periodi chiusi, bloccati, oscuri. Questa è una lezione di speranza, anche oggi in un tempo di rassegnazione di fronte a tante situazioni, insopportabili e inumane, in cui dominano guerre e violenza. Abbiamo voluto in Albania questo incontro nello spirito di Assisi tra diverse religioni, umanisti, laici, gente pensosa. Perché questa è una terra del vivere in pace tra diversi; perché questa terra ha una storia di martirio e di ricerca della libertà. E anche perché la Comunità di Sant’Egidio è vicina da decenni all’Albania con simpatia per la sua gente, con impegno concreto, considerandola una parte integrante dell’Europa. Crediamo che ci sia bisogno dello spirito di Assisi. Questo spirito nasce dal grande incontro, voluto nel 1986,...
Recita un antico proverbio albanese, che, quando l’ospite varca la soglia di una casa in questo Paese, verrà sempre ricevuto con «il pane, il sale e un cuore puro». L’esperienza di amicizia della Comunità di Sant’Egidio con l’Albania è esattamente questa: quella di chi, dalla fine del regime di Enver Hoxa, viene accolto in questa terra bella e ferita e sente di entrare in contatto con il cuore più intimo della sua gente. A un anno dalla preghiera per la pace di Tirana, quaranta universitari di Genova e Cuneo hanno raggiunto il Nord dell’Albania per una settimana di incontri e amicizia con bambini, giovani e detenuti. In questi villaggi – periferia della periferia d’Europa – i Giovani per la pace hanno voluto continuare ad affermare che la pace è sempre possibile: con le parole, ma anche con la fedeltà di un’amicizia che non viene meno. A guidare questi giorni nel Paese più giovane del continente, le parole che papa Francesco ha pronunciato a luglio ai giovani riuniti in Polonia per la Gmg: «non siamo venuti al mondo per “vegetare”, per passarcela comodamente, per fare della vita un divano che ci addormenti; al contrario, siamo venuti per un’altra cosa, per lasciare un’impronta». La prima “impronta di misericordia” è stata la Scuola della Pace che, come avviene da molti anni, ha coinvolto circa duecento bambini e ragazzi di alcuni villaggi nel distretto di Lezhe (Shënkoll, Barbullojë, Malecaj e Shkembi i Kuq) con una visita da parte della Comunità di Sant’Egidio di Scutari. Di fronte alla povertà delle famiglie, alla violenza, all’assenza di prospettive di molti giovani, la Scuola della Pace non è stata solo la proposta di uno spazio accogliente, ma anche un’occasione per affermare che è sempre possibile – per tutti – scegliere la pace anziché la violenza, la solidarietà anziché l’egoismo, di migliorare il proprio paese anziché fuggire. Commosso dalla fedeltà di questi amici italiani, Florin, giovane cresciuto a Kamp, il campo di prigionia del regime utilizzato in questi anni da dormitorio dalle famiglie scese dalle montagne, lo ha spiegato con parole chiarissime «senza la Comunità, la mia vita non sarebbe stata la stessa». Passando di casa in casa sono stati tanti gli incontri: con la sofferenza, la malattia, ma anche con il desiderio di dialogare e di sperare ancora. Per questo, in ogni villaggio, decine di adulti hanno partecipato ad un incontro sulla misericordia e a una preghiera per la pace in cui si è ricordata la Siria e tutti i paesi colpiti da guerra, violenza e terrorismo. A conclusione della settimana, una festa in ogni villaggio, per sperimentare l’arte impegnativa ed entusiasmante di vivere insieme. Un’altra impronta di misericordia è stata la visita ai detenuti del carcere di Shënkoll. Parlare di misericordia e perdono a uomini induriti dalla detenzione e in un Paese in cui la cultura della vendetta condiziona ancora pesantemente la mentalità di molti non è stato semplice, ma si è rivelato decisivo: guidati dai missionari rogazionisti – che hanno la cura pastorale della...
Siamo pronti a partire, con una nave carica di sogni, la Bari- Durazzo, tutti con un’unica direzione Tirana, città a cui tanti di noi sono legatissimi. A Tirana si parlerà, si sognerà, si farà PACE! Perché la pace è sempre possibile, anche in questi anni in cui sembra essersi smarrita, in cui i nostri occhi sono pieni del male di guerre senza fine, di stragi senza età di violenza. Serve tornare a sognare la pace, e le religioni in questo hanno un ruolo cruciale. Seguiteci su questo blog, sulla nostra pagina, sin dalla partenza, seguiremo il suono emozionante di religioni, uomini spirituali, leader e gente comune, uniti per la pace, tutti insieme per dire che #peaceispossible. Seguiremo le conferenze che si terranno dal 6 all’8 Settembre, ve ne renderemo conto, vi offriremo le immagini di un mondo multicolore e unito! Ecco l’appello di Pace della preghiera per la pace tenutasi ad Anversa nel 2014! Buona lettura e costruiamo insieme un mondo di Pace! APPELLO DI PACE 2014 APPELLO DI PACE Donne e uomini di religione diversa ci siamo riuniti su invito della Comunità di Sant’Egidio ad Anversa, nel cuore dell’Europa. In una terra che ha subito l’orrore della Grande Guerra Europea e Mondiale, un secolo fa. Ci inchiniamo alla memoria dei tanti caduti e ripetiamo: Mai più la guerra! Oggi invece la guerra è tornata sul suolo europeo, travolge convivenze millenarie in altre terre, fa soffrire troppi. Abbiamo ascoltato la preghiera di milioni di profughi e fuggiaschi, di chi chiede di non morire di fame e di sete, di malattie curabili in altre parti del mondo. La richiesta di dignità dei poveri, il bisogno di giustizia di popoli, le periferie del mondo. Il mondo ha avuto grandi possibilità e tempo per costruire la pace, per accorciare le distanze, per prevenire i conflitti, prima che le crisi diventassero troppo grandi. Il mondo ha perso però tante occasioni. Ma ora è tempo di decisione, non di rassegnazione. La guerra e la violenza in tante parti del mondo vogliono riscrivere i confini, le forme di vita, il modo in cui guardiamo all’altro. Il mondo rischia di perdere il senso di un destino comune proprio mentre è diventato globale. Ci sono malattie profonde che rendono tutto difficile: la divisione e la rassegnazione attraversano e indeboliscono tanti: le comunità religiose, la politica, gli assetti e le istituzioni internazionali. Le religioni sono chiamate a interrogarsi: hanno saputo dare un’anima alla ricerca di un destino comune o sono state catturate in una logica conflittuale? Ma le religioni possono molto: dare cuore e anima alla ricerca della pace come destino comune di tutti i popoli. Ci assumiamo oggi la responsabilità della pace quando troppo pochi sognano la pace. Le religioni dicono oggi con più forza di ieri: non c’è guerra santa; l’eliminazione dell’altro in nome di Dio è sempre blasfema. L’eliminazione dell’altro, usando il nome di Dio, è solo orrore e terrore. Accecati dall’odio, ci si allontana in questo modo dalla religione pura e si distrugge quella religione...
Volando verso Tirana ho tentato di imparare le più elementari frasi da utilizzare in terra albanese: ciao, grazie, come ti chiami, come stai…la mia memoria purtroppo non mi ha aiutato, al controllo del passaporto ho bisbigliato “buonasera”. Secondo problema: il caldo. Alle 8 di mattina la temperatura ricorda quella del pomeriggio italiano, fortunatamente la nostra casa è munita di aria condizionata. Nel viaggio verso la “casa rossa” ci informiamo sull’Albania. Gli Albanesi sono circa 3 milioni, dei quali un milione vive nella capitale, i rimanenti 2 milioni sono divisi tra gli altri centri e piccoli paesi e infine una parte risiede all’estero. Il territorio è prevalentemente montuoso, Tirana stessa ne è circondata, in particolare il Dajti, che domina sulla città. Spesso si vedono case non finite: si aspettano i soldi delle rimesse dei figli emigrati, ma non sempre arrivano e quindi questa tipologia di casa è diffusissima. Arrivando a Tirana ecco un hotel, grandioso, in stile neoclassico e appena finito: il contrasto con le case precedenti è brutale, ma anche questa è Albania. I bunker costruiti durante la dittatura di Enver Hoxha (dal 1946 al 1985) sono quasi del tutto scomparsi, le strade sono abbellite con alberi giovanissimi: alla caduta del regime comunista nel 1991 lo stato crollò completamente con tutti i suoi servizi, compreso il riscaldamento, e per scaldare le case si tagliavano molti alberi. La piazza centrale è circondata da palazzi in stile fascista, memoria dell’occupazione: l’Opera, il Museo di Storia Nazionale, alcuni ministeri. Al centro la statua di Scanderbeg, l’eroe nazionale che guidò la rivolta contro i Turchi, ha sostituito quella di Enver Hoxha, abbattuta dal popolo. La casa rossa ospita 16 persone al piano terreno, diviso in due parti: la “casa 1” con 10 persone e la “casa 2” con le restanti 6. Nel 2012 la struttura ha aperto le porte agli amici dell’ospedale psichiatrico, che qui sono seguiti come persone, non come carcerati. Ognuno di loro ha una storia complicata alle spalle, ma adesso è felice e lo dimostra anche solo col sorriso o lo sguardo. Il nostro compito era di far loro compagnia e aiutarli: una mattina mentre in casa 1 si facevano esercizi nel cortile nella casa 2 si faceva la barba. Altre volte li abbiamo accompagnati a prendere un kafe al bar, dove poi si passava buona parte della mattinata a parlare. L’uscita è molto attesa perché li porta nel mondo, dove possono sentirsi, almeno per un po’, completamente liberi. Le sbarre dell’ospedale non ci sono più, ma ci sono quelle rimaste dentro. Molto apprezzati i canti popolari albanesi e italiani e i momenti ludici: il domino, gli scacchi, un pomeriggio si sono molto divertiti con un grande memory. Si sono fatte parecchie gite, al grande Parco Nazionale di Tirana, al castello di Petrela, con una bella vista sulla città, sul Dajti per trascorrere una bellissima giornata al fresco della montagna. Per il gruppo della Comunità di Torino c’è stata anche l’occasione di visitare altri amici ad Elbasani e Scutari. Nella...
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