Ho visto Napoli negli occhi degli ultimi. Chiedevano amore.

Ad un certo punto della mia vita mi sono resa conto che su qualunque angolo posassi lo sguardo, capivo che Napoli era un dono. Napoli è un dono. Ma uno di quelli che ti sorprende per sempre. La bellezza, la storia, l’antichita e la modernità di una tradizione viscerale, quella meraviglia impeccabile di mare e terre che il mondo ammira. Se ne vanno tutti con gli occhi pieni, c’è poco da fare. Si attacca addosso come il sale e il sole.
Ma ci sono le mattine che ti spaccano il cuore. Ti prendono il dono e lo gelano. Stamattina si è spaccato un’altra volta, mica è la prima.
I cassonetti hanno preso fuoco a via Settembrini e dietro i cassonetti c’era un uomo, che ha la strada come casa, non è mica l’unico, ma stava per diventare cenere. E forse non sarà stata neanche la paura più grande della sua vita, perché probabilmente a ridurre a brandelli la sua anima sono stati i giorni che ha vissuto senza ostacoli tra sè e il cielo, o i giorni prima ancora. È vivo, e questa vita che si porta dietro quasi come una colpa non fa rumore.
Stamattina in mezzo ai clacson e alla carta stampata c’era silenzio.
Stamattina ed altre volte sento che questa violenza insidiosa ci strappi il dono dalle mani.
Certi giorni è come svegliarsi da bambini e non trovare più nessuna sorpresa sotto l’albero di Natale, sicuri che la sera prima c’era.
Napoli è il dono che va portato in salvo. Non cadono bombe sulla nostra città, ma è piena di macerie visibili e invisibili provocate da una diffusa indifferenza che infligge continue ferite.
Stanotte un uomo stava per diventare cenere, perché le fiamme cancellano e lasciano poche tracce. E annullano quella possibilità che gli ultimi possano diventare i primi.
Ma forse gli ultimi sono i primi.
Il bagaglio di queste vite è molto più pesante delle loro valigie e dei loro stracci sporchi. Più pesante delle nostre, che tante volte distratti da altro potere, lasciamo da parte.
Gli ultimi mettono in salvo i nostri sogni.

Ad un certo punto della mia vita ho provato a guardare negli occhi degli ultimi, e ho capito che erano un dono.

Quando la notte cala sul porto, quelle luci riflesse nel mare sono lampade sui comodini di chi di quelle panchine delle attese, fa il cuscino su cui dormire. E non c’è pioggia che tenga, nè freddo che cambi. Quel porto è per tanti il ritorno a casa dopo giorni stanchi e sempre uguali. È l’attesa di qualcuno che passi e gli presti la voce per gridare.
A Napoli non c’è mai silenzio. Eppure a volte tutto tace.

Stanotte i cassonetti bruciavano.

Ma perché dimenticare la bellezza di quando brucia alto il sole sui vicoli dove crescono bambini pieni di speranze che non possiamo disattendere, sulle mani conserte degli anziani dietro i vetri, su chi scappa dalla guerra e ritrova la pace a casa nostra, sulla nostra giovinezza e sulla possibilità che abbiamo di cambiare le tristezze di questa città incredibile, e di far sì che sia ogni giorno un Natale di doni per tutti, allo stesso modo. Perché dimenticare la bellezza di poter riempire di coraggio e rinascita una pagina bianca di una storia tutta nostra.

Stanotte i cassonetti bruciavano.
Non possiamo più voltarci dall’altra parte, perché non c’è più nessuna altra parte. Possiamo solo guardarci negli occhi ed avere cura di qualcosa che ci appartiene profondamente, come le vite degli altri.

Ho visto Napoli negli occhi degli ultimi. Chiedevano amore.

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