Il papa in America: al nervo delle questioni

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Papa Francesco ha visitato Cuba e gli Stati Uniti nel viaggio apostolico appena concluso, il 28 settembre. Ha visitato il Congresso (il parlamento) degli Stati Uniti e la sede dell’Onu, quest’ultima già visitata cinque volte dai papi: Paolo VI nel 1965, Giovanni Paolo II nel 1979 e nel 1995 e Benedetto XVI nel 2008.

Questi due discorsi sono destinati a risuonare per lungo tempo in due importanti istituzioni democratiche del mondo: nel Congresso, ossia il ramo legislativo dell’importante economia degli Stati Uniti in cui hanno sede importanti corporations, i poteri tecnologici le cui decisioni hanno rilevanza mondiale; all’Onu, organizzazione intergovernativa sentita come inerme di fronte alle sfide del nostro tempo, ma che ha posto un argine al disordine globale nei sette decenni dalla sua Carta, quell’importante documento in cui le nazioni, nel 1945, ponevano a fondamento della costruzione giuridica internazionale la pace, la soluzione pacifica delle controversie e lo sviluppo delle relazioni amichevoli tra le nazioni. Spesso strumentalizzata per imporre modelli piuttosto che essere punto di riferimento obbligatorio di giustizia, come ha sottolineato il papa.

Il Congresso e l’Onu si sono trovati davanti a un leader mondiale e morale, per il quale “leadership” significa cogliere il momento per “iniziare processi più che possedere spazi”: questo è l’accenno in modestia al rilevante ruolo svolto nella distensione dei rapporti tra Stati Uniti e Cuba. Essere leader significa sognare e costruire la pace. Un leader sempre più stimato e dunque anche più contrastato, papa Francesco, che chiama le cose con il proprio nome (il narcotraffico è un tipo di guerra) e che indirizza a coloro che sono investiti del potere decisionale le vere questioni del nostro tempo: la cura dell’ambiente come cura dell’essere umano che richiede un approccio integrale “per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e allo stesso tempo per prendersi cura della natura” (Enciclica Laudato si’, 139). Il presupposto è il potere e la volontà di indirizzare la tecnologia, ferma restando la nobile vocazione dell’attività imprenditoriale: il papa non vuole imporre un modello economico e non vuole demolire il capitalismo.

Secondo Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, questo è un punto di novità portato dal papa: la cura dell’ambiente legata all’umanesimo e ai poveri.

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È errato pensare che le parole del papa si pongano in netta discontinuità con il passato e con il ruolo della Chiesa cattolica a livello internazionale. Allo stesso modo sono solo delegittimanti e prive di fondamento le etichette date al papa: “comunista”, “anticapitalista”, “verde”. Già Paolo VI, nel 1965, aveva visto nell’Onu quell’organizzazione sorella che riflette in campo politico quello che la Chiesa rappresenta in campo spirituale. Sempre Paolo VI intuì l’importanza del progresso e della scienza se finalizzati all’uomo e a un destino comune (i computer occupavano ancora  intere stanze, non si poteva immaginare quanto sarebbe seguito). Il papa non promuove l’agenda di nessuno, ma dà sostegno alla modernizzazione e la sua agenda è semmai il Concilio Vaticano II (che proprio al tempo della visita di Paolo VI si stava concludendo): il papa si è inserito in una continuità e ha riaffermato che diritto, giustizia e fraternità si rafforzano vicendevolmente, perché l’affermazione della sovranità del diritto, che propriamente è limitazione del potere, è il presupposto per un’esistenza libera. Insomma, non la sovranità temporale della Chiesa cattolica, come leggono ancora alcuni, dal Duecento a questa parte. Non ha potuto non lodare l’iniziativa dell’Iran Deal, l’accordo con il quale si indirizza a usi civili il nucleare iraniano, risultato di un lungo dialogo diplomatico tra Iran, Stati Uniti, Unione europea, Cina e Russia. È stata la prova della possibilità della buona volontà politica e del diritto: ciò non fa di papa Francesco il “papa di Obama”, non lo fa scendere nell’agone politico.

L’innovazione di legare umanesimo e ambiente, inoltre, deriva dalla stessa lettura profonda della realtà, che punta dritta al nervo della questione: bisogna “cambiare rotta” (Laudato si’, 61) per evitare gli effetti più seri del degrado ambientale causato dall’attività umana. Il papa ha quindi indirizzato al Congresso il problema del cambiamento climatico (climate change), questione tabù, rinnegata da molti Repubblicani e che eppure è evidenza scientifica. Si è detto: “il papa non deve parlare di scienza”. Non si capisce allora perché dovrebbe parlarne un politico negando l’evidenza, quando il papa tra le tante cose è anche perito chimico, tecnicamente uno scienziato. Si spera che i rinvii all’Enciclica Laudato si’, in pratica “consegnata” al Congresso, permettano di seguire percorsi nuovi.

Il papa non teme le critiche e, insistendo sul recupero dello spirito americano (Abraham Lincoln, Martin Luther King, Dorothy Day, Thomas Merton), non ha evitato di portare quelle che per un europeo forse sono verità evidenti: la pena di morte è ingiusta, in nessun modo giustificabile e “se vogliamo vita, diamo vita”; la persona umana non può essere sottomessa al servizio dell’economia e della finanza; l’ambiente è danneggiato dall’uomo; bisogna non solo creare ma anche ridistribuire ricchezza. Negli Stati Uniti tutti questi temi sono molto scottanti e polarizzano il consenso, a differenza di quanto si avverte in Europa: non che in America non sia arrivato il progresso. Il papa non esita a ricordare i grandi nomi della storia statunitense, di chi si è battuto per la giustizia sociale e rilegge quel principio della Dichiarazione d’Indipendenza del 1776 che recita: “Consideriamo queste verità come per sé evidenti, cioè che tutti gli uomini sono creati uguali, che sono dotati dal loro Creatore di alcuni diritti inalienabili, che tra questi ci sono la vita, la libertà e il perseguimento della felicità”. Purtroppo la politica che non cura il bene comune depotenzia subito queste parole fondative, che richiederanno per essere effettive che non vi sia un enorme sproporzione tra i redditi, ingigantiti dal gioco della finanza e dai super-profitti. È il minimo che non vi siano contemporaneamente profitto esorbitante, spreco allucinante e miseria totale. A ostacolare lo stesso “sogno” americano sono le letture infedeli di chi accetta acriticamente il dominio della finanza; di chi nomina sempre il nome di Dio invano a fini politici in quanto afferma che “la pena di morte è il riconoscimento della preziosità della vita umana”; di chi nega il cambiamento climatico; di chi grida al “socialismo” autoritario se si parla di redistribuzione della ricchezza; di chi ribadisce l’infelice “diritto ad avere armi” e a venderne; di chi critica l’accordo con l’Iran per mera contrapposizione alla persona di Barack Obama, senza conoscerne il contenuto.

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Il papa segue l’agenda dell’umanità e non l’agenda di Obama o di una fazione politica o un modello economico. Bisogna diffidare da chi nomina il nome di Dio invano per fini politici: osservando la politica americana è più facile trovare un democratico-indipendente piuttosto che un repubblicano più vicino alle posizioni del papa, per niente eclettiche rispetto al pensiero della Chiesa e al Vangelo.

Dal discorso al Congresso (24 settembre 2015):

“Sappiamo che nel tentativo di essere liberati dal nemico esterno, possiamo essere tentati di alimentare il nemico interno. Imitare l’odio e la violenza dei tiranni e degli assassini è il modo migliore di prendere il loro posto. Questo è qualcosa che voi, come popolo, rifiutate.

La nostra, invece, dev’essere una risposta di speranza e di guarigione, di pace e di giustizia. Ci è chiesto di fare appello al coraggio e all’intelligenza per risolvere le molte crisi economiche e geopolitiche di oggi. Perfino in un mondo sviluppato, gli effetti di strutture e azioni ingiuste sono fin troppo evidenti. I nostri sforzi devono puntare a restaurare la pace, rimediare agli errori, mantenere gli impegni, e così promuovere il benessere degli individui e dei popoli. Dobbiamo andare avanti insieme, come uno solo, in uno spirito rinnovato di fraternità e solidarietà, collaborando generosamente per il bene comune (…)

Ricordiamo la Regola d’Oro: «Fai agli altri ciò che vorresti che gli altri facessero a te» (Mt 7,12).

Questa norma ci indica una chiara direzione. Trattiamo gli altri con la medesima passione e compassione con cui vorremmo essere trattati. Cerchiamo per gli altri le stesse possibilità che cerchiamo per noi stessi. Aiutiamo gli altri a crescere, come vorremmo essere aiutati noi stessi. In una parola, se vogliamo sicurezza, diamo sicurezza; se vogliamo vita, diamo vita; se vogliamo opportunità, provvediamo opportunità. La misura che usiamo per gli altri sarà la misura che il tempo userà per noi. La Regola d’Oro ci mette anche di fronte alla nostra responsabilità di proteggere e difendere la vita umana in ogni fase del suo sviluppo”.

Alessandro Iannamorelli

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