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Andrea Riccardi al Virgilio: “Tutto può cambiare, dipende anche da noi”

Gli studenti incontrano un noto ex alunno del Virgilio, Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio

In una scuola con 90 anni di storia non si tiene il conto degli studenti, degli insegnanti, dei presidi che ci sono passati, con i loro sogni, le loro vite quotidiane, mentre il mondo fuori cambiava e a suo modo entrava nella scuola stessa.

Il liceo Virgilio di Roma, a pochi passi da piazza Navona, non è solo un edificio con una storia lunga, ma anche il luogo in cui Andrea Riccardi, con altri studenti del Virgilio, diede vita a una comunità, che prenderà il nome di Sant’Egidio, che in 50 anni di storia ha vissuto e vive la solidarietà in diversi scenari del mondo — come ha raccontato oggi nell’aula magna ai “virgilioti” (o “virgiliani”), curiosi di conoscere da questo ex allievo illustre, nonché storico, come la Comunità si sia affacciata su grandi sfide come la pace in Mozambico, giunta dopo decenni di guerre, ma anche l’educazione dei bambini in periferia con le Scuole della pace.

Roma cinquant’anni fa era piena di giovani. Nei quartieri dove ora si vedono passeggiare anziani con badanti, c’era un continuo incontrarsi di giovani. Si vedevano nell’ondata dei movimenti studenteschi che nel 1968 si agitava e voleva cambiare. « Il 1968 è stato una rivoluzione politica fallita, ma è stata una grande rivoluzione antropologica, che ha cambiato i costumi della nostra società» ha detto Riccardi, ricordando come presto si fossero riprodotte tra gli studenti le dinamiche della politica, nella contesa tra piccole leadership. Il mondo degli adulti faceva fatica a dialogare con i giovani. Anche quel famoso preside del Virgilio, ricordato nella scuola, il professore Giuseppe Dall’Oglio, un personaggio umanista e liberale, che incontrò il patriarca Athenagoras, il quale riaprì con Paolo VI il dialogo tra la Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica. Gli studenti del Virgilio andavano in gita in Grecia, in Egitto, in Turchia, in tempi in cui le gite arrivavano a Firenze o al massimo a Venezia. Il preside inoltre aveva gemellato la scuola con un lebrosario in Uganda e aveva “imposto” agli studenti di vedere un documentario sulla missione. La scuola era anche legata a un orfanotrofio. Andrea Riccardi racconta delle molte conversazioni avute col preside e lo ricorda in difficoltà quando decise di partecipare a un’assemblea degli studenti nel ’68. L’aula magna in cui Riccardi parla agli studenti era diversa da oggi: non sarebbe stata a norma, aveva dei tavoli, dove ora è la piccionaia c’erano delle classi. Durante l’occupazione, a un certo punto arrivò un ragazzo che disse: «L’università è stata occupata. La polizia sta andando contro l’università con i carri armati». L’allarme era un po’ fantasioso. Il preside allora gli rispose: «Non è vero. Vi faccio sentire la radio». Gli studenti fischiarono e uno addirittura si alzò e disse: «La radio è controllata dal regime». Dall’Oglio si chiedeva allora cosa potesse fare e da quel ’68 ebbe una grande delusione.

Nel 1969 Andrea Riccardi ottiene la maturità classica e descrive tre scenari di quel che venne dopo, per quei ragazzi di quella che sarà la Comunità di Sant’Egidio e che avevano iniziato a incontrarsi alla Chiesa Nuova.

Primo scenario. Nasce la Comunità di Sant’Egidio a Roma

La Comunità che prese il nome di Sant’Egidio nasce nel clima del 1968. Gli studenti che partecipavano si resero conto del fallimento del 1968 nelle sue aspirazioni e pensarono che bisognasse uscire dalla scuola e provare a conoscere Roma.

La Roma di quegli anni, della fine degli anni Sessanta, non era la Roma di oggi. Era una Roma che per certi aspetti sembrava una città da terzo mondo. Aveva più di centomila persone che viveva in baracche. Era la Roma delle grandi borgate come Primavalle, Garbatella, il Tufello, in cui esisteva un problema di giustizia per quel che riguarda la scuola. I ragazzi, i bambini non andavano a scuola. C’era il lavoro minorile.

Io mi ricordo per esempio l’esperienza della povertà, della sottomissione della donna, della violenza sessuale sui figli e sui bambini. Era questa la realtà di quelli che erano emigrati dal Sud dell’Italia.

Il 1968 era anche l’anno di Lettera a una professoressa, sulle orme di don Milani. Ripensare il destino dei piccoli delle periferie significava andare tra le baracche, come quelle di ponte Marconi, al Cinodromo. Era l’idea di una scuola che aiutasse questi ragazzi, pur comportando un’esperienza forte per ragazzi borghesi di un liceo romano. Non c’era solo la Roma sacra, della Chiesa, e la Roma ufficiale, delle istituzioni.

«L’inizio di Sant’Egidio è al Virgilio, ma il suo momento genetico è l’incontro tra gli studenti e la periferia». Allora cominciò il radicamento nella periferia, con delle sedi. A Primavalle era uno scantinato sotto un palazzo. A fondamento di questa Comunità si pose il Vangelo e non l’ideologia come capitò a movimenti nati nel 1968. Sant’Egidio trae ispirazione dal rinnovamento portato dal Concilio Vaticano II.

La scelta non per l’ideologia, ma per una dimensione solidale, ha permesso di aiutare le persone in difficoltà e a fare di più del semplice aiuto, creando un tessuto comunitario e solidale.

La grande malattia della città ci pareva la solitudine, perché la solitudine è una povertà in più per chi è povero. Perché da soli, soprattutto se deboli, se anziani, non si riesce a vivere. Quindi la solidarietà, l’amicizia è anche una risposta alla povertà. 

Secondo scenario. L’Africa della guerra e dell’impegno per la pace

La Comunità prende il nome di Sant’Egidio perché i giovani trovano per riunirsi una chiesa con questo nome a Trastevere. Era un piccolo monastero carmelitano abbandonato.

Dallo scenario della Roma povera, delle periferie e della solitudine, i giovani di Sant’Egidio si sono confrontati con gli scenari del mondo, in particolare del Sud.

È un mondo diviso in blocchi, quello della guerra fredda, tra paesi sotto l’influenza della NATO e paesi sotto influenza sovietica. «L’Africa che non era divisa dalla cortina di ferro come l’Europa era terreno di confronto». Un altro ex studente del Virgilio, Matteo Zuppi, oggi arcivescovo di Bologna, ha lavorato con Andrea Riccardi sugli scenari africani.

Il Mozambico, allora di 13 milioni di abitanti, un paese ex colonia portoghese che aveva conquistato l’indipendenza nel 1975 era dilaniato da una guerra civile tra un governo comunista e una guerriglia anticomunista, ma era un paese immerso nella fame. Non posso dimenticarmi la visione del mercato centrale della capitale, di Maputo, un grande mercato in cui si vendeva solo pesce secco.

La Comunità di Sant’Egidio allora portò aiuti allo sviluppo, alla fame, ma niente poteva migliorare con la guerra.

Per andare da una città all’altra non si poteva percorrere la strada, ma bisognava prendere l’aereo, perché il territorio non era controllato e la gente affluiva in città e la fame aumentava. Allora decidemmo di lavorare sul problema della guerra, di cercare la guerriglia, di incontrare quelli che combattevano contro il governo, di capire le loro ragioni, di parlare con quelli che erano dalla parte del governo e che consideravano banditi armati quelli della guerriglia.

Potrebbe venire da chiedersi come questo sia legato a una realtà che nasce dal Virgilio e dalle periferie. Per Andrea Riccardi tutto questo è legato a un impegno personale di cui c’è bisogno per far venire la pace.

 Io penso che la guerra è la madre della povertà e che se uno vuole lottare contro la povertà in certi paesi devi lottare contro la guerra. E poi mi sono convinto, con tutti il rispetto per i militari e i diplomatici, che la guerra è una cosa troppo seria per lasciarla ai militari, ai diplomatici e ai politici e che ognuno di noi deve lottare per la pace, che è il compito per ognuno di noi, e soprattutto un cristiano

Anche senza essere dei professionisti, iniziò il dialogo tra i due schieramenti opposti, a Sant’Egidio. Sfociò in un negoziato formale appoggiato dal governo italiano, inglese, francese, portoghese e dalle Nazioni Unite. Nel 1992 è firmato l’accordo di pace.

Il Mozambico e l’Africa ora sono un’altra cosa.

Oggi Sant’Egidio in Mozambico è una realtà di base di africani, che lavorano, che lottano per la solidarietà nel loro paese. Ma qui c’è la scoperta. Ma come gli africani lottano per la solidarietà gratuitamente come fossero gli italiani? Sì, perché nessuno è mai tanto povero da non poter aiutare un altro povero. Oggi l’Africa è cambiata. L’Africa non è più solo miserabile, è ricca, ricchissima, ma questa ricchezza non è distribuita e ci sono enormi povertà. Se andate a Maputo, o ad Abidjan, vedete la città ricca, che è città di africani, ma vedete anche le enormi bidonville, le baracche, la miseria e lì nasce il sogno dell’emigrazione dei giovani.

Terzo scenario. Il futuro dopo il 1989

Il terzo scenario è quello in cui sono nati gli studenti ai quali Riccardi si rivolge, che vivono il mondo dopo il 1989. «La caduta del muro di Berlino è stata una grande sorpresa». Non se lo aspettava il cancelliere Kohl e non se lo aspettava nemmeno Riccardi stesso, che racconta come alla Preghiera per la pace del 1986 a Varsavia quell’avvenimento sembrava destinato a non avverarsi mai.

Il mondo dopo il 1989 è un mondo globale caratterizzato da tante connessioni, un mondo di immigrazione. Gli europei che andavano per il mondo cominciano ad avere paura di perdere la propria identità e si parla di scontro di civiltà e scontro di religioni, temendo un’invasione islamica.

Di fronte a questo scenario, Riccardi ricorda tre mondi.

Gli anziani. Sono tanti e spesso la loro fine è nella solitudine degli istituti e «la soglia di civiltà di una società è sapere accogliere e aiutare gli anziani»

I disabili. Riccardi auspica che al Virgilio e nelle scuole sia ospitata la mostra di pittura degli artisti con disabilità di Sant’Egidio, che hanno una dimensione artistica forte e capace di lanciare un messaggio di solidarietà alla città.

I Giovani per la Pace. Sono giovani che capiscono che la loro vita non è solo studiare ma anche lavorare per gli altri.

Sono tanti i mondi di cui si può parlare, come quello dei senza dimora, quello degli stranieri che arrivano affrontando viaggi pericolosi e di quelli che arrivano con i corridoi umanitari. «Non dobbiamo dimenticare che in Libia ci sono 700 mila persone in stato di detenzione» ha aggiunto.

Tutto può cambiare

Andrea Riccardi ha concluso la sua lezione dando una prospettiva, che non è quella di guardare al passato.

Non bisogna mai rassegnarsi: tutto può cambiare. Tutto può cambiare. A me colpì una volta Giovanni Paolo II, molto malato, che fece un discorso e che con una voce flebile e forte disse: “Tutto può cambiare. Dipende anche da te”. Nella storia di Sant’Egidio c’è scritta la forza delle scelte dei singoli, della generosità dei singoli, dell’impegno gratuito dei singoli. Dice Martin Buber, un grande sapiente ebraico: “La leva con cui sollevare il mondo è il cambiamento di se stessi e nessuno mi può impedire il cambiamento di me stesso. Tutto comincia da me, dalla mia genersotià, dalla mia aperutra agli altri, dal dialogo”. Tutto comincia da me e quindi io posso cominciare a cambiare il mondo da me stesso e dal mondo che mi sta intorno. In questo senso bisogna essere audaci, ma l’audacia comincia da noi stessi. 

Con questa testimonianza, Andrea Riccardi rivolge ai giovani l’invito a diventare protagonisti della pace, in modo più audace di quanto venga richiesto dai messaggi della società, perché sono messaggi terribili. “Voi non troverete lavoro” si ripete ai giovani. “Studiate sì, ma non serve a niente”. Di fronte a questi messaggi intimidenti, una via è quella della responsabilità che dice “tutto può cambiare, dipende anche da noi”.

 

Dalla lectio magistralis del prof. Andrea Riccardi al liceo Virgilio

dal titolo “Dal Virgilio al mondo intero”

Roma, 26 febbraio 2019

 

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