Il nostro viaggio in Mozambico ci ha dato grande emozione. La maggior parte del tempo la trascorriamo al centro nutrizionale di Matola dove ogni giorno giochiamo, balliamo, cuciniamo con la gioia nel cuore e la voglia di essere insieme. Ma una mattinata abbiamo voluto dedicarla ai luoghi di Dream. Quando sentiamo parlare di Dream pensiamo sempre a qualcosa di grande e non ci sbagliamo. Dream é qualcosa di grande! Gli occhi delle persone in attesa al centro di Machava, il primo centro aperto in Mozambico, non si dimenticano, raccontano di quanto questa eccellenza scientifica continui a salvare vite. Le attiviste ci testimoniano di quante ne ha salvate in passato, il centro di Matola 2 per la prevenzione della trasmissione verticale, ci dice quante vite nuove salverà ancora, grazie alla cura che somministrano alle donne sieropositive incinte. Il dato più bello ad oggi é che nell’ ultimo anno tutti i bambini sono nati sani grazie a questo trattamento! Dream è stato e sarà vita. La forza di questo progetto e delle persone che ci lavorano somiglia tanto ad un miracolo, un miracolo di umanità, attenzione, dedizione. C’ é negli occhi di tutti la voglia di salvare, di non dimenticare, di non dover dire che ormai é troppo tardi. Dream da coraggio e insegna che il cambiamento parte dall’ attenzione per la vita di ognuno. Giovani per la Pace di Napoli
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Viaggiando per l’Africa si ha la possibilità di conoscere molti dei suoi volti; a partire dalle sue riserve naturali, che regalano paesaggi esotici e cinematografici. Ma in Mozambico, nonostante la natura regali viste mozzafiato al fortunato viaggiatore, una particolare attenzione va riservata a Beira, e ai volti dei bambini del Centro Nutrizionale di Beira. Personalmente, amo pensare all’Africa con il volto di un bambino in particolare, un bambino la cui storia è dolorosa proprio come tanti altri bambini di strada. Ernesto è stato uno dei primi bambini che noi Giovani per la pace abbiamo conosciuto il primo giorno al centro nutrizionale della Comunità di Sant’Egidio. È impossibile non notare immediatamente il sorriso di Ernesto: pieno, radioso, capace di coinvolgere anche i suoi occhi spiritosi. Nonostante il suo sorriso contagioso, la storia di Ernesto è una delle più tragiche che io abbia sentito. Inseme al suo fratellino, Ernesto si è ritrovato in mezzo a una strada da un giorno all’altro circa un anno fa. Dopo la morte del padre infatti, Ernesto e suo fratello si sono ritrovati a convivere con la madre e con il suo nuovo marito. Ma come purtroppo succede succede fin troppo spesso qui a Beira ( ascoltando le storie di molti atri bambini), pare che il patrigno abbia ben presto cominciato a picchiare lui e il fratello . La situazione si è resa ben presto insopportabile, a tal punto da costringere la madre a mandare via i propri figli. Personalmente non me la sento di giudicare la madre, né la sua “scelta” di continuare a vivere a fianco di un mostro simile (soprattutto in un paese in cui l’emancipazione femminile è del tutto assente, salvando qualche raro caso), lasciando andare via i suoi figli. Così Ernesto è finito per strada insieme al fratello. Dormono in un piazzale, vengono “protetti” da un ragazzo di strada più grande in cambio di soldi che racimolano con le elemosina. Il centro nutrizionale è stata la salvezza di tanti bambini come Ernesto, bimbi di strada con storie tragiche che hanno trovato nel centro non solo un pasto garantito per ogni giorno, ma anche punti di rifefimento per la vita come le attiviste del progetto DREAm che lavorano presso il centro. Donne dotate di straordinario coraggio (che definirei senza esitazione come l’orgoglio del genere femminile ), che hanno deciso in qualche modo di adottare tutti questi bambini bisognosi di cibo, cure, ma soprattutto di affetto. È stato senza dubbio difficile lasciare Ernesto alla fine di questo viaggio, specie dopo aver sentito uscire dalla sua bocca la parola “mamma” ( o MADA, in dialetto) rivolgendosi a me: per il momento stiamo cercando in tutti i modi di far luce su cosa sia rffettivamente successo a casa di Ernesto, sperando di instaurare un dialogo pacifico con la madre e il patrigno, nella speranza che Ernesto e suo fratello possano tornare a casa ( che è senza dubbio un’alternativa migliore della strada ). Nel frattempo ciò che io -e che ognuno di noi – possiamo...
A come Africa, A come anziani, A come amici! Non un semplice gioco di parole il pomeriggio trascorso fra gli amici anziani dell’Istituto Brignole e alcuni giovani liceali da poco rientrati dal Malawi! Immagini e racconti della loro esperienza vissuta con i fratelli della Comunità a Blantyre: scuola della pace, centro nutrizionale e tanti, tantissimi giovani amici! I nostri anziani sono stati colpiti ed emozionati! Anna Maria ha detto: “grazie perchè quello che ci avete detto allarga i nostri interessi e le nostre preoccupazioni..noi viviamo pensando solo a poche cose, sulla nostra nuvoletta”. Franca ha confidato: “queste parole hanno colmato i miei vuoti interiori” e qualcuno ha anche proposto “adottiamo ciascuno un bambino!” . Insomma, un momento di profonda unione fra mondi apparentemente distanti ma uniti nell’ amicizia, nella fede e nello spirito della Comunità!! Un abbraccio da Genova!!
Appena arrivi al Centro Nutrizionale, che ogni giorno dà da mangiare a circa 200 bambini, li riconosci subito: sono più grandi degli altri, i primi ad arrivare e gli ultimi ad andarsene e sono stati la sorpresa di questo viaggio. Il dramma dei ragazzi di strada è molto diffuso in Africa: è il dramma di bambini e ragazzi che si trovano senza un tetto sopra la testa, senza scuola, senza protezioni, senza che qualcuno si prenda cura di loro. A Beira, in particolare, è recentemente esplosa la situazione a causa della chiusura di due orfanotrofi, che ha portato il numero dei bambini di strada a più di duecento. Spesso sono raggruppati in bande, protetti/sfruttati da qualcuno più grande e chiedono l’elemosina in punti strategici come la piazza del municipio. Da più di un mese, una trentina di loro sono stati accolti al Centro Nutrizionale, dove possono andare a farsi la doccia, lavare i vestiti, pranzare e una volta a settimana con alcuni Giovani per la Pace riprendono la scuola che la vita in strada ha interrotto. Ci hanno conquistato con la loro amicizia, la loro fedeltà, il loro essere dei bambini in dei corpi troppo grandi, così lontani dai loro coetanei italiani con il debito di un’infanzia non vissuta catapultati troppo presto in una vita difficile. Ci hanno conquistato quando a domanda “Chi è il tuo amico più grande?” Non hanno esitato a rispondere “Dio” proprio loro che magari ragioni per lamentarsi ne avrebbero più di tanti altri. L’ultimo pomeriggio lo abbiamo passato con loro a mare. Li abbiamo salutati in modo speciale perché hanno conquistato un posto grande nel nostro cuore. Io ho un grande debito con loro: il Mozambico poteva rimanere una bella esperienza di quelle che ti aprono gli occhi, ti fanno capire molte cose, ti fanno crescere, ma sono limitate nel tempo, preziose memorie da custodire con cura e gelosia. Antonio, Quinho, Gonçalves, Carlito e gli altri però non sono un’esperienza: sono miei amici e le loro storie, le loro domande sono tornate con me nella mia bella casa, dalla mia famiglia, nella mia vita bella, ora arricchita dai loro volti che so di non poter chiudere in una vetrina accanto a quelli incontrati in altri viaggi.
Voglio condividere con voi le parole che buttai giù due anni fa, sull’aereo di ritorno dal Mozambico, con la certezza che la nostra Africa, neanche quest’anno, ci deluderà. Ma soprattutto, con la consapevolezza che scopriremo altri aspetti della Comunità che ci faranno appassionare, regalandoci ancora una volta la speranza che il mondo può cambiare “Mi ero persa nella mia insicurezza, nella paura di fallire, in quella del confronto. Non mi riconoscevo piú nelle cose e nelle persone che mi circondavano e mi sentivo fuori luogo a parlare di quello che volevo fare nella vita e per la mia pretesa di cambiare il mondo. Qui mi sono ricongiunta con la mia interioritá: in ogni attimo mi sono sentita me stessa, in ogni attimo mi ripetevo che quello era il posto in cui volevo stare, mi ripetevo che quello era il MIO posto. Qui abbiamo conosciuto persone che pur non essendo ricche si sentono tali, pur essendo nullatenenti ritengono la propria vita piena di senso, la ritengono un capolavoro. Pensando all’Africa adesso la prima parola che mi viene in mente è: speranza. Una speranza dettata dalla voglia di vivere, dall’incondizionato attaccamento alla vita. Una speranza e una forza così travolgenti da arrivare nel cuore di chi le sfiora soltanto. Ma dove la trovano questa forza, la fiducia in un domani che sanno essere povero quanto loro? Nella fede, che non è solo la fede in Dio, ma la fiducia nel fatto che le cose possono cambiare, che l’Africa può cambiare se con impegno e dedizione si lavora per questo. La cosa che più mi ha colpito é il modo di approcciare la vita degli africani: vivono la vita come un dono che va difeso a tutti i costi, ma allo stesso tempo prendono le cose come vengono, senza troppe aspettative. Il dolore, le gioie, le malattie sono solo insegnamenti: con le loro saggezza mitigano le delusioni. Ho scoperto gente incredibile: li osservo e mi chiedo da quali ceneri siano rinati. La loro forza probabilmente sta tutta in quella mentalitá straordinaria e primigenia, forgiata dallo stesso magma di cui è composta la nostra buona e vecchia terra. Una mentalitá antica come il primo vagito, sopravvissuta con disinvoltura attraverso le ere barbariche e le derive della modernitá. Nel profondo di questa gente brucia una fiamma eterna che li rischiara e gli ridá vita ogni volta che le tenebre cercano di inghiottirli. Queste persone sono un grande esempio. Ridono dei loro fallimenti come di una farsa mal riuscita. Sono qui, felici di essere insieme, solidali e complici. Li invidio, invidio la loro maturitá temprata da infinite sofferenza e terribili prove, il distacco filosofico con cui vivono i drammi e le sventure, e infine i il loro senso dell’umorismo, che sembra tenere spavaldamente testa a una sorte iniqua e traditrice di cui sono riusciti a decrittare il funzionamento. Parlo di tutti loro: a cominciare dagli attivisti del centro Dream per finire alle cuoche del centro nutrizionale, passando per i Giovani per la Pace di Matola....
#Prima giornata di lavoro per i Giovani per la pace che anzitutto sono andati a conoscere “sul campo” il progetto Dream. Sono andati a visitare i centri Dream di Manga Chingussura e Praia Nova, due quartieri di Beira. Il centro di Praia Nova, più recente, è affiancato dal laboratorio che permette di processare i campioni delle analisi di routine e misurare la carica virale, senza dover mandare il materiale a Maputo (la capitale), dal Centro Nutrizionale, dove ogni giorno a turno vanno a mangiare 200/250 bambini (di cui 30 bambini di strada), dall’asilo e dalla scuola per i bambini di strada. I Giovani per la Pace hanno prima aiutato al centro nutrizionale, poi con alcuni bambini sono andati a giocare, prima del rientro alle rispettive scuole o case. Oggi invece dopo la visita al centro si sono divisi in due gruppi per visitare le due nuove scuole della pace
Succede a Siracusa pochi giorni fa: alcuni giovani Nigeriani raccontano di compagni di viaggio gettati in Libia dal quarto piano di un edificio perché non in grado di poter pagare il necessario per la tratta della salvezza; per attraversare quel fazzoletto di mare che segna il discrimine tra la morte e la speranza della vita. Emmanuel – nome e personaggio di fantasia – vola. E’ gettato nel vuoto. Sulla soglia della finestra pensa al traffico impressionante tra il residence in cui dormiva e il politecnico. Andare a lezione ? Un inferno. L’Africa non è facile di suo: con gli esami e le classi affollatissime ancora di più. Ogni mattina è la stessa routine: si legge qualche salmo, esci dalla stanza con Jacob (che sogna di progettare il marchio d’auto che farà concorrenza a quelli europei e americani), ti aggrappi sul pulmino (un balzo) e sei dentro. Chiedi la fermata e scendi – dopo aver pagato per l’ennesima volta per Jacob. Entri a lezione, un mare di gente: Innocent, Lucky, Princess e tutti gli amici sono lì. Su: al quarto piano. Il professore si asciuga la fronte, parla a voce alta, butta fuori qualcuno. E’ una lezione. Il giorno dopo stessa routine. Però succede che il cellulare squilla e a Maiduguri (o Yerwa in lingua kanuri) capitale dello stato federale di Borno 15 persone perdono la vita in un attentato. Emmanuel non entra a lezione, non vede un mare di gente: Innocent, Lucky, Princess e tutti gli amici non li vede. Jacob sta zitto perché l’unica cosa vera che vorrebbe progettare è la pace. Il professore si asciuga la fronte, parla a voce alta, butta fuori qualcuno ma non Emmanuel. E’ rimasto solo per un attentato. Torna a casa, nella sua casetta che sta giù: al terzo piano. Sulla soglia della porta di casa Emmanuel pensa a Boko Aram: impressionante. Andare a Maiduguri ? Un inferno. Impossibile se non si vuole morire. La Nigeria ultimamente non è facile: con gli attentati e i rapimenti ancora di più. Ogni mattina è la stessa routine: si legge qualche salmo in qualche Chiesa per invocare la protezione dalle violenza; si sente qualche giornale; ti aggrappi alla speranza che gli attentati finiscono e inviti i cugini rimasti a stare dentro. Questa volta però hai perso il pulmino. Chiedi della fermata a quello dopo e scendi – con la fortuna di non aver pagato per Jacob. Non entri a lezione, un mare di sangue: Innocent, Lucky, Princess e tutti gli amici saranno lì. Il poliziotto si asciuga la fronte, grida a voce alta, butta fuori tutti. Emmanuel è rimasto solo per il secondo attentato. “Degli spari – gli raccontano – venivano da dentro il politecnico esattamente dall’aula al piano di sotto”. Innocent, Lucky, Princess e tutti gli amici erano lì e Jacob insieme a loro sta zitto, per sempre, giù: al secondo piano. Sulla soglia della porta dell’autobus Emmanuel pensa a quando era piccolo: impressionante. Andare a Maiduguri ? Un gioco. Beccare una festa in famigli lì era facile:...
Una barca, un cristiano e un musulmano insieme per affrontare il mare. Una seconda volta. Due migranti, due nuovi europei, due giovani per la pace, Elias e Muhammad che vogliono dimostrare che il nostro mare, il mediterraneo è un mare di pace, di sport e di bellezza e non deve più essere il luogo dove affrontare una prova dove per tanti l’esito è la morte. Elias e Muhammad, a bordo di “ottovolante” stanno partecipando ai mondiali di vela di Barcellona, insieme ad un meraviglioso team di italiani. Noi sogniamo la vittoria, ma sicuramente accettando questa sfida dopo essere arrivati vivi in Italia nella loro “prima” traversata con un barcone, fuggendo da storie da troppi dimenticate, hanno vinto la paura, restituendo a tanti il mare, il suo senso più profondo che è la sua bellezza. In bocca al lupo ragazzi!
Basterebbe la testimonianza di Alì, giovane del Mali sopravvissuto ad una delle tante stragi del Mediterraneo, per esprimere il senso della fiaccolata di ieri. Le ingiustizie subite durante il viaggio nel deserto, in Libia e nell’estremo tentativo di raggiungere l’Italia..si estremo perché lui non voleva partire, sperava ancora di trovare un futuro sereno in Africa. Ma la guerra, la povertà e la barbara uccisione di un suo caro amico in Libia l’hanno convinto che l’unico modo per ricominciare a sperare era raggiungere l’Europa. Il racconto di Alì e di tanti altri che sono stati costretti ad abbandonare la propria terra deve far riflettere ognuno di noi per tutti i giorni che ci lamentiamo delle nostre condizioni, dei problemi( se pur veri) che attanagliano la nostra città e non la fanno respirare,pensare che una soluzione è possibile se cominciamo a voltarci verso l’altro invece di guardare solo all’ abisso del nostro Io.
Riceviamo e pubblichiamo con piacere una lettera scritta da Paulino, dei Giovani per la Pace di Manga (Mozambico) . Siamo i giovani della pace di Manga Chingussura che è un grande quartiere alla periferia della città di Beira in Mozambico, siamo insieme per aiutare i bambini a crescere e giocare nella pace e in amicizia. Abbiamo iniziato la scuola della pace sabato e sono venuti 70 bambini molto speciali… sono molto speciali perché hanno accettato con gioia di partecipare, gli piace di stare insieme e sono bambini poveri che hanno bisogno del nostro aiuto perché stanno sempre per strada abbandonati a se stessi. Abbiamo sperimentato come, fare la scuola della pace, significa dare un protezione ai piccoli ed è una buona notizia per la loro vita. Il mondo ha bisogno di giovani che stiano insieme ai bambini e che gli vogliano bene . E’ il momento di essere giovani per la pace per servire i più deboli , i bambini del nostro quartiere , del nostro paese e oltre. Noi giovani abbiamo molto da dare ai più deboli : bambini, anziani, lebbrosi, etc. perché dobbiamo dire basta a quello che si vede nel mondo: la crudeltà, il razzismo , la guerra. Noi possiamo cambiare il mondo, la nostra amicizia, il nostro amore non è poca cosa per chi ne ha bisogno. Articolo scritto da Paulino Da Silva, Giovani per la Pace Manga Chingussura, Mozambico
Una rappresentanza dei Giovani per la pace di Catania si è recata a Lampedusa, dove ha fatto visita al centro di accoglienza. La visita si inscrive in un periodo difficile poiché vi sono diversi sbarchi ma, cosa ancora più grave ci sono state, anche negli sbarchi di questi giorni, diverse vittime. Ormai non si riescono più a contare le vittime che sta portando questo tragico esodo dall’Africa all’Europa; il Mar Mediterraneo sta diventando l’Auschwitz del ventunesimo secolo, e il tutto proprio davanti ai nostri occhi. Bisogna fare qualcosa. E’impensabile che il mondo si stia abituando alla morte e legge il fenomeno drammatico dell’ immigrazione come qualcosa che non lo colpisce personalmente. Troppo sangue versato, troppe vittime, troppe vite che si consumano in mare. Bisogna rimanere umani davanti ala morte. I Giovani per la pace si sono recati a Lampedusa per conoscere e accogliere in maniera umana i migranti ma soprattutto per pregare per le vittime che ci sono state in mare in questo ultimo periodo. Giunti al centro di accoglienza i Giovani per la pace hanno conosciuto i migranti appena sbarcati, stanchi ma allo stesso tempo gioiosi poiché dopo tanto viaggiare e dopo tante difficoltà erano arrivati sani e salvi , felici per essere arrivati in Europa, anche se non sapevano bene dove, in Europa. I Giovani per la pace dopo aver conosciuto i migranti hanno ascoltato le loro storie e stanno cercando di ricostruire gli avvenimenti accaduti in mare che hanno provocato la morte di molti uomini. Non si conoscono ancora i nomi delle ultime trecento vittime, e si cerca di recuperarli parlando con i sopravvissuti. Questa è una sfida ardua ma che è stata già portata avanti dalla comunità di Sant’Egidio in passato. Ogni tre ottobre si celebra la preghiera Morire di Speranza, ricordando il nome di ogni vittima e pregando per loro. Ricordare è importante, perché è il primo modo di non accettare quello che avviene, di non passare oltre voltando lo sguardo dall’altra parte. In nomi ci ricordano che i morti non sono numeri ma uomini e donne, giovani, con delle storie, e un futuro che gli è stato strappato. La stagione che inizia è molto difficile poiché ci sono diversi sbarchi, ma alcuni giovani lampedusani hanno deciso di coltivare il sogno dei giovani per la Pace e andranno a trovare anche gli anziani in istituto, perché serve un’alleanza intergenerazionale. Bisogna coltivare questa grande amicizia con i migranti e soprattutto pregare e credere nella forza della preghiera, in particolar modo in questo periodo di Quaresima; bisogna creare ponti di Pace. C’è bisogno di cambiamento. Il mondo deve cambiare: è necessario fermare la “Globalizzazione dell’indifferenza”, perché l’indifferenza uccide e non crea società di uomini e donne rilevanti ma persone che davanti ai grandi appuntamenti con la storia girano le spalle e se ne vanno tristi. Articolo scritto da Giorgio Marino.
I Giovani per la Pace esprimono la loro costernazione per quanto sta avvenendo nel canale di Sicilia. Non si può accettare che centinaia di giovani perdano la loro vita in questo modo orribile. Chiediamo all’Italia e all’Europa di ripristinare l’operazione Mare Nostrum perché nessuno perda più la vita in cerca di pace e di un futuro migliore.
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