Tutto pronto per la finalissima della 5a edizione di Play Music Stop Violence – cambia il mondo con la tua musica: le undici band finaliste, selezionate tra i 200 giovani artisti da tutta Italia, oltre 30 gruppi musicali, che hanno partecipato alle audizioni del contest musicale per giovani talenti, si esibiranno live domenica 31 maggio alle 16.30 all’ATLANTICO Live di Roma, in viale dell’Oceano Atlantico 271 D. Le band partecipano al concorso con brani originali sul tema dell’impegno contro ogni forma di violenza: guerra, razzismo, povertà, all’insegna del motto “Cambia il mondo con la tua musica”. In palio il primoPREMIO delle categorie “Autori” e “Young talent”, ma anche menzioni d’onore per il miglior arrangiamento, il miglior testo, le migliori voci femminile e maschile, un premio per la miglior performance live, un premio della critica e un premio web. La serata sarà presentata dalla conduttrice Eugenia Scotti, e vedrà la partecipazione straordinaria degli STAG e del rapper Kaligola. Le performance live dei finalisti saranno valutate da una giuria di qualità composta da esperti del mondo della musica, della cultura e della comunicazione. Il pubblico in sala potrà votare il suo gruppo preferito e assegnare così il premio popolare. I biglietti sono disponibili gratuitamente, previaPRENOTAZIONE a [email protected] o telefonando a 39-347-8418324. La finale sarà anche trasmessa in diretta streaming su www.santegidio.org.
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Basterebbe la testimonianza di Alì, giovane del Mali sopravvissuto ad una delle tante stragi del Mediterraneo, per esprimere il senso della fiaccolata di ieri. Le ingiustizie subite durante il viaggio nel deserto, in Libia e nell’estremo tentativo di raggiungere l’Italia..si estremo perché lui non voleva partire, sperava ancora di trovare un futuro sereno in Africa. Ma la guerra, la povertà e la barbara uccisione di un suo caro amico in Libia l’hanno convinto che l’unico modo per ricominciare a sperare era raggiungere l’Europa. Il racconto di Alì e di tanti altri che sono stati costretti ad abbandonare la propria terra deve far riflettere ognuno di noi per tutti i giorni che ci lamentiamo delle nostre condizioni, dei problemi( se pur veri) che attanagliano la nostra città e non la fanno respirare,pensare che una soluzione è possibile se cominciamo a voltarci verso l’altro invece di guardare solo all’ abisso del nostro Io.
Questo è il vero Islam, quello che dovrebbe fare notizia e che costituisce la stragrande maggioranza dei musulmani. L’anello della Pace non è solo una catena umana che ha unito ebrei e musulmani a Oslo, ma è la risposta più bella e profonda a chi vorrebbe sfruttare la religione come terreno di scontro. La guerra non può essere la soluzione contro chi predica odio; sarebbe fare il loro gioco e andare contro noi stessi, contro il fondamento dell’Europa che è la Pace. Creiamo tutti una rete di Pace che accolga chi è solo, che difenda chi è discriminato per la sua condizione o per il suo credo. Solo così potremmo sperare di costruire un futuro più prossimo ai nostri desideri.
Enza Basile, anziana testimone della Seconda Guerra Mondiale, incontra i giovani di Fiumicino
Francesco di Palma ha scritto il bel libro su Floribert Bwana Chui, ucciso nel 2007 perché si è rifiutato di accettare di farsi corrompere per far passare delle partite di cibo avariato che avrebbe nuociuto alla popolazione di Goma, nella Repubblica Democratica del Congno. Il libro si intitola “Il prezzo di due mani pulite“. Ieri in occasione della presentazione del libro abbiamo intervistato l’autore. Ecco il testo dell’intervista. Come la storia di Floribert può essere d’esempio anche per la società italiana? La storia di Floribert è una storia profondamente radicata in un contesto specifico, in un contesto africano, in particolare congolese. Floribert si pensava come congolese, come africano, e in fondo sognava un riscatto per il Congo e per l’Africa. Detto il suo radicamento, va però anche detto che la sua vita, il suo saper dire no a un materialismo invadente, a una sete di denaro che diventa qualcosa che ti ruba il cuore e la mente, tutto questo diventa un segno e in fondo un modello che parla al nostro mondo europeo. Se anche noi non conosciamo quella realtà violenta e tante volte sfigurata, che è il Congo, possiamo però dire che c’è una realtà arida, una realtà spietata china sul denaro, che tante volte è anche quella di noi europei. In questo contesto l’esempio di Floribert che sceglie la vita e non il denaro, che sceglie i poveri e non il guadagnarci sopra, mi sembra che anche pensando agli esempi recenti di Mafia Capitale, può essere qualcosa che ci fa riflettere e ci aiuta a scegliere per il meglio. Com’è ora la situazione in Congo? Il Congo di Floribert era un Congo appena uscito dalla guerra civile, dalle due guerre che l’avevano insanguinato. Oggi la situazione è differente per quello che riguarda il Paese: l’ovest è più pacificato, purtroppo in Kivu ci sono ancora diversi scontri; sono soprattutto milizie, ribelli che cercano di trovare notorietà o di guadagnare qualche cosa in un’opera di guerriglia, di predazione, di banditismo e questo è qualcosa che ancora va superato. D’altra parte il Congo deve ancora ricostruirsi come società più attenta agli ultimi, più attenta a tutti e di vincere quella che è la grande sfida, quella della corruzione, di grandissimi divari sociali ed economiche; un nuovo Congo che affronta sfide non belliche, ma che affronta la sfida di una società che sia più a misura d’uomo, più attenta all’uomo. Quale messaggio vuole lanciare a tutte quelle persone che si sentono sfiduciate dalla corruzione dilagante in Italia? Io non vorrei lanciare messaggi, quello che posso fare è proporre questa testimonianza di Floribert; come è stato detto oggi alla presentazione il mondo oggi è tentato dal vittimismo, dalla rassegnazione; è una tentazione che c’è in ognuno di noi ed è la reazione più facile di fronte a qualcosa che non va bene. In fondo Floribert ci insegna che c’è un grande spazio per la testimonianza personale, per le scelte personali, per un azione e un modo di agire che siano un segno...
DATA USCITA: 18 dicembre 2014 GENERE: Commedia ANNO: 2014 REGIA: Theodore Melfi SCENEGGIATURA: Theodore Melfi ATTORI: Bill Murray, Naomi Watts, Melissa McCarthy,JaedenLieberher, Chris O’Dowd, Terrence Howard,Scott Adsit, Lenny Venito, Kimberly Quinn, Katharina Damm FOTOGRAFIA: John Lindley MONTAGGIO: Sarah Flack PRODUZIONE: Chernin Entertainment, Crescendo Productions, The Weinstein Company DISTRIBUZIONE: Eagle PICTURES PAESE: USA DURATA: 102 Min Vincent, un ex militare ubriacone, giocatore d’azzardo e frequentatore di prostitute, è costretto a badare a Oliver, figlio dodicenne della sua nuova vicina, la mamma single Maggie. Le idee di doposcuola di Vincent includono ippodromi e strip club, ma alla fine la strana coppia incomincia ad aiutarsi a vicenda e il ragazzo scoprirà cose sorprendenti che non sapeva sul conto di Vincent. Questa vicenda può sembrare scontata, e forse è così. Ma da questo film si possono trarre alcuni spunti di riflessione sulla “santità” di Vicent. Infatti Vincent all’inizio può sembrare tutto meno che un santo: beve, gioca d’azzardo, frequenta prostitute e nel rapportarsi con le persone esprime un notevole senso di cinismo e misantropia. Tuttavia, come scopre Oliver, Vincent non è solo questo ma anche altro. Infatti in Vietnam riuscì a salvare alcuni commilitoni in pericolo di vita, e, nonostante le sue difficoltà, cerca di aiutare una prostituta russa quarantenne rimasta incinta e continua a visitare sua moglie, malata di Alzheimer e ricoverata in una casa di riposo, e a cambiarle il bucato nonostante lei non lo riconosca più. In più, dopo aver conosciuto Oliver, diventa per lui una sorta di figura paterna tanto da insegnargli a difendersi e a farsi rispettare dai compagni di classe che lo maltrattavano. Queste qualità, per Oliver, rendono Vincent un vero santo, tanto che Oliver lo proclama tale. Infatti Vincent, nonostante i suoi difetti, cerca di fare del suo meglio per le persone a lui care e questo fatto, pur non cambiando il mondo in larga scala, ci insegna che possiamo fare qualcosa nel nostro piccolo per migliorare la vita di chi ci circonda. Altro spunto di riflessione importante è il fatto, spesso dimenticato, che tutti i santi sono stati prima di tutto esseri umani, fatti sia di pregi che di difetti, e che forse nel mondo esistono tanti santi che, pur non compiendo imprese epocali, si impegnano per cambiare anche poco in meglio. Dario Fraschetti
Ad una settimana dai tragici eventi di Parigi, gli universitari di Roma riuniti nella Cappella de’ La Sapienza, pregano insieme per i Paesi in guerra e le vittime di ogni violenza e terrorismo. Dopo il caloroso discorso d’accoglienza del Cappellano Jean Paul, la preghiera è stato il modo migliore per riflettere su un tema che ha colpito tutti. La Pace è un bene prezioso e mai scontato: nell’ultima settimana abbiamo preso coscienza di quanto bisogna lottare uniti per difendere i diritti e le libertà di tutti e continuare la nostra rivoluzione silenziosa contro la violenza. Ricordando uno per uno i popoli vittima delle ingiustizie della guerra, abbiamo interiorizzato le parole simbolo della Marcia per la Pace del primo gennaio, ripetute da Papa Francesco durante l’Angelus: “La Preghiera è la radice della Pace”.
Sono ufficialmente aperte le iscrizioni alla nuova edizione del Contest Play Music Stop Violence, Cambia il Mondo con la tua Musica 2015! Le band under 25 hanno tempo fino al 31 gennaio per comporre un inedito e inviarlo al sito http://www.playmusicstopviolence.com/it/concorso Gli artisti potranno prendere ispirazione dai temi di attualità o da eventi passati per cercare di esprimere il loro desiderio di pace, solidarietà e convivenza tra culture e generazioni diverse. I finalisti suoneranno in concerto al PALA ATLANTICO di Roma. Leggi il regolamenti e partecipa con la tua band!
Puglia, San Vito dei Normanni. A dieci chilometri da questo piccolo paesino del Salento i Giovani Per la Pace della Comunità di Sant’Egidio incontrano i rifugiati politici ospitati nell’ex villaggio turistico Green Garden. Ragazzi come tutti, ma con un passato travagliato. Vengono dalla Nigeria, dal Pakistan, dal Mali; da tutti quei paesi che, anche se meravigliosi, a causa di guerre e povertà non hanno più la possibilità di regalare un futuro sicuro ai loro giovani. Ed è in questa piccola oasi lontana dal centro abitato che i Giovani Per la Pace hanno incominciato un’amicizia con quei ragazzi che portano le ferite della guerra e del disprezzo.Questi si presentano con allegria, talvolta con il loro abito più bello, talvolta indossando semplicemente l’unico che hanno. Una volta instaurato un rapporto di confidenza e complicità con loro, alcuni profughi si sentono anche di condividere la loro tragica esperienza del viaggio della speranza verso l’Italia. Troppo spesso, quando si pensa agli immigrati, l’immagine che viene automaticamente trasmessa è quella di uomini o donne che vendono oggetti per la strada o per la spiaggia. Si evitano, si allontanano e a volte li si schernisce. Ma non si riflette mai su quello che è stato il loro viaggio, il dramma che li ha spinti a lasciare il loro paese, la loro famiglia, i loro affetti. E ancora meno si riflette su ciò che hanno dovuto passare per raggiungere l’Italia. È il caso di un giovane del Mali, Mandila, che ha voluto condividere con alcuni Giovani Per la Pace la storia del suo viaggio. “Per imbarcarmi per l’Italia ho dovuto raggiungere la Libia” spiega Mandila, “ma dal Mali alla Libia ho viaggiato in un pullman. Eravamo in trenta”. Per pullman, Mandila intende un furgoncino da undici posti massimo; e questo viaggio, da quanto racconta, è stato un inaspettato colpo di fortuna. “Molti miei amici che non hanno trovato posto sul pullman hanno dovuto viaggiare sotto i camion” dice. Poi la barca con cui lascia la Libia, l’ultima tappa del viaggio; anche lì la fortuna ha voluto assistere Mandila che, ci confida, non ha visto nessuno dei suoi compagni di viaggio perdere la vita in mare. Ma spesso i pericoli non sono nemmeno in mare. Ce lo racconta Austin, un ragazzo nigeriano di ventiquattro anni: “Il mio viaggio è durato sette mesi, di cui tre passati da prigioniero in Libia”. Contrabbandieri, trafficanti di organi, il valore della merce umana sembra oltrepassare quello della vita. Ma il timore di venire uccisi non ferma questi giovani coraggiosi; coraggiosi di sognare, pronti a costruirsi un futuro. Ce lo dimostra Austin, la cui aspirazione è quella di fare il meccanico: “Nel mio paese facevo il meccanico. Voglio continuare a farlo anche qui. È il mio lavoro, quello che so e che mi piace fare”. Ed è in questo clima di amicizia e solidarietà che i Giovani Per la Pace pregano insieme ai loro fratelli stranieri; in questo frangente cristiani, musulmani ed ebrei si ritrovano a pregare per la prima volta insieme...
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