Oggi Catania ha visto la Chiesa di Santa Chiara accendersi ancora una volta per ricordare tutte le vittime del mare. Ha visto tanti cuori all’unisono pregare insieme, ha visto le istituzioni presenti, ha visto partecipare alla veglia di Preghiera “Morire di Speranza” organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio e presieduta dal vicario del Vescovo Mons. Salvatore Genchi , giovani provenienti da tutta Italia che si sono stretti insieme, ha visto gente comune, uomini e donne dei suoi quartieri più periferici, ha visto i migranti commossi ricordare il loro viaggio e i loro amici che non sono più vivi. Morire di speranza è stato un momento altissimo e profondo che si è svolta durante #3giornisenzafrontiere la tre giorni di pace dialogo e integrazione della Comunità di Sant’Egidio, proprio perché la preghiera non ha frontiere, supera i confini fino ad infiggersi dentro l’anima di tutti in tutto il mondo. La preghiera è stata introdotta da Emiliano Abramo della Comunità di Sant’Egidio che ha ricordato le parole di Papa Francesco – respingere è un atto di guerra- proponendo un modello di accoglienza che nascendo dalla preghiera dei migranti su quel mare di paura che diventa il Mediterraneo durante il viaggio della speranza, sia un fatto di pace nelle città: un abbraccio che dà frutto. Durante l’omelia appassionata, Mons. Genchi ha ricordato quanto sia fondamento degli uomini di Dio non respingere chi arriva da lontano e sia necessario stringere quelle braccia bagnate che affiorano da una barca in cerca di speranza e salvezza, braccia bagnate come dovrebbero tornare ad essere i nostri occhi nel riscoprire il pianto di fronte al grido di aiuto di chi scappa dalla guerra, il pianto di chi vuole essere semplicemente umano davanti a Gesù che ci chiede di accoglierlo quando è straniero, sempre, senza nessun giudizio perché la salvezza è per tutti. Il canto del Kyrie eleison ha accompagnato la lettura dei nomi delle persone morte in mare durante il viaggio, cullando come onde quiete la commozione visibile sugli occhi di tanti, della gente che si è alzata in piedi per accendere una candelina, dei migranti presenti che hanno sentito ricordare il nome di un amico, di un parente, di un fratello. Nella Chiesa di Santa Chiara tanti uomini e tante donne hanno voluto dare una casa al ricordo di chi non è arrivato vivo con il corpo, uomini e donne che hanno fatto una scelta netta ed hanno pregato affinché nessuno debba morire di speranza e perché si apra una faglia di amore nel cuore troppo indurito di chi vuole respingere: morire di speranza infatti, è sempre inaccettabile.
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Oggi ricordiamo il settantesimo anniversario dallo sgancio della bomba atomica a #Hiroshima. Noi abbiamo conosciuto i sopravvissuti dalla bomba atomica che sono stati accolti dalla Scuola della Pace con dei cartelloni che recitavano la parola “Pace” in tutte le lingue. Pensate: chi ha subito la guerra fino a vederne le conseguenze più estreme, diventa un testimone di pace e cerca giovani e giovanissimi alleati in tutto il mondo affinché la guerra non produca più i suoi effetti tremendi, effetti tatuati nel cuore che svaniranno solo quando la Pace sarà di tutti. Chi oggi fugge da guerre spesso dimenticate ha un’esigenza di pace più grande a cui l’Europa, continente che ha conosciuto la guerra nel suo volto più demoniaco ma che ha scelto per una vocazione di pace deve rispondere facendosi ispirare. La pace è nel nostro nome, siamo i giovani per la pace, perché senza la pace nulla si può costruire, è la base, per dire oggi#warneveragain
L’interesse incontrando il tafferuglio si mise d’accordo e guardò al diverso, l’uomo solo ed arrabbiato per i fatti suoi, così venne adescato. -Un nemico!- gli dissero- fa sempre comodo e gli spinsero in bocca un’orrida canzone che dalla gola echeggiava per le vie portando a sé timpani, sogni e speranza. Il simposio del no, canta una canzone stonatissima che fa male alle orecchie di chi ha capito che l’Europa non può prescindere dalla musica di gioia di chi arriva, ma che soprattutto infrange i cuori di chi vuole in fondo, dopo un lungo viaggio, solo trovare la pace, un valore che dimentichiamo spesso e che dovremmo generosamente offrire a chi la ama. Negare la pace è come negare la vita. Come si vive senza la pace? Gli europei non lo sanno più se non da antichi ricordi sbiaditi, i più non l’hanno sperimentato, ed i migranti non lo vogliono più sapere perché deve essere davvero tremendo. I migranti oggi ci spiegano come la pace è un valore da coltivare, ed il suo seme è l’accoglienza. Non disperdiamolo nel suono di una brutta canzone piena di “no” . Il rumore dei no è una brutta canzone, stonata, che spesso supera il suono delle parole di chi ha scelto per farsi plasmare e accarezzare il cuore dall’incontro. Ma qualcosa che si sente più forte significa forse che sia più bella? è solo più arrogante! Quanto è distante la musica dal rumore? Sogno un’Italia dove si ascolti lo djembe e la polka, e mentre la tarantella echeggia, ed il marranzano vibra una danza tribale ci fa sognare. Come uno stornello romano, come un canto maliano.
Centinaia di giovani, in tutta Italia, hanno scelto di passare la propria estate insieme ai più poveri. Sono i Giovani per la pace della Comunità di Sant’Egidio che da anni vivono una amicizia fedele con gli “ultimi” : Si dedicano ai bambini dei quartieri periferici che frequentano le scuole della pace, gli anziani spesso lasciati soli nelle case di riposo, le persone costrette a vivere in strada, i disabili, i migranti accolti nei porti o nelle stazioni. Una amicizia divenuta familiarità, anche attraverso la preghiera, che ha fatto sì che tanta gente lasciata ai margini trovasse in un giovane una compagnia, vero amico, un punto di riferimento. L’amicizia con i giovani per la Pace ha restituito a tanta gente la voglia di vivere e di servire a loro volta chi è più povero. L’accoglienza dei giovani ai migranti è divenuta la forma migliore di integrazione quando in varie parti di Italia molti giovani “nuovi europei”, richiedenti asilo politico, arrivati con gli sbarchi, hanno deciso di dedicarsi in prima persona ai più poveri compiendo le stesse opere di solidarietà dei giovani italiani. Nessuno infatti è troppo povero per aiutare chi è più povero: Anche in estate! Anche quest’anno i giovani per la pace da Roma, dalla Sicilia, dalla Puglia, dalla Campania, e da tutta Italia hanno deciso che all’avanzare delle ondate di caldo estivo non può corrispondere un venir meno della solidarietà che ha reso più umano il volto delle città e rilanciano, invitando tutti i giovani a dedicare parte delle proprie vacanze alle numerose attività di solidarietà proposte in tutte le città dove sono presenti. #EstateSolidali è un invito, un esortazione ma anche una richiesta rivolta a tanti di vivere parte della propria estate all’insegna del divertimento, conoscendo tantissimi nuovi amici e legando la bellezza dello stare insieme alla necessità che tanti poveri hanno di non venire abbandonati mentre il mondo va in vacanza. E’ appunto quando tutti sono in vacanza che bisogna starci ed i Giovani per la Pace hanno deciso di esserci! Le attività di #Estatesolidali comprendono lunghe gite e feste con i bambini che frequentano le scuole della pace, visite e vacanze con gli anziani, raccolta e distribuzione di generi alimentari per le famiglie in difficoltà, feste in piazza, servizio nelle mense, festival musicali, raccolta e distribuzione di beni di prima necessità per i migranti nelle stazioni o nei centri di prima accoglienza.. In un tempo difficile e davanti ad un’Europa che si sta sempre più chiudendo è bello e importante che ci siano così tanti giovani che si aprono alla solidarietà e capiscono che si può cambiare l’Italia a partire dai più poveri anche in estate…Quindi non esitate #EstateSolidali! Per maggiori informazioni e per partecipare a #EstateSolidali manda una mail a [email protected] o vai sul sito giovaniperlapace.it Puoi seguire #EstateSolidali su facebook: Giovani per la pace, twitter: @gxlapace
Una barca, un cristiano e un musulmano insieme per affrontare il mare. Una seconda volta. Due migranti, due nuovi europei, due giovani per la pace, Elias e Muhammad che vogliono dimostrare che il nostro mare, il mediterraneo è un mare di pace, di sport e di bellezza e non deve più essere il luogo dove affrontare una prova dove per tanti l’esito è la morte. Elias e Muhammad, a bordo di “ottovolante” stanno partecipando ai mondiali di vela di Barcellona, insieme ad un meraviglioso team di italiani. Noi sogniamo la vittoria, ma sicuramente accettando questa sfida dopo essere arrivati vivi in Italia nella loro “prima” traversata con un barcone, fuggendo da storie da troppi dimenticate, hanno vinto la paura, restituendo a tanti il mare, il suo senso più profondo che è la sua bellezza. In bocca al lupo ragazzi!
Fermiamoci un attimo e guardiamo la cronaca con la prospettiva della storia. La Storia spesso ha degli snodi che si capiscono dopo, dei segnali, ghiandole ingrossate che indicano il cancro. Troppo abbiamo fatto spallucce davanti a parole odiose credendole folklore. Ho letto dello straniero aggredito da un gruppo di italiani. Gli hanno amputato due dita provando a sgozzarlo. Lo hanno fatto per punirlo di essere straniero: si sta erodendo l’antico codice occidentale che abolisce la legge del taglione; è ancora peggio, non si risponde nemmeno al principio di azione e reazione: si è palesata una legge del taglione preventiva, tagli la gola a quello che credi un potenziale ladro. Un diritto peggiore di quello dello stato di natura che umilia lo Stato di diritto. Immaginate la scena, la violenza, prendere un uomo, umiliarlo, insultarlo; immaginate la claustrofobia, tiri fuori il coltello, in quel momento cosa fai? Quanta paura? Quanto terrore? Il sudore si fa freddo; pensate al dolore mentre vedi tagliare carne tendini ossa tra risate e insulti, provi a difenderti ed esce sangue, senti forte l’umiliazione, impotenza senso di vuoto. Dove vai? Come ti liberi da questa catena, da questa esecuzione. Senti i rintocchi dell’orologio in un tunnel di dolore con il collo bloccato al guinzaglio dell’odio. Poi finalmente la fuga con le mani sporche di sangue. Di sangue innocente. Bisogna costruire ancora più velocemente una visione che sconfigga il male di certe parole, che schiacci chi ha certe idee, che faccia vergognare chi oggi si sente autorizzato a dire delle cose spaventose con leggerezza e senza pudore. Il male si annida tra le nostre strade, tra chi urla che il problema è lo straniero senza capire che la società che oggi tocca lo straniero crea una società disastrata per il futuro, una società incapace e malata. Il male si annida nelle tribune, nelle piazze e nei bar, cresce quando non si oppone una visione larga alla violenza, quando non si lotta per conquistare la gente per costruire una società umana. Il male trova la sue gestazione in quei pensieri orribili, partorisce e si nutre sempre di sangue innocente servendosi della violenza. Al male non basta solo il sangue innocente di dita amputate, il male beve sangue senza saziarsi, inizia spesso con il sangue dei poveri, di chi viene con la barca, di chi vive per strada, di chi è straniero, poi però, nelle società ammalate che hanno amputato le braccia alla pace, si fa guerra e passa sempre a riscuotere. E quando il male ha fame non guarda al ceto, non guarda al censo e non guarda nemmeno all’accento.
***AGGIORNAMENTO: I Giovani per la Pace questa sera 11.02.2015, a Porto Empedocle hanno rivolto l’ultimo saluto alle 29 vittime, morte per il freddo, deponendo un fiore su ogni bara***. L’ennesima tragedia di Lampedusa è tremenda e non possiamo lasciar cadere nel silenzio, anche del nostro pensiero, una tragedia così immane che tocca gente con cui diventiamo amici durante i servizi della comunità, nuovi europei che hanno avuto la grazia di non morire per il freddo, o nel deserto o in Libia, che ora sono nostri amici. Non ci si può abituare alla morte e non si può fare scorrere una notizia così grave con l’aggiornamento delle notizie dei social network! C’è l’urgenza di fermarsi, pregare, riflettere. Serve una generazione di donne e uomini che ricorda, nel pensiero e nella preghiera questi ragazzi, che capisca che tutto questo non è giusto, che non si abitui alla morte, che si preoccupi di cambiare le decisioni prese dall’alto che provocano questi disastri. Serve un’ alleanza intergenerazionale che accolga chi è straniero, lo porti nell'”albergo” mentre è mezzo morto e lo curi e successivamente lo accolga nella propria famiglia, tra le proprie preoccupazioni, pensando che nel volto di quell’africano che talvolta è arrabbiato per la sua situazione, ci sono tanti che non sono arrivati! La nostra amicizia spiazzante può tramutare quella rabbia giustificata in integrazione, e l’integrazione vera, regala frutti importanti per la nostra società tutta; penso ai Giovani per la Pace di Mineo, nuovi europei arrivati con i viaggi della speranza che pregano per la Pace e che servono chi è più povero. Bisogna fare uno sforzo culturale, informandoci e leggendo i giornali perchè non possiamo dimenticare questi morti di Lampedusa e dobbiamo vivere affinché non accada più, perché non è giusto che la morte ci abbia strappato via un amico potenziale, l’incontro benedetto con lo straniero che a tanti giovani italiani ha cambiato la vita, orientandone i sogni le preghiere, allargando le prospettive della vita da cristiano. Tempo fa con un amico parlavamo dell’olocausto e ci chiedevamo come fosse possibile che così tanta gente avesse fatto spallucce dinnanzi all’abominio di uno sterminio così atroce di sei milioni di ebrei. Oggi la nostra società quanta misericordia ha per questi morti? Quanto ci sembra normale? Quanto poco dura nel nostro sangue l’ebollizione dell’indignazione? Questa società è davvero in grado di scagliare la pietra verso il passato, avendo la coscienza così pulita da essere sicura che non ci ritorni in faccia? Papa Francesco che a Lampedusa aveva fatto il suo primo viaggio apostolico, durante l’udienza generale dell’undici Febbraio, si è detto preoccupato, assicurando la propria preghiera ed invitando nuovamente ad uno spirito di solidarietà nell’accoglienza. La sua preoccupazione deve diventare allora ancora più contagiosa, la preghiera diffusa e la solidarietà verso lo straniero uno stile di vita irrinunciabile che comprenda tutti affinché il suono dolce e accorato delle sue parole, proferite proprio a Lampedusa, tocchi il cuore di ciascuno: “non si ripeta, non si ripeta più per favore”.
Le strade dei poveri sono segnate da storie, storie nascoste, umiliate, celate dall’indifferenza, storie umili storie appassionanti, storie sorprendenti, storie di incontri che altrimenti si sarebbero perse nell’oblio. L’oblio, la mancanza di memoria segna le strade dei poveri, degli ultimi, degli emarginati, dei periferici. La memoria è un valore che disegna una società più umana, ma è anche un esercizio faticoso, un esercizio che i giovani per la pace fanno e che regalano generosamente agli altri con la testimonianza degli incontri nelle periferie. In fondo oggi anche i giovani sono periferici, schiacciati da un mondo che si mostra potente e crede di poter far subire la propria potenza ai giovani, invecchiandoci nell’abitudine al compromesso, ingannandoci con il falso idolo “dell’uomo solo di successo”, di una competitività che chiede di pensare solo a sè stessi. La memoria, il ricordare è uno strumento ancora più potente di un mondo che abbandona i suoi poveri: abbiamo appena ricordato anche su questo blog Floribert, giovane per la Pace, innamorato del Vangelo, che ha trovato la propria libertà dalla mentalità egoista della Repubblica democratica del Congo dedicandosi agli altri, fino alla fine, con coraggio, generosità, sentimenti che coltivati possono fare rinascere le nostre periferie. Ma la memoria è anche quella che esercitiamo quando ricordiamo i nomi dei bambini, i nomi dei nuovi europei (a volte davvero complicati da pronunciare bene). La memoria si fa preghiera quando ricordiamo i nomi dei nostri amici defunti, è quella che si manifesta nella sua potenza durante la preghiera per la pace, quando decliniamo in maniera precisa accompagnati dal canto del Kyrie eleison, i nomi dei paesi in guerra, in un mondo in cui hanno fatto entrare nelle abitudini l’espressione “guerre dimenticate”. Non ci si può abituare alla guerra, che Andrea Riccardi definisce “madre di tutte le povertà”; aver dimenticato le guerre dovrebbe far ricordare un altro sentimento: la vergogna. “Guerre dimenticate” è un atto d’accusa ad un mondo che si gira dall’altro lato, ad un mondo che preso dai suoi piccoli problemi ha dimenticato chi soffre e muore “altrove”. In un mondo dimentico, questo “altrove” si espande e si contrae a seconda dell’indifferenza e si dimenticano i poveri sulla strada che rischiano la vita per il freddo, i bambini che finiscono nelle mani dei violenti, i quartieri a rischio, gli anziani, simbolo della memoria sociale, che vengono abbandonati negli istituti senza che questo desti sgomento o scandalo, i migranti che muoiono a migliaia nel mare dove andiamo a villeggiare. La mancanza di memoria produce così un olocausto silenzioso, con numeri che atterriscono ma che non appassionano perché si vive in maniera auto riferita. Siamo nella settimana della giornata della memoria, e ricordare lo sterminio scientifico di milioni tra ebrei, Rom, omosessuali, disabili e dissidenti politici è necessario perché ricordando l’olocausto ci ricordiamo che anche l’uomo più evoluto scientificamente può essere scientificamente disumano, mentre l’uomo spirituale che si ferma, che riflette che si commuove, che depone un fiore, che prega e che non dimentica, è chiamato a lavorare affinché...
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