Nelle colorate città europee, si cominciarono a togliere i colori, ad uno ad uno. Viene in mente ...
Mese: January, 2017
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Mi colpì così tanto che decisi di provare. “Perché no?” mi dissi, “Cosa ho da perdere?”. È stato a partire da quella sera e da lì, accanto alla roulotte dei fratelli, che ho imparato che il cambiamento avviene solo quando persone normali, mai qualsiasi, si uniscono per ottenerlo.
Quest’anno l’inverno è più rigido che mai. A soffrirne sopratutto sono le persone che vivono per strada. Storie di emarginazione, di dolore, di solitudine che diventano storie di miseria di chi finisce a non avere nemmeno un tetto sopra la testa. Noi giovani per la pace non ci stiamo! Non possiamo permettere che ancora nel 2017 si muoia “di strada”. Una coperta può salvare una vita! Da anni ci occupiamo dei senza fissa dimora delle nostre città andandoli a trovare la sera. Per noi la morte di un barbone è un lutto personale, uno scandalo inconsolabile! Abbiamo già consegnato negli scorsi giorni migliaia di coperte in tutta Italia, frutto della solidarietà dei cittadini che hanno voluto aiutare i poveri grazie agli appelli dei singoli gruppi di giovani per la pace. Ma non basta. Serve una mobilitazione nazionale per assicurare un “ciclo continuo” di raccolta e consegna di coperte, plaid, sciarpe maglioni lungo tutto l’inverno. L’Italia è un paese straordinario che ancora conserva legami forti di solidarietà. ABBIAMO BISOGNO DI VOI! Aiutateci a riscaldare l’inverno dei senza tetto. Porta una coperta, Salva una vita! Ma anche organizza con noi cene, feste solidali per comprare sacchi a pelo e piumoni, aiutaci sponsorizzando questa iniziativa sulla tua bacheca facebook, vieni con noi a conoscere i poveri. Noi non accettiamo la morte dei poveri, non accettiamo l’indifferenza! Vi promettiamo che scaldare l’inverno dei senza fissa dimora sarà la cosa che più ci scalderà il cuore! QUI puoi trovare tutte le sedi dove i Giovani per la Pace si ritrovano per i servizi ai poveri o le riunioni, che per questa emergenza diventeranno punti di raccolta straordinari. Avvisaci prima di passare con una una mail a [email protected] lasciando anche i tuoi recapiti così potremo contattarti se ci fossero variazioni negli orari o negli indirizzi. Non hai trovato quello che cercavi? Scrivici o mandaci un messaggio privato sulla nostra pagina Facebook.
Armati di scarponi sciarpa e cappello, ci siamo incontrati la mattina presto a Piramide, Roma. Il viaggio è durato più del previsto perchè siamo dovuti passare per L’Aquila: le strade più rapide, che passavano per la campagna non sono ancora agibili. Dopo una piccola sosta abbiamo intrapreso le stradine vorticose che portavano su ad Amatrice. L’atmosfera chiassosa che si era inizialmente creata in pullman è subito scomparsa appena si sono intraviste le mie prime case, o meglio quello che è rimasto delle case, tante rovine. Un velo di silenzio ci ha avvolti tutti mentre ci guardavamo l’un l’altro, senza commentare, e il silenzio è continuato appena scesi dal pullman, quando abbiamo iniziato la nostra processione per ricordare, tutti insieme, ognuno con un fiore in mano e senza parlare, un po’ per scelta, un po perchè avevamo un nodo in gola, le trecento vittime del terremoto del 24 Agosto 2016. Ci siamo fermati a fare foto alle rovine, ad un paese che ormai è un po’ diventato come il paesaggio di una foto, immobile. Agli incroci si vedevano le forze dell’ordine, pompieri e vigili ancora sul posto anche se sono passati molti mesi, mentre ogni tanto passava qualche abitante, che sostava a guardarci. Passati per case crollate e demolite, la scuola e la piazzetta, siamo arrivati al Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, dove abbiamo lasciato i nostri fiori sul monumento di commemorazione per la gente di Amatrice, dopodiché siamo tornati alla chiesa dove eravamo stati accolti, e ci siamo raccolti in un momento di preghiera. Poi ci siamo divisi in quattro gruppi per andare alle varie mense allestite dalla protezione civile e dagli anziani rimasti senza casa che sono stati ospitati in una casa di riposo a Borbona, un’ora di macchina da Amatrice. Il mio gruppo è andato alla mensa di Sommati, in cui ci ha accompagnato un autobus locale. Avevamo preparato dei pacchetti da regalare con frutta e cioccolatini, che abbiamo distribuito tra i presenti alla mensa. Tanti gli uomini e le donne della Protezione Civile, tanti gli sfollati, tra cui bambini. Le cuoche ci hanno gentilmente invitato a sederci, e ci siamo sparsi per la sala a chiacchierare con le person e a giocare con i bambini. Ci hanno raccontato le loro storie e come hanno vissuto il terremoto. Abbiamo fatto festa con loro, li abbiamo rallegrati, ricordato di non essere soli e di non essere stati dimenticati, e poi ci siamo promessi di rivederci. E con questa promessa ce ne siamo andati, per la prima volta, insieme al ricordo non di numeri, ma di persone. Anastasia GxP Roma
Mentre parli con Hamid, è difficile staccare gli occhi dai suoi piedi. Nel gennaio ventoso del ponente ligure sono nudi, protetti solo da logore infradito di gomma. Intirizziti, pieni di calli e ferite, sono i piedi di chi ha camminato tanto – dal Darfur alla Libia – ha attraversato il Mediterraneo e poi l’Italia per fermarsi al confine con la Francia. In tasca, la foto della mamma: “mi aspetta in Svezia”, spiega. E così ti sorprendi a pensare che anche nella carovana dei Magi, duemila anni fa, forse c’era un uomo con i piedi così segnati dal lungo cammino. Perché sono questi i Magi del nostro tempo: i trecento giovani – africani, afgani, libanesi – ospitati al Parco Roja, nel campo approntato dalla Croce Rossa a Ventimiglia, al confine con la Francia: gente venuta da lontano, seguendo una speranza. Una cinquantina di giovani della Comunità di Sant’Egidio di Genova è venuto a trascorrere qui l’Epifania qui per affermare con la presenza e una festa l’amicizia e la vicinanza ai giovani profughi che si raccolgono nei pressi della frontiera italo-francese. È un’amicizia fedele, iniziata quest’estate con alcune settimane di scuola di italiano, inglese e francese e proseguita il giorno di Natale con un pranzo per le famiglie ospitate nella parrocchia di Sant’Antonio alle Gianchette. Il mattino presto, un pullman è partito da Genova, carico di regali, addobbi, decorazioni natalizie. In pochi minuti il tendone che funge da refettorio si è trasfigurato, colorandosi di rosso e di oro, e animandosi delle note di musiche della tradizione natalizia alternate alle ultime hit di musica africana. Per ciascuno datteri, frutta secca, un piatto di riso con spezzatino di carne e verdure, panettone. Tutto rigorosamente halal, per rispetto delle diverse tradizioni alimentari. E poi, un regalo a ciascuno: zainetti, casse per i cellulari, torce elettriche. Hamid guarda il suo zainetto, sfiora con le dita le scritte bianche fosforescenti e ringrazia: «di notte – spiega – questo si vede bene». Proprio la notte precedente, infatti, è morto il sesto ragazzo in pochi mesi, travolto da uno scooter sulle strade buie dei dintorni. I suoi amici non mangiano, chiusi in un dolore muto. Tutta la sala si raccoglie in silenzio per ricordarlo: si chiamava Mohamad Hani, aveva 27 anni. Con lui i ragazzi vogliono ricordare anche il motociclista coinvolto nell’incidente che in queste ore lotta tra la vita e la morte: la sofferenza e il lutto – almeno quelli – non conoscono le frontiere. Dopo il pranzo, qualcuno porta l’amplificazione sul piazzale e la musica spazza via ogni pensiero triste. Ciascuno coinvolge gli altri nei propri balli nazionali, cancellando per un’ora ogni denominazione geografica: non ci sono italiani, gambiani, bengalesi, ma giovani che si muovono a ritmo – o, per lo meno, ci provano – e provano a costruire legami di amicizia in attesa, domani, di rimettersi – tutti – in viaggio. «Nei momenti difficili – spiega Maria, diciottenne genovese – le famiglie si stringono di più insieme. Noi vogliamo fare questo: incontrare, conoscere, perché...
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