Leggiamo in queste ore dell’episodio che ha coinvolto l’insediamento di famiglie rom romene in via Muratori, a Cornigliano: nella notte di martedì un uomo ha sparato alcuni colpi con un fucile ad aria compressa in direzione delle roulotte. Non sappiamo i contorni di questa vicenda: le motivazioni, i particolari. Conosciamo però molto bene le famiglie che abitano accanto a villa Bombrini, che frequentiamo da anni, e in particolare in questi mesi siamo diventati amici dei bambini e dei ragazzi, che incontriamo tre volte la settimana alla Scuola della Pace, un doposcuola gratuito per i bambini di Cornigliano: abbiamo aiutato i genitori ad iscriverli a scuola, li sosteniamo nello studio e lavoriamo per costruire uno spazio di amicizia con gli altri bambini del quartiere. Spesso, il sabato mattina, li aiutiamo a farsi una doccia calda e la settimana scorsa insieme a loro e a tutti gli altri bambini della Scuola della Pace siamo stati in vacanza al mare. Anche noi, come tutti, percepiamo il clima di ostilità che circonda il popolo rom. Come tutti siamo cresciuti immersi nella paura e nel disprezzo verso gli zingari, disprezzo che sembra quasi indiscutibile nel pensiero comune del nostro Paese, che l’istituto americano Pew ha recentemente indicato come uno dei più razzisti in Europa. Ecco, trascorrere quei giorni insieme ai bambini rom ci ha molto colpito, ed ha come ribaltato tanti timori e tanti pregiudizi: dietro ai corpi magri e ai vestiti poveri, abbiamo scoperto ragazzini simpatici, intelligenti, appassionati allo studio, pieni di curiosità e di desiderio di imparare, innamorati del nostro Paese, entusiasti dell’amicizia con giovani italiani. Quei bambini sui quali si riversa il linguaggio violento e volgare dei blog o delle conversazioni sugli autobus, sono piccoli terribilmente normali nei loro atteggiamenti e nelle loro aspirazioni, del tutto uguali ai nostri fratelli minori. Ma questi bambini hanno anche paura: paura delle macchine che sfrecciano accanto alle loro roulotte, paura di chi gli può fare del male, paura di chi li disprezza o li deride senza sapere niente di loro. Poche ore dopo l’episodio degli spari, abbiamo sentito per telefono alcune famiglie del campo che ci hanno raccontato il terrore dei loro figli. Nelle loro voci, però, abbiamo anche sentito la rassegnazione di chi si è abituato alla violenza e all’umiliazione. Tramite il Secolo XIX noi vorremmo dire che questa città non è di chi spara a gente innocente. Questa città non è di chi vomita odio su qualche sito Internet, sfogando la propria frustrazione dietro la tastiera di un computer. Questa città non è nemmeno di chi ha responsabilità politiche ed insegue il consenso indicando in poche decine di povere persone la causa del degrado e della povertà di un quartiere (mentre forse il degrado nasce proprio da questa politica senza spina dorsale). Lo diciamo con umiltà, ma anche con convinzione: questa città è anche un po’ la nostra. Noi siamo cittadini genovesi, studiamo qui e qui vogliamo vivere e non ci possiamo rassegnare a vivere in un luogo in cui si permette...
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Ritorna la più grande tre giorni di giochi, divertimento e integrazione del Mediterraneo. “Tre giorni senza frontiere”, giunta quest’anno alla seconda edizione, è la prima tre giorni di giochi, integrazione e divertimento, organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio e dai Giovani per la Pace. Il nome della manifestazione racchiude in sé il significato profondo che si è voluto dare. Una tre giorni senza frontiere umane, fisiche e esistenziali che spesso sbarrano il passaggio ai sentimenti migliori, come l’amicizia, la simpatia tra persone e popoli diversi, la solidarietà, la voglia di stare insieme e fare del bene divertendosi. Le frontiere sono anche quelle che si pongono innanzi ai tanti poveri delle nostre città rendendole inumane, quelle che rendono difficile ai migranti arrivare nella terra promessa. Le frontiere che tanti migranti decidono di attraversare con una barca. Così i Giovani della Comunità di Sant’Egidio e tanti altri giovani provenienti da diverse città d’Europa, in questa seconda edizione, insieme agli oltre ad oltre 150 Giovani per la Pace che risiedono nei centri di prima e seconda accoglienza e che dedicano parte della propria settimana ad aiutare i più poveri vogliono dedicare a Catania uno spazio libero dove stare insieme, vivere una amicizia senza confini, creare una reale integrazione ed affrontare tutti insieme, come una sola grande squadra, attraverso il linguaggio universale del gioco, i temi che stanno definendo il volto dell’Europa. Italiani e migranti insieme, in questa tre giorni di giochi, vogliono dimostrare che l’accoglienza sta già diventando integrazione e che l’integrazione porta benefici per la popolazione tutta. Questi benefici sono già tangibili: infatti a Catania e nelle principali città siciliane i migranti, insieme ai giovani italiani che appartengono al movimento dei Giovani per la pace della comunità di Sant’Egidio, sono ormai da anni impegnati volontariamente in attività di servizio ai più poveri. Giovani italiani e giovani migranti si occupano del sostegno all’infanzia attraverso “La scuola della Pace”, vanno a trovare fedelmente gli anziani negli istituti oppure vanno a portare la cena ai tanti senza fissa dimora. Questa è l’evidenza di come un modello di accoglienza e di integrazione virtuoso può cambiare il volto delle nostre città e già lo sta già cambiando: infatti, sebbene la #3giornisenzafrontiere darà vita ad una avvincente battaglia agonistica tra le nostre squadre composte da italiani e migranti, proponendo prove fisiche di astuzia e di abilità, a vincere sarà solo un nuovo modello di società meno arrabbiata, più festosa, integrata e quindi sicuramente più europea. La manifestazione si svolgerà a Catania dal 9 all’11 Agosto 2015.
ISCRIVITI SUBITO A #3GiorniSenzaFrontiere, ti comunicheremo al più presto tutti i dettagli dell’iniziativa o visita il sito dell’evento
Quest’ estate noi giovani per la pace di Trieste abbiamo organizzato una colonia insieme ai bambini della scuola della pace che aiutiamo durante l’ anno. Come tema abbiamo scelto la pace e diviso i bambini in quattro squadre ognuna intitolata ad un persona differente e abbinata ad un colore: Madre Teresa di Calcutta (azzurro), Gandhi (arancione), Malala (rosso), Martin Luther King(verde). Abbiamo spiegato ai bambini chi erano questi uomini e queste donne di pace e abbiamo cercato di trasmettere loro il loro messaggio e pensiero. Assieme abbiamo poi realizzato degli oggetti rappresentativi uno diverso per ogni squadra: una matita decorata per ricordare che Madre Teresa si dichiarava come una matita nelle mano di Dio, un vasetto di sale dipinto per la marcia del sale di Gandhi, un quaderno per Malala e una maglietta con la celebre frase di Martin Luther King, I have a dream. Siamo riusciti a donare un sorriso anche a due signore anziane amiche della Comunitá, Marta e Giuseppina, che sono venute a passare un pomeriggio noi. A loro abbiamo regalato alcuni dei lavoretti fatti assieme ai bambini. Il bello della Comunitá, alla fin fine, é questo: ognuno, di qualunque etá, sesso o religione, puó trovare in essa un luogo dove sentirsi come a casa. Come al pranzo di Natale!
I bambini ci sanno portare indietro nel tempo, sanno mostrare la parte spensierata e genuina della vita, ma sanno anche essere grandi, ci sanno insegnare quanto valga la memoria. Proprio ieri i bambini delle scuole della pace di Napoli hanno partecipato anche quest’ anno alla preghiera in memoria di Violetta e Cristina, due bambine rom, morte in spiaggia qualche anno fa nell’ indifferenza totale dei bagnanti, mentre cercavano di guadagnare qualche soldo per mangiare, il caldo le spinse in mare, un mare che non conoscevano e non sapevano affrontare. Violetta e Cristina sono annegate, ma per tutti fu un giorno normale. Ecco, i bambini non sanno essere indifferenti, infatti non hanno trascorso il loro pomeriggio in spiaggia, nonostante il caldo, ma hanno ricordato due bambine come loro, che non vanno dimenticate, perché i bambini non vogliano essere dimenticati mai, proprio come i grandi che a volte dimenticano. Ieri é stato un giorno di giochi e memoria. Ieri è stato uno di quei giorni che fanno la differenza rispetto al resto. I bambini della scuola della pace fanno diverso il mondo di tutti! di Francesca Sepe
A Milano c’è stata una serata speciale: l’Iftar tra musulmani, cristiani ed ebrei, invitati dalla Comunità di Sant’ Egidio. L’Iftar è la cena che i musulmani consumano dopo il tramonto durante il mese di Ramadan. Il Ramadan è un mese importante in cui i seguaci dell’Islam si astengono da bere e mangiare dall’alba al tramonto. Dopo la preghiera serale, si rompe il digiuno bevendo latte e mangiando un dattero; infine si consuma la cena. Questa volta, però, i musulmani non hanno pregato da soli: nella chiesa a fianco i cristiani delle diverse chiese hanno fatto in contemporanea la loro preghiera. Ha commentato Mahmoud Asfa della Casa della cultura islamica di via Padova: “Quant’è bello pregare con gli amici! È un’esperienza straordinaria che ci fa crescere, per questo ringrazio i fratelli cristiani che ci invitano a rompere il digiuno a casa loro». È stata per tutti un momento familiare: si è pregato gli uni accanto agli altri, ognuno secondo la propria tradizione. Poi tutti a cena, da amici. Chi c’era? I rappresentanti delle diverse comunità islamiche di Milano ma anche singoli: da Sami, giovane kosovaro che aveva appena finito il suo lavoro come giardiniere, ai giovani ragazzi curdi; hanno portato la loro testimonianza anche alcuni profughi siriani e alcuni giovani musulmani di seconda generazione. C’erano anche alcuni rappresentanti della Comunità ebraica di Milano. In fondo è questo il nostro sogno: una città dove cadano le barriere e si possa dire che convivere è possibile! Di Elisabetta D’Agostino
Tenerezza, strano come una sola parola possa racchiudere al suo interno mille emozioni, che affiorano quando guardi qualcuno che nonostante le mille differenze, età per prima, crede in te e ti dimostra tutto il suo affetto con un semplice sguardo, generato da un dono semplice ma preziosissimo: il tempo. Quel tempo che noi dedichiamo a loro nei piccoli gesti di tutti i giorni…una passeggiata, un abbraccio, due parole, un sorriso. Quel tempo che a noi sembra così poco, in confronto a tutto quello che pensiamo di avere, ma che in realtà è davvero tanto per chi è consapevole di averne poco. Vivere alla giornata potrebbe essere la soluzione…ma perché invece non condividere il nostro tempo liberandoci dall’egoismo di tutti i giorni, presi dalle nostre faccende di routine?! E’ quello che ho provato ad Asolo, alla vacanza che noi Giovani per la Pace del Veneto abbiamo organizzato per gli anziani degli istituti, strappati per quattro giorni alla monotonia della vita, racchiusa entro quattro mura. E’ ormai il quinto anno che organizziamo questa vacanza e mi sorprendo sempre nel vedere la gioia dipinta nei volti degli anziani. E’ la mia stessa gioia di condividere il tempo con loro, di imparare dalla loro saggezza, nel vivere momenti carichi di amore che mi hanno fatto sentire a casa. Ricorderò sempre le parole di un’anziana, scritte sotto forma anonima in un foglietto che abbiamo letto durante la festa finale: “Io non conosco il dono di Dio che avete ricevuto, conosco da oggi come viene distribuito, con tanto amore, disponibilità, gioia di vivere contagiosa. Vi ringrazio tutti per la speranza che ci date per il futuro, finché c’è questa gioventù, il mondo non può finire”. Queste parole mi hanno fatto commuovere e capire che non importa quanto grande sarò, ma avrò sempre 5 anni quando riceverò una bella notizia, 10 quando mi preparerò a partire facendo la valigia, 18 quando mi prenderò qualche libertà tra le mille responsabilità, 20 quando crederò di poter cambiare il mondo, 40 anni quando mi stupirò di qualcosa a cui non prestavo più attenzione, 70 quando mi sentirò sola e vorrei tutti al mio fianco, 80 quando mi racconteranno qualcosa che non sapevo o ricordavo, 100 quando raggiungerò un traguardo che sembrava impossibile… e continuerò a vivere altre 1000 vite ogni volta che vivrò esperienze uniche come Asolo assieme a persone di tutte le età che stanno assieme come una famiglia felice ed unita. Vittoria Benfatto (Giovani per la Pace di Padova)
Dopo i momenti di xenofobia e violenza che abbiamo vissuto ieri, dopo i disordini a Roma e gli attacchi da ‘Mississippi Burning’ a Treviso, mi sono sentita abbattuta e sconfitta: umiliata per essere così idealista e ingenua da pensare che vivere insieme è possibile. Allora per combattere quella sensazione oggi avevo tutta l’intenzione di scrivere qualche riga infuocata,sciorinare dati e percentuali, dimostrare con ragionamenti rigorosi da che parte sta il torto e perché. Poi ho capito che non era questo il modo giusto, che anche io avrei così alzato la voce, provato a imporre con la violenza il mio pensiero. Il problema è che per quanto possa urlare non riuscirò mai a far cambiare idea a una persona così convinta della ragionevolezza della propria causa da brandire un’arma per difenderla. Il problema è che dati, percentuali e ragionamenti suonano giusti e perfetti alle mie orecchie perché io so: io vedo l’integrazione quasi ogni giorno e ho imparato ad associare agli sterili numeri dei nomi e dei volti. Delle persone. Ho imparato, per esempio, che l’integrazione inizia da noi, dal basso. Non possiamo aspettare che sia la società ad assestarsi, ma dobbiamo essere noi i motori del cambiamento. Per questo invece di chiedere documenti per prima cosa bisognerebbe tendere una mano e presentarsi, sperando che l’altro la stringa. Ho imparato nomi. Tanti. Tutti diversi dalla mia lingua madre. Perché imparare il nome di una persona è una forma di rispetto dovuta. È il primo passo per la conoscenza ed è quello fondamentale per iniziare un dialogo. Ho imparato a non fidarmi dei titoli sensazionalistici dei giornali, a non ripetere passivamente gli slogan dei politici, a non credere a tutti i numeri della televisione. E così ho letto. E leggendo ho imparato che il fanatismo non ha religione, che la ‘tendenza alla criminalità’ non è qualcosa che puoi rintracciare in un ceppo genetico, che la cattiva intenzione non è un fatto di cultura, che la malvivenza non è qualcosa che individui su una cartina geografica. Ho imparato che ‘straniero’ è una parola relativa e non determina uno stato, un modo di essere intrinseco della persona. Tutti sono stranieri per tutti in ogni luogo tranne che a casa propria. E se tutti si sforzassero di far sentire l’altro un po’ più a casa allora non esisterebbero più stranieri. Ho imparato che l’integrazione è un processo lungo e faticoso, che richiede impegno, ma che in cambio regala le più grosse soddisfazioni. L’ho imparato a Scuola della Pace, accanto a ogni bambino che ho visto sforzarsi su una pagina piena di parole di cui non conosceva il significato. Allora penso ai nostri bambini di Scuola della Pace, al loro modo di vivere insieme, e mi chiedo come questo sia possibile. Bambini di dieci nazionalità diverse che fanno i compiti spalla a spalla sullo stesso tavolo, giocano a palla nello stesso cortile, dividono la stessa merenda. Loro non sanno nulla di cifre e percentuali. Nessuno di loro si occupa di politica o si è mai fermato...
L’interesse incontrando il tafferuglio si mise d’accordo e guardò al diverso, l’uomo solo ed arrabbiato per i fatti suoi, così venne adescato. -Un nemico!- gli dissero- fa sempre comodo e gli spinsero in bocca un’orrida canzone che dalla gola echeggiava per le vie portando a sé timpani, sogni e speranza. Il simposio del no, canta una canzone stonatissima che fa male alle orecchie di chi ha capito che l’Europa non può prescindere dalla musica di gioia di chi arriva, ma che soprattutto infrange i cuori di chi vuole in fondo, dopo un lungo viaggio, solo trovare la pace, un valore che dimentichiamo spesso e che dovremmo generosamente offrire a chi la ama. Negare la pace è come negare la vita. Come si vive senza la pace? Gli europei non lo sanno più se non da antichi ricordi sbiaditi, i più non l’hanno sperimentato, ed i migranti non lo vogliono più sapere perché deve essere davvero tremendo. I migranti oggi ci spiegano come la pace è un valore da coltivare, ed il suo seme è l’accoglienza. Non disperdiamolo nel suono di una brutta canzone piena di “no” . Il rumore dei no è una brutta canzone, stonata, che spesso supera il suono delle parole di chi ha scelto per farsi plasmare e accarezzare il cuore dall’incontro. Ma qualcosa che si sente più forte significa forse che sia più bella? è solo più arrogante! Quanto è distante la musica dal rumore? Sogno un’Italia dove si ascolti lo djembe e la polka, e mentre la tarantella echeggia, ed il marranzano vibra una danza tribale ci fa sognare. Come uno stornello romano, come un canto maliano.
Succede a Siracusa pochi giorni fa: alcuni giovani Nigeriani raccontano di compagni di viaggio gettati in Libia dal quarto piano di un edificio perché non in grado di poter pagare il necessario per la tratta della salvezza; per attraversare quel fazzoletto di mare che segna il discrimine tra la morte e la speranza della vita. Emmanuel – nome e personaggio di fantasia – vola. E’ gettato nel vuoto. Sulla soglia della finestra pensa al traffico impressionante tra il residence in cui dormiva e il politecnico. Andare a lezione ? Un inferno. L’Africa non è facile di suo: con gli esami e le classi affollatissime ancora di più. Ogni mattina è la stessa routine: si legge qualche salmo, esci dalla stanza con Jacob (che sogna di progettare il marchio d’auto che farà concorrenza a quelli europei e americani), ti aggrappi sul pulmino (un balzo) e sei dentro. Chiedi la fermata e scendi – dopo aver pagato per l’ennesima volta per Jacob. Entri a lezione, un mare di gente: Innocent, Lucky, Princess e tutti gli amici sono lì. Su: al quarto piano. Il professore si asciuga la fronte, parla a voce alta, butta fuori qualcuno. E’ una lezione. Il giorno dopo stessa routine. Però succede che il cellulare squilla e a Maiduguri (o Yerwa in lingua kanuri) capitale dello stato federale di Borno 15 persone perdono la vita in un attentato. Emmanuel non entra a lezione, non vede un mare di gente: Innocent, Lucky, Princess e tutti gli amici non li vede. Jacob sta zitto perché l’unica cosa vera che vorrebbe progettare è la pace. Il professore si asciuga la fronte, parla a voce alta, butta fuori qualcuno ma non Emmanuel. E’ rimasto solo per un attentato. Torna a casa, nella sua casetta che sta giù: al terzo piano. Sulla soglia della porta di casa Emmanuel pensa a Boko Aram: impressionante. Andare a Maiduguri ? Un inferno. Impossibile se non si vuole morire. La Nigeria ultimamente non è facile: con gli attentati e i rapimenti ancora di più. Ogni mattina è la stessa routine: si legge qualche salmo in qualche Chiesa per invocare la protezione dalle violenza; si sente qualche giornale; ti aggrappi alla speranza che gli attentati finiscono e inviti i cugini rimasti a stare dentro. Questa volta però hai perso il pulmino. Chiedi della fermata a quello dopo e scendi – con la fortuna di non aver pagato per Jacob. Non entri a lezione, un mare di sangue: Innocent, Lucky, Princess e tutti gli amici saranno lì. Il poliziotto si asciuga la fronte, grida a voce alta, butta fuori tutti. Emmanuel è rimasto solo per il secondo attentato. “Degli spari – gli raccontano – venivano da dentro il politecnico esattamente dall’aula al piano di sotto”. Innocent, Lucky, Princess e tutti gli amici erano lì e Jacob insieme a loro sta zitto, per sempre, giù: al secondo piano. Sulla soglia della porta dell’autobus Emmanuel pensa a quando era piccolo: impressionante. Andare a Maiduguri ? Un gioco. Beccare una festa in famigli lì era facile:...
A Ramacca, i giovani per la Pace, stanno trasformando positivamente i pensieri e i pregiudizi della comunità ramacchese sui poveri, sugli anziani e sugli immigrati. Siamo giovani liceali che hanno preso l’impegno, promettendo di condividere alcuni momenti della loro vita con persone definite “emarginate” dalla comunità ramacchese. Ma entriamo nel merito. Chi sono queste persone? Sono gli anziani, ospiti di una casa di riposo di Ramacca, dove non fanno nulla l’intera giornata oltre a dialogare tra di loro. In tal modo, fanno crescere in loro la voglia di abbandonare quel luogo o nel peggiore dei casi la voglia di andare via da questo mondo. L’amicizia con gli anziani è un’amicizia destinata a durare in eterno, poiché fondate sull’aiuto reciproco. Ogni sabato pomeriggio, fedelmente, alle ore 16.30, i Giovani per la Pace si danno appuntamento davanti l’entrata di Casa Serena, ovvero l’istituto dove alloggiano gli anziani, per far loro visita. Gli anziani (che all’incirca sono una ventina), all’arrivo, sono strafelici di vedere i Giovani per la Pace andare da loro, mentre alla fine dell’incontro, che avviene poco prima di cena, ci fanno capire che non possiamo lasciarci. Durante la visita, gli anziani, danno sfogo a tutti i loro pensieri raccontando le loro vite, ciò che hanno fatto da giovani, come hanno vissuto il periodo della guerra, raccontandoci per intero la storia da chi l’ha vissuta in prima persona. Evento che ha segnato l’azione e la vita dei GXP,è stato quando il 23 Maggio 2015, in ricordo della strage di Capaci, nella quale persero la vita il giudice Falcone insieme alla moglie ed alla loro scorta, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ha consegnato ai GXP di Sicilia il “Commentario Breve al Codice Penale”, usato da Giovanni Falcone durante i processi a Cosa Nostra, per conservarlo e custodirlo fino al prossimo 23 Maggio.
Sono circa le 20 a Messina, davanti la Chiesa di San Giuseppe è appena finita la preghiera dei giovani per la pace, siamo tutti pronti per partire, ci dividiamo in due gruppi, io salgo in macchina con Pietro, insieme ad Andrea, Francesca e Beatrice, l’altro gruppo si dirige verso la stazione, ci incontreremo tutti là più tardi. In due minuti arriviamo davanti al tribunale, sdraiato in una aiuola c’è Singh, mentre in piedi ad aspettarci c’è Giridhar. Insieme a loro ci sono anche Vadim e Achille, li salutiamo, diamo loro un panino e un bicchiere d’acqua e ci fermiamo a parlare un po’ con loro. Achille ci canta qualche canzone di Vasco Rossi, mentre Vadim scherza un po’ con noi, parliamo anche con Giridhar che ci racconta che qualche giorno prima qualcuno è venuto e si è portato via la sua coperta e quella di Singh, Pietro allora torna in sede per vedere se ne abbiamo qualcuna da dare loro. Nel frattempo ascoltiamo la storia di Vadim, lui è Ucraino ed è venuto in Italia per lavorare, è un macchinista e per un po’ di tempo ha lavorato a Reggio Calabria, dopo qualche tempo ha perso il lavoro ed ha iniziato a fare piccoli lavori come giardiniere e operaio. Non ha più alcun alcun impiego e da qualche anno vive in strada. Gli chiediamo: “Perchè non torni a casa, dalla tua famiglia, in Ucraina?”. Lui ci risponde:: “E cosa dovrei raccontargli, che sono andato via per finire a vivere in strada?”. La sua è una storia triste, ed è simile a quella di tante altre persone che, avendo perso il lavoro, sono finite a vivere in strada. Pietro è appena tornato, e per fortuna è riuscito a trovare delle coperte per i nostri amici, loro sorridono e ci ringraziano, non dovranno passare una notte al freddo. Si è fatto tardi , allora salutiamo tutti e ci diamo il consueto appuntamento al prossimo venerdì. Io vado a salutare Vadim: “Ciao Vadim, stammi bene, ci vediamo al più presto”, lui mi stringe la mano e poi mi abbraccia dicendo: “Grazie, io ti voglio bene perchè tu mi chiami col mio nome, ormai quasi nessuno lo fa, stammi bene anche tu, dottore.”. Risaliamo tutti in macchina e andiamo alla stazione per incontrarci con gli altri. Hanno già iniziato a distribuire i panini e noi ci uniamo per dare una mano. Alla stazione ci sono molti migranti, alcuni stanno al nei centri di accoglienza, altri a Messina, c’è chi è arrivato in Italia da qualche mese, chi da qualche anno, quasi tutti in attesa di risposta alla richiesta di asilo. Facciamo la conoscenza di molti ragazzi del Niger, dell’Etiopia, del Mali, parliamo con loro tranquillamente, scherziamo un po’ e ci facciamo raccontare le loro storie. Sono le 21:30 e per concludere scattiamo una foto-ricordo con i nostri nuovi amici, siamo stanchi ma sorridiamo tutti, è stata una bella giornata, ci salutiamo e ci diamo appuntamento alla prossima settimana. Sono quasi le 10 e io...
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