Si è conclusa a Catania giorno 11 agosto la “Tre giorni senza frontiere”: la prima tre giorni di giochi, organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio e dai Giovani per la Pace. Il nome della manifestazione racchiude in sé il significato profondo che i Giovani per la Pace hanno voluto dare: senza frontiere; frontiere che spesso sbarrano il passaggio ai sentimenti migliori, come l’amicizia, la simpatia tra persone e popoli diversi, la solidarietà, la voglia di stare insieme e fare del bene divertendosi. Le frontiere sono anche quelle che si pongono innanzi ai tanti poveri delle nostre città rendendole inumane, quelle che rendono difficile ai migranti arrivare nella terra promessa. Le frontiere per cui si muore di speranza. Così i Giovani della Comunità di Catania e tanti altri giovani provenienti da diverse città della Sicilia insieme agli oltre ad oltre 50 Giovani per la Pace che risiedono nel C.A.R.A. di Mineo come “special guests”, divisi in squadre hanno voluto dedicare a Catania uno spazio libero dove stare insieme, vivere la fraternità, creare una reale integrazione ed affrontare tutti insieme, come una sola grande squadra, i temi che stanno cambiando la Sicilia e i luoghi dove i Giovani per la Pace sono attivi, fra tutti l’accoglienza. Infatti dopo aver gareggiato per due intere giornate, passate, la prima al mare tra giochi con l’acqua ed il torneo di beach-volley, e la seconda, per tutta la città con una difficilissima “caccia al tesoro”, tutta la comunità di Sant’Egidio si è fermata il terzo giorno per commemorare le vittime del tragico sbarco di un anno fa, che ha visto morire sei migranti africani vicino al litorale catanese. Grazie ad una petizione dei Giovani per la Pace ed alla pronta sensibilità dell’amministrazione comunale, è stata infatti posta una targa commemorativa sopra una stele di pietra lavica che ricorda le vittime del mare e tutti coloro che hanno perso la vita nei viaggi della speranza. Una piccola pietra nella città che comunica qualcosa di grande: i giovani siciliani hanno scelto l’accoglienza. Nel dubbio tra respingere o abbracciare, hanno scelto l’abbraccio: infatti il 10 agosto 2013 i Giovani per la Pace e la Comunità tutta abbandonarono loro vacanze per andare a soccorrere chi era rimasto vivo e piangere le sei persone, i cui nomi, grazie questa targa, resteranno incisi per sempre nel cuore della città. Da quel dolore i giovani di Catania hanno reagito guardando l’orizzonte verso il mare e sapendo che ci sono fratelli da accogliere, da salvare e da integrare e non problematiche sociali da evitare. Uomini donne e bambini a cui volere gratuitamente bene. Tre giorni senza frontiere ha trovato il suo culmine durante la liturgia nella chiesa di Santa Chiara a Catania che ospita la vita della Comunità, dove erano presenti tantissimi poveri della città serviti durante l’anno. Poveri e ricchi, europei e nuovi europei, giovani e anziani hanno pregato insieme come una sola famiglia. La festa finale è stato un tripudio di gioia, di felicità piena, di sorrisi complici e di fraternità vera, tra persone che hanno voluto coniugare l’utile, interessante al divertente, per dimostrare come sia possibile costruire una società migliore. Sta nascendo in Sicilia una...
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Anche quest’anno i “Jovens pela Paz” di Matola hanno organizzato un pranzo con gli anziani ospiti di un Istituto, gestito dall’Acçao Social, collocato accanto all’Ospedale Josè Macamo di Maputo. E’ stato possibile realizzare una giornata di grande festa tra giovani e anziani grazie al ricavato di una raccolta della Comunità degli anziani di Livorno. I Giovani per la Pace di Matola vanno regolarmente a visitare gli anziani dell’Istituto in un’amicizia che dura oramai da alcuni anni. Con il tempo gli anziani hanno iniziato a raccontare la storia della loro vita. In questo periodo di tensione in Mozambico i racconti si sono concentrati sul periodo della guerra che tutti ricordano come il più duro per loro. Alcuni l’hanno combattuta direttamente come Jao Rafael, sergente della Renamo, che racconta il momento di gioia all’annuncio della pace firmata a Roma. Ricorda che la guerra è stata lunga e che “c’è voluto molto tempo per arrivare alla firma degli accordi” e ringrazia la Comunità per il lavoro a favore della pace. Carlotta da giovane viveva a Tevela, nella provincia di Inhambane, dove lavorava nei campi e ricorda ancora i momenti in cui i soldati di entrambi le parti arrivavano in paese per prendere tutto quello che c’era da mangiare e i contadini erano costretti a consegnare il ricavato del loro lavoro. Lei aveva due figli piccoli e, dopo il passaggio dei soldati, non sapeva cosa dare loro da mangiare. Gli anziani sono stati felici per il pranzo e per la festa. Laura, un’anziana confusa che non ricorda quanti anni ha, ha ringraziato Edmilson dicendo “sono contenta che ci sono giovani che vengono a trovare noi anziani e sono felice per la vostra visita perché è il segno dell’amicizia tra di noi”. Durante la giornata si è svolta anche la visita della direttrice dell’Ação Social della Provincia di Maputo che ha ringraziato la Comunità per la vicinanza agli anziani dell’Istituto e ha invitato i giovani a tornare tutte le volte che lo desiderano.
Nell’atmosfera del castello Normanno Svevo, Mesagne ha ospitato il Festival della Pace, organizzato dai giovani della Comunità di Sant’Egidio; uno spettacolo all’insegna della cultura, musica e solidarietà. Ma tra le note delle varie band che si sono esibite, parte saliente della prima tappa del Festival sono state le testimonianze e le storie degli ospiti della serata. Molto interessante è stato l’intervento del professor Alessandro Distante, presidente dell’ISBEM, che ci ha comunicato la ricchezza che la comunità ha portato nel Salento. Come ha specificato il professore, la cultura del dono è un valore che i Giovani Per la Pace hanno regalato a questa terra, e che si ha la necessità di trasmettere a tutti. In particolare la serata si è svolta concentrandosi sull’importanza di un’amicizia tra giovani e anziani, una rarità che con la cultura dello scarto, promossa dalla nostra società di oggi, è andata perduta. La seconda serata del festival a Porto Cesareo ha dato la parola ai più piccoli: dopo il saggio dei bambini del gruppo SaMi e le esibizioni musicali delle band, le testimonianze di Sara, Giovane Per la Pace di Roma, e Mbaye (collegato da Catania) hanno introdotto al pubblico il meraviglioso mondo delle Scuole della Pace. Durante la terza tappa del Festival, a San Vito dei Normanni, si è parlato dei disabili; in particolare degli Amici della Comunità di Sant’Egidio, che tramite l’arte e la cucina esprimono il loro estro creativo. dopo lo spettacolo di ginnastica artistica delle bambine e ragazze della Maran Sport e l’esibizione della cantante Carola, Vito, Antonello e Michele ci hanno parlato dell’amicizia dei Giovani per la Pace con i poveri di Lecce, e della loro forte identità pugliese. L’esibizione finale del nostro amico Hunza, conosciuto durante la prima edizione del Festival, è riuscito a coinvolgere con grande entusiasmo i nostri amici africani, sbarcati il giorno stesso sulle coste pugliesi, che hanno ballato insieme a noi animando la festa. Oggi pomeriggio, con la festa degli aquiloni, con i ragazzi africani ospiti del Green Garden, inizierà l’ultima tappa del festival a Torre Santa Sabina. Il tema della serata sarà proprio quello del legame che unisce il continente africani con la Comunità di Sant’Egidio e attraverso le testimonianze di alcuni Giovani per la Pace, ripercorreremo i viaggi in Africa, che hanno rafforzato questa profonda amicizia. Giovani per la Pace di Roma e della Puglia
“Oggi sono contento che sei venuta!”. Mi accoglie così Modou. Le parole più belle del mondo, dette da un ragazzo alla festa di fine Ramadan che i Giovani per la Pace di Messina hanno organizzato per i minori, ospiti dell’istituto Spirito Santo. Abbiamo portato cibo, bibite, musica e tanta compagnia. Noi arriviamo, chi in macchina chi a piedi. Eccoli lì, sul muretto: loro ci aspettano, come sempre. Sono 14 ragazzi, con le loro storie, il loro passato. In Gambia, in Mali, hanno lasciato mamma e papà oltre che gli orrori della guerra, della miseria e della fame; qui in Italia sono arrivati denutriti, tristi, malati, e noi Giovani per la Pace di Messina eravamo lì ad accoglierli all’ospedale e alleviare quello che i medici non posso curare: la solitudine e i ricordi terribili del loro “viaggio della speranza”. Dopo due mesi, stanno bene e sorridono, sorridono tanto. “Lussia, Ramadan finito!!” mi dice Bakari. Sono contenti e sorridenti, mettiamo la musica ad alto volume, il cibo sul tavolo grande al centro, si inizia a chiacchierare. Ibrahima prende la macchina fotografica e si finge fotografo, chiedendoci di metterci in posa; qualcuno balla ma soprattutto si ride e si parla tanto, accentando anche le prese in giro sul nostro inglese inadeguato. E così mi viene in mente che quando si invitano gli amici a casa, è così che si fa, no? Posso dire che all’ inizio è stata Accoglienza, ma adesso è Amicizia, e per gli amici si fa qualunque cosa. Lucia Florio , Giovani Per La Pace
Domenica 20 luglio a Messina è arrivata una petroliera che ha soccorso in mare circa 600 migranti che sono stati accolti nella scuola media “Giovanni Pascoli”. Erano provenienti dalla Siria, Pakistan, Gaza, Eritrea e molti paesi del Centro-Africa. Noi, giovani per la pace di Messina e Barcellona, insieme a tutta la Comunità di Sant’Egidio, abbiamo da subito dato loro aiuto accogliendo gli immigrati e fornendo generi di prima necessità come vestiti e scarpe. Nei giorni seguenti abbiamo distribuito il pranzo creando un clima di amicizia e di familiarità. Abbiamo aiutato gli stranieri a comunicare, perché molti parlano inglese, abbiamo ascoltato le loro storie e abbiamo raccontato le nostre. Alcuni uomini siriani ci hanno raccontato le terribili situazioni vissute in mare e alcuni di loro purtroppo ci hanno chiesto notizie delle loro mogli che purtroppo erano morte durante la traversata. Nei prossimi giorni i migranti verranno trasferiti in un centro più attrezzato, molto probabilmente sempre a Messina, speriamo di cuore di poter continuare l’amicizia nata con molti di loro. Giuliana Lo Presti, Giovani per la Pace Messina
Il 28 Maggio, alla presenza delle autorità civili e religiose, a Catania, si sono svolti i funerali delle 17 vittime del naufragio a largo di Lampedusa. Una cerimonia sobria, intensa e accompagnata dalla presenza di chi da quella barca è sopravvissuto. Sì erano presenti parenti, amici, “compagni di speranza” di quella barca, di quel legno, che approda sulla città di Catania il 13 maggio provocando un terremoto delle coscienze. Una preghiera, delle preghiere, delle bare e un rito interreligioso perché degna sepoltura fosse assicurata a tutti. Come detto dall’Imam della Moschea della Misericordia di Catania: “carità di fronte alle tragedie provenienti da oppressioni e guerre: oggi si sta dando dignità a chi non ha potuto averla da vivo”. Le parole dell’Imam Keith Abdelhafid, sono le parole dell’uomo spirituale che guarda oltre e coglie nella tragedia l’essenza dei fatti. Sì, perché forse riusciamo a comprendere quelle parole di Papa Francesco che a Lampedusa ci diceva che “Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere”. Cos’è l’esperienza del piangere se non la reale commozione dell’uomo davanti al dramma umano ? Si potrebbe quasi dire che con la commozione degli uomini e delle donne di oggi l’umanità si è salvata. Come accennato prima, a piangere erano anche i sopravvissuti e questa, al di fuori da uno sguardo banale e approssimativo, è la dimostrazione che qualcosa cambia. Sì, il cuore dell’uomo, anche del nuovo europeo che giunge nelle nostre coste, è un cuore intriso di mistero e bisognoso di conversione, cioè di “volgere lo sguardo verso”. Volgere lo sguardo verso quel passato pieno di sofferenze che diventa “palestra del dolore”, e commuoversi per non rimanere freddi come se ormai il dramma dell’olocausto del mediterraneo sia un fatto scontato:una scia di morte per cui nessuno potrà mai fare nulla. E’ la loro commozione, quella dei nuovi europei, e la commozione dei vecchi europei insieme che dona a noi la possibilità di ribaltare il paradigma di un’assenza di visione. E’ un terremoto delle coscienze che porta alla ricostruzione di un pensiero euro-mediterraneo: Europa terra di tutti, Europa terra dei popoli che soffrono. Non a caso Ghoete, citando lo stesso passaggio ripreso all’inizio della cerimonia di commemorazione dal Sindaco di Catania Enzo Bianco, definisce l’Europa come “Centro meraviglioso di tanti raggi della storia universale”. Sono tanti i raggi che si incastrano in questa nostra storia europea, sono raggi di storia universale di popoli e di singoli che nelle coste, nei luoghi di accoglienza, nelle chiese, nei luoghi di incontro ma anche nelle isole stanno plasmando questo centro che li raccoglie. Ghoete, un europeo del 700, lo definisce un centro meraviglioso, adesso gli europei del XXI secolo hanno il compito di definirlo. Ma questa affermazione non vuole essere una frase ben scritta o un’espressione ridondante e vuota. Un principio di definizione c’è, la storia di questo centro comincia a prender forma. Lo fa in quel Santo incontro – santo perché gradito a Dio – tra le domande dei giovani della sponda Nord del mediterraneo e quelli della...
Felix Asante è un giovane richiedente asilo politico che il giorno del funerale di Stato a Catania per le vittime del tragico sbarco del 13 Maggio in cui hanno perso la vita diciassette persone, ha offerto alla cittadinanza la propria testimonianza. La testimonianza di un ragazzo di appena diciannove anni, che la traversata l’ha fatta, riuscendo a sopravvivere e trovando in Italia un’inaspettata sorpresa: Conoscendo la Comunità di Sant’Egidio infatti si è sentito a casa ed ha deciso di impiegare le sue forze per aiutare chi è più povero e per costruire la pace. Salve Felix, raccontaci un po’ di te Sono nato diciannove anni fa, da mamma ganese e da papà maliano, lei era una commerciante, comprava cose in mali e le vendeva in Ghana. Là ha conosciuto mio padre, hanno avuto una relazione e lei è rimasta incinta. Purtroppo sposarsi non era possibile, perché mia mamma era musulmana e mio padre cristiano, e ci sarebbe stato il matrimonio solo se mia mamma fosse diventata cristiana. La famiglia di mia madre non ha accettato. Come era la tua vita in Africa? Impossibile, era una vita insostenibile a causa di tanti problemi,per questo motivo ho cercato di trovare una vita migliore. In Africa non c’è pace, non la conosciamo nelle famiglie, nella vita, nei cuori, fuori fuori e dentro casa. Quindi, cosa hai fatto? Ho cercato di arrivare in Libia. Ma per arrivare in Libia devi passare dal deserto: lì o sopravvivi o muori. Molti miei amici sono morti, tante, tante persone, io sono fortunato perché sono rimasto vivo. E una volta in Libia? Stare in Libia non era buono, sono stato prigioniero e ho subito tante torture. Sono stato preso a botte, nel mio corpo porto i segni delle torture ed ho deciso di venire in Italia. Poi cosa è successo? In prigione ci facevano lavorare, sono stato lì diversi mesi. Un giorno mi hanno detto di scendere in spiaggia e mi hanno messo su una barca. Non sapevo cosa sarebbe successo, non sapevo che sarei venuto in Italia. Grazie al cielo sono arrivato vivo. Come hai conosciuto la Comunità di Sant’Egidio? A dicembre, durante il Pranzo di Natale, sono entrato a fare parte dei Giovani per la Pace della Comunità di Sant’Egidio. Farne parte ha cambiato la mia vita, è stata la mia svolta, perché quando vivevo in Africa non conoscevo la parola ‘pace’, io stesso non avevo pace. Noi giovani africani veniamo in Europa perchè è una terra di Pace. Oggi in questa giornata di dolore hai raccontato la tua storia, come ti senti ad essere qui? Anche io sono passato attraverso il mare e quello che è successo a queste persone sarebbe potuto succedere anche a me. Dio ci ha salvati. Ho visto la morte con i miei occhi”, nella mia barca abbiamo avuto lo stesso problema. Sono veramente triste oggi. Felix, qual è il tuo sogno? Sono contento di quello che il Governo italiano e gli italiani hanno fatto per me. Lavorerò duro per l’Italia...
Vi proponiamo il video della serata finale di Pmsv 2014 svoltasi all’Auditorium Parco della musica a Roma.
150 giovani delle scuole di Roma alle Fosse Ardeatine per rinnovare il tragico ricordo del ’44.
RedazioneOggi 17 maggio la Comunità di Sant’Egidio ha riunito i giovani delle scuole romane da vari quartieri di Roma, per ricordare l’eccidio delle Fosse Ardeatine e insegnare loro che certe tragedie non si devono ripetere più. i ragazzi hanno attraversato i cunicoli e le cave dove è stato compiuto l’eccidio, osservando attentamente ogni singola roccia di quel buco di orrore che ha caratterizzato la morte di tutte quelle persone innocenti. Una volta raggiunto il cimitero memoriale ognuno di quei ragazzi si è soffermato attentamente nell’osservare le tombe di quella gente e notando con tristezza la presenza di uomini rimasti ignoti. Nonostante non avessero nome, sono rimasti nella loro mente come vittime morte invano e consegnate nelle mani di Dio prematuramente. L’uomo più anziano aveva 75 anni ed era probabilmente il ‘capo famiglia’ dei Di consiglio, una famiglia di ebrei presa e strappata via dalle proprie mogli e dalle proprie case. Il più giovane degli uomini sacrificati aveva 15 anni ed era un falegname, il secondogenito dei Cibei, Duilio, morto insieme a suo fratello Guido Cibei. Molti di loro erano di religione ebraica e le loro tombe erano caratterizzate dalla presenza di piccoli sassolini, come si usa nella tradizione ebrea, mentre sulle altre c’era un fiore. I giovani hanno visitato anche il piccolo museo del luogo ed hanno letto i famosi ‘volantini volanti’ che gli Alleati lanciavano dagli aerei per diffondere le idee della liberazione anziché della guerra. Prima di andare via i giovani hanno letto tutti insieme alcuni dei pochi messaggi che gli uomini avevano lasciato prima di morire con la consapevolezza che quelle sarebbero state le loro ultime parole. Uno di questi messaggi ha colpito particolarmente tutti quanti perché si trattava di una preghiera per la sorte degli ebrei anziché per se stesso. infine i ragazzi si sono incamminati in una marcia silenziosa ripercorrendo all’inverso il tragitto per arrivare all’ingresso dove hanno depositato una corona di fiori da parte dei Giovani per la Pace e della Comunità di Sant’Egidio. Donata la corona i ragazzi sono tornati alla loro vita spensierata insieme ai loro amici della Comunità di Sant’Egidio, ma con qualcosa in più nei loro cuori. Articolo scritto da Agnese, dei Giovani per la Pace di Roma.
Dopo l’articolo di Angela e Paola, Giovani per la Pace di Catania, sull’accoglienza ai migranti arrivati con la nave militare Grecale, proponiamo un video che racconta quelle ore.
Quante cose sono cambiate dal quel fatidico 10 Agosto 2013 e quante ancora, purtroppo, sono rimaste immutate: anche ieri, 14 Maggio 2014, la città di Catania e la Sicilia intera si sono piegate di fronte allo sbarco dei 206 immigrati sopravvissuti, grazie all’intervento di Mare Nostrum (operazione militare ed umanitaria che fronteggia l’emergenza migranti nello stretto siciliano), al tragico naufragio dell’ennesimo “barcone della speranza”. C’erano stampa, politica e polizia. C’eravamo anche noi, movimento “Giovani per la Pace” della Comunità di Sant’Egidio. Da sempre impegnati nell’aiutare chi è meno fortunato, chi ha bisogno di ritrovare la speranza o soltanto di un’amicizia, siamo corsi sul posto, impazienti di assistere all’arrivo dei nostri “amici del mare”. Ed eccoli, alle 18 del pomeriggio, approdare al porto di Catania, distrutti, malconci, ma comunque con la delicatezza di chi apprezza un aiuto ed un “welcome” e ti saluta al suo arrivo, ti ringrazia e ti porge un altro saluto quando sale sull’autobus che lo sta portando a passare la notte in un palazzetto. Perché d’altronde non è il lasciarsi accogliere con gentilezza la parte più bella dell’accoglienza stessa?! Osserviamo uno per uno i volti di ognuno dei 206 sopravvisuti con la consapevolezza che su quella nave non hanno viaggiato solo loro… Sono 17. Sono 12 uomini e 3 donne. Sono 2 bambini. Sono insieme, ognuno coperto dal proprio lenzuolo bianco. Noi eravamo lì per attendere anche loro e per dargli il nostro saluto nel modo più semplice e modesto possibile, ovvero pregando e porgendo un fiore sui loro corpi prima di essere portati via. Non li conoscevamo ma questo non ci ha impedito di piangere di fronte ai loro corpi, di sentire la stessa tristezza e la sopraffazione che si prova quando si perde una persona a noi cara, di avere un magone in gola che non ti lascia parlare. A scrivere siamo proprio noi, due Giovani per la Pace, che non conoscevano direttamente le tragiche vicende che vedono protagonisti un popolo speranzoso ed un mare assassino se non grazie ai telegiornali, e che ieri si sono ritrovate davanti a due grandi esempi di vita e di morte ed una cosa ci è apparsa subito molto chiara: non dobbiamo smettere di aiutare. Lo facciamo noi giovani siciliani, reputati “la generazione perduta”, devono farlo tutti: dai nonni agli zii, dall’Italia alla Germania. Non esistono distinzioni di colore, religione, età, cultura. Su quella nave viaggiavano siriani, eritrei e nigeriani. Viaggiavano INSIEME. E allora non dovremmo anche noi lavorare insieme per il bene comune? Non dovrebbe lavorare con noi la Libia per mettere fine ai gravi conflitti che la vedono protagonista da troppi mesi? L’unione fa la forza, noi ci crediamo. Dobbiamo lavorare per loro, dobbiamo rimboccarci le maniche. Tra i tanti sopravvisuti a questa tragedia, la nostra attenzione è stata catturata da due bambini. Fratello e sorella, scendono dalla nave con dietro di loro una figura femminile che si identifica come loro zia. Quest’ultima, dei nipoti non vuole saperne nulla. I bimbi hanno perso i loro genitori...
Il primo maggio 2014, a San Giovanni Gemini, nell’Agrigentino si è tenuta la manifestazione “Giovaninfesta” dal tema “Don’t pass over” ovvero “Non passare oltre”. La manifestazione ha visto coinvolti più di quattromila giovani, che hanno impiegato un giorno di vacanza per ascoltare diverse testimonianze. La prima, da parte del signor Costantino Baratta, un uomo comune che con tanto coraggio è riuscito a salvare la vita di undici migranti sbarcati sulle coste dell’isola di Lampedusa. L’uomo ha raccontato di essersi accorto di alcune persone in mare, bisognose disoccorso e con grande prontezza, ha offerto loro un efficace aiuto e, dopo averli salvati, li ha accolti nella sua casa, aiutandoli a mettersi in contatto con le loro famiglie. E’ stata messa in risalto la determinazione dell’uomo a “non passare oltre” ma invece, a preoccuparsi di salvare le persone in pericolo. Un’altra significativa testimonianza sull’immigrazione è quella di Felix, Giovane per la pace di Mineo, che ha raccontato il suo passato di sofferenze e pericoli prima di giungere sulla nostra terra, condividendo con il numeroso pubblico, le emozioni di paura, di sconforto provate durante il suo pericoloso viaggio dove ha più volte rischiato la vita. E’ stato arrestato in Libia ingiustamente, perchè scambiato per un sostenitore del dittatore Gheddafi: lì ha subito molte ingiustizie e torture durante i mesi di reclusione e, ormai libero, è riuscito a raggiungere le coste della nostra isola. Alla fine della testimonianza ha esclamato con gioia di aver finalmente trovato la pace e l’ospitalità presso la Comunità di Sant’Egidio – Sono molto felice di essere qui- ha affermato sorridendo. Tra divertenti coreografie e coinvolgenti canzoni, quello della “mafia” diventa l’argomento trattato attraverso la testimonianza dell’ imprenditrice Valentina Ferraro che con ammirevole coraggio ha denunciato Mario Messina Denaro, fratello del boss mafioso Matteo Messina Denaro. Forte infatti e a più riprese, è stata la presa di posizione contro la Mafia del Vescovo di Agrigento, Francesco Montenegro. La manifestazione si è conclusa con il brano “ We want peace” eseguito da Felix e da altri due Giovani per la Pace di Mineo, realtà composta da giovani richiedenti asilo politico, che hanno voluto dedicare il loro pensiero alla pace nel mondo. Nelle ore del pomeriggio, vari stand sono stati aperti al pubblico, compreso quello dei “Giovani per la pace” di Catania. Abbiamo lanciato una raccolta firme, rivolta alla pubblica amministrazione catanese per ottenere una targa commemorativa per le vittime dello sbarco a Catania del 10 agosto 2013. Firma on line la petizione dei Giovani per la Pace Incontrando i giovani dell’agrigentino abbiamo illustrato i servizi dei “Giovani per la Pace”, rivolti ai più poveri e invitato i passanti incuriositi a conoscere in modo più approfondito la Comunità di Sant’Egidio e soprattutto a farne parte. Con alcuni di loro, provenienti da tutte le parti della Sicilia, si prospetta di aprire delle nuove sedi laddove ce ne sia bisogno. Qualche ora dopo, gli stand vengono chiusi e la giornata si conclude con la felicità di aver passato un
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