Da Assisi a Tirana: #PeaceisPossible!!

 

Cari fratelli e sorelle,
Capi e rappresentanti delle Chiese cristiane
e comunità ecclesiali e delle religioni mondiali,
Cari amici.

Nel concludere questa giornata mondiale di preghiera per la pace, a cui voi siete intervenuti da molte parti del mondo, accettando gentilmente il mio invito, vorrei esprimere i miei sentimenti, come un fratello e un amico, ma anche come un credente in Gesù Cristo, e, nella Chiesa cattolica, il primo testimone della fede in lui.

In relazione all’ultima preghiera, quella cristiana, nella serie che abbiamo ascoltato, professo di nuovo la mia convinzione, condivisa da tutti i cristiani, che in Gesù Cristo, quale Salvatore di tutti, è da ricercare la vera pace, “pace a coloro che sono lontani e pace a quelli che sono vicini” (Ef 2, 17). La sua nascita fu salutata dal canto degli angeli: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace agli uomini che egli ama” (Lc 2, 14). Predicò l’amore tra tutti, anche tra i nemici, proclamò beati quelli che operano per la pace (cf. Mt 5, 9) e mediante la morte e la risurrezione ha portato riconciliazione tra cielo e terra (cf. Col 1, 20). Per usare un’espressione di san Paolo apostolo: “Egli è la nostra pace” (Ef 2, 14).

È infatti la mia convinzione di fede che mi ha fatto rivolgere a voi, rappresentanti di Chiese cristiane e comunità ecclesiali e religioni mondiali, in spirito di profondo amore e rispetto. Con gli altri cristiani noi condividiamo molte convinzioni, particolarmente per quanto riguarda la pace. Con le religioni mondiali condividiamo un comune rispetto e obbedienza alla coscienza, la quale insegna a noi tutti a cercare la verità, ad amare e servire tutti gli individui e tutti i popoli, e perciò a fare pace tra i singoli e tra le nazioni.

Sì, noi tutti siamo sensibili e obbedienti alla voce della coscienza di essere un elemento essenziale nella strada verso un mondo migliore e pacifico. Potrebbe essere diversamente, giacché tutti gli uomini e le donne in questo mondo hanno una natura comune, un’origine comune e un comune destino?

Anche se ci sono molte e importanti differenze tra noi, c’è anche un fondo comune, donde operare insieme nella soluzione di questa drammatica sfida della nostra epoca: vera pace o guerra catastrofica?

Sì, c’è la dimensione della preghiera, che pur nella reale diversità delle religioni, cerca di esprimere una comunicazione con un Potere che è al di sopra di tutte le nostre forze umane. La pace dipende fondamentalmente da questo Potere che chiamiamo Dio, e che, come noi cristiani crediamo, ha rivelato se stesso in Cristo. Questo è il significato di questa giornata di preghiera.

Per la prima volta nella storia ci siamo riuniti da ogni parte, chiese cristiane e comunità ecclesiali e religioni mondiali, in questo luogo sacro dedicato a san Francesco per testimoniare davanti al mondo, ciascuno secondo la propria convinzione, la qualità trascendente della pace. La forma e il contenuto delle nostre preghiere sono molto differenti, come abbiamo visto, e non è possibile ridurle a un genere di comune denominatore.

Sì, ma in questa stessa differenza abbiamo scoperto di nuovo forse che, per quanto riguarda il problema della pace e la sua relazione all’impegno religioso, c’è qualcosa che ci unisce.

La sfida della pace, come si pone oggi a ogni coscienza umana, comporta il problema di una ragionevole qualità della vita per tutti, il problema della sopravvivenza per l’umanità, il problema della vita e della morte. Di fronte a tale problema, due cose sembrano avere suprema importanza e l’una e l’altra sono comuni a tutti noi.

La prima, come ho appena detto, è l’imperativo interiore della coscienza morale, che ci ingiunge di rispettare, proteggere e promuovere la vita umana, dal seno materno fino al letto di morte, in favore degli individui e dei popoli, ma specialmente dei deboli, dei poveri, dei derelitti: l’imperativo di superare l’egoismo, la cupidigia e lo spirito di vendetta.

La seconda cosa comune è la convinzione che la pace va ben oltre gli sforzi umani, soprattutto nella presente situazione del mondo, e che perciò la sua sorgente e realizzazione vanno ricercate in quella Realtà che è al di là di tutti noi. È questa la ragione per cui ciascuno di noi prega per la pace.

Anche se pensiamo, come realmente pensiamo che la realizzazione tra quella realtà e il dono della pace è differente, secondo le nostre rispettive convinzioni religiose, tutti però affermiamo che tale relazione esiste. Questo è quanto esprimiamo pregando per essa. Ripeto umilmente qui la mia convinzione: la pace porta il nome di Gesù Cristo.

Ma, nello stesso tempo e nello stesso spirito, sono pronto a riconoscere che i cattolici non sono sempre stati fedeli a questa affermazione di fede. Non siamo sempre stati dei costruttori di pace. Per noi stessi, quindi, ma anche forse, in un certo senso, per tutti questo incontro di Assisi è un atto di penitenza. Abbiamo pregato, ciascuno nel suo modo, abbiamo digiunato, abbiamo marciato assieme. In tal modo abbiamo cercato di aprire il nostro cuore alla realtà divina, al di là di noi, e ai nostri simili, uomini e donne.

Sì, mentre abbiamo digiunato, abbiamo tenuto presenti le sofferenze che guerre insensate hanno procurato e tuttora procurano all’umanità. Per questo abbiamo cercato di essere spiritualmente vicini ai milioni di persone vittime della fame in tutto il mondo.

Mentre camminavamo in silenzio, abbiamo riflettuto sul sentiero che l’umanità sta percorrendo: sia nell’ostilità, se manchiamo di accettarci vicendevolmente nell’amore, sia compiendo un viaggio comune verso il nostro alto destino, se comprendiamo che gli altri sono nostri fratelli e sorelle. Il fatto stesso che siamo venuti ad Assisi da varie parti del mondo è in se stesso un segno di questo sentiero comune che l’umanità è chiamata a percorrere. Sia che impariamo a camminare assieme in pace e armonia, sia che ci estraniamo a questa vicenda e roviniamo noi stessi e gli altri. Speriamo che questo pellegrinaggio ad Assisi ci abbia insegnato di nuovo ad essere coscienti della comune origine e del comune destino dell’umanità. Cerchiamo di vedere in esso un’anticipazione di ciò che Dio vorrebbe che fosse lo sviluppo storico dell’umanità: un viaggio fraterno nel quale ci accompagniamo gli uni gli altri verso la meta trascendente che egli stabilisce per noi.

Preghiera, digiuno, pellegrinaggio. Questa giornata di Assisi ci ha aiutato a divenire più coscienti dei nostri impegni religiosi. Ma ha anche reso il mondo, che ci ha seguito attraverso i mezzi di comunicazione, più cosciente della responsabilità di ogni religione nei confronti dei problemi della guerra e della pace. Forse mai come ora nella storia dell’umanità è divenuto a tutti evidente il legame intrinseco tra un atteggiamento autenticamente religioso e il grande bene della pace.

Che peso tremendo da portare per le spalle dell’uomo! Ma, nello stesso tempo, quale meravigliosa ed entusiasmante chiamata da seguire. La preghiera è già in se stessa azione, ma ciò non ci esime dalle azioni al servizio della pace. Qui noi stiamo agendo come gli araldi della coscienza morale dell’umanità come tale, umanità che aspira alla pace, che ha bisogno della pace.

Non c’è pace senza un amore appassionato per la pace. Non c’è pace senza volontà indomita per raggiungere la pace. La pace attende i suoi profeti. Insieme abbiamo riempito i nostri sguardi con visioni di pace: esse sprigionano energie per un nuovo linguaggio di pace, per nuovi gesti di pace, gesti che spezzeranno le catene fatali delle divisioni ereditate dalla storia o generate dalle moderne ideologie.

La pace attende i suoi artefici. Allunghiamo le nostre mani verso i nostri fratelli e sorelle, per incoraggiarli a costruire la pace sui quattro pilastri della verità, della giustizia, dell’amore e della libertà (cf. Giovanni XXIII, Pacem in Terris).

La pace è un cantiere aperto a tutti, non solo agli specialisti, ai sapienti e agli strateghi. La pace è una responsabilità universale: essa passa attraverso mille piccoli atti della vita quotidiana. A seconda del loro modo quotidiano di vivere con gli altri, gli uomini scelgono a favore della pace o contro la pace.

Noi affidiamo la causa della pace specialmente ai giovani. Possano i giovani contribuire a liberare la storia dalle false strade in cui si svia l’umanità.

La pace è nelle mani non solo degli individui ma anche delle nazioni. Alle nazioni spetta l’onore di basare la loro attività a favore della pace sulla convinzione della sacralità della vita umana e sul riconoscimento dell’indelebile uguaglianza di tutti i popoli tra loro. Noi invitiamo insistentemente i responsabili delle nazioni e delle organizzazioni internazionali ad essere instancabili nell’introdurre le strutture di dialogo dovunque la pace è in pericolo o è già compromessa. Noi offriamo il nostro sostegno ai loro sforzi spesso sfibranti per mantenere o ristabilire la pace. Noi rinnoviamo il nostro incoraggiamento all’ONU perché possa corrispondere pienamente all’ampiezza e all’elevatezza della sua missione universale di pace.

In risposta all’appello che feci a Lione in Francia, nel giorno nel quale noi cattolici celebriamo la festa di san Francesco, speriamo che le armi abbiano taciuto e che gli attacchi siano cessati. Questo potrebbe essere un primo significativo risultato dell’efficacia spirituale della preghiera. In realtà, questo appello è stato accolto da molti cuori e da molte labbra in ogni parte del mondo, specialmente dove la gente soffre per la guerra e le sue conseguenze.

È essenziale scegliere la pace e i mezzi per ottenerla. La pace, così cagionevole di salute, richiede una cura costante e intensiva. Su questo sentiero noi potremo avanzare a passi sicuri e veloci, poiché non c’è dubbio che gli uomini non hanno mai avuto tanti mezzi per costruire la pace quanti ne hanno oggi. L’umanità è entrata in un’era di aumentata solidarietà e di aspirazione alla giustizia sociale. Questa è l’occasione propizia. È anche il nostro compito, che la preghiera ci aiuta ad affrontare.

Ciò che abbiamo fatto oggi ad Assisi, pregando e testimoniando a favore del nostro impegno per la pace, dobbiamo continuare a farlo ogni giorno della nostra vita. Ciò che infatti abbiamo fatto oggi è di vitale importanza per il mondo. Se il mondo deve continuare, e gli uomini e le donne devono sopravvivere su di esso, il mondo non può fare a meno della preghiera.

Questa è la lezione permanente di Assisi: è la lezione di san Francesco che ha incarnato un ideale attraente per noi; è la lezione di santa Chiara, la sua prima seguace. È un ideale fatto di mitezza, umiltà, di senso profondo di Dio e di impegno nel servire tutti. San Francesco era un uomo di pace.

Ricordiamo che egli abbandonò la carriera militare che aveva seguito per un certo tempo in gioventù, e scoprì il valore della povertà, il valore della vita semplice e austera, nell’imitazione di Gesù Cristo, che egli intendeva servire. Santa Chiara fu per eccellenza la donna della preghiera. La sua unione con Dio nella preghiera sosteneva Francesco e i suoi seguaci, come ci sostiene oggi.

Francesco e Chiara sono esempi di pace: con Dio, con se stessi, con tutti gli uomini e le donne in questo mondo. Possano quest’uomo santo e questa santa donna ispirare tutti gli uomini e le donne di oggi ad avere la stessa forza di carattere e amore per Dio e per i fratelli, per continuare sul sentiero sul quale dobbiamo camminare assieme.

Mossi dall’esempio di san Francesco e di santa Chiara, veri discepoli di Cristo, e convinti dall’esperienza di questo giorno che abbiamo vissuto insieme, noi ci impegniamo a riesaminare le nostre coscienze, ad ascoltare più fedelmente la loro voce, a purificare i nostri spiriti dal pregiudizio, dall’odio, dall’inimicizia, dalla gelosia e dall’invidia. Cercheremo di essere operatori di pace nel pensiero e nell’azione, con la mente e col cuore rivolti all’unità della famiglia umana. E invitiamo tutti i nostri fratelli e sorelle che ci ascoltano perché facciano lo stesso.

Lo facciamo con la consapevolezza dei nostri limiti umani e consci del fatto che, lasciati a noi stessi, falliremmo. Riaffermiamo quindi e riconosciamo che la nostra vita e la nostra pace futura dipendono sempre da un dono che Dio ci fa.

In questo spirito, invitiamo i leaders mondiali a prender atto della nostra umile implorazione a Dio per la pace. Ma chiediamo pure ad essi di riconoscere le loro responsabilità e di dedicarsi con rinnovato impegno al compito della pace, a porre in atto le strategie della pace con coraggio e lungimiranza.

Consentitemi ora di rivolgermi a ciascuno di voi, rappresentanti delle Chiese cristiane e delle comunità ecclesiali e delle religioni mondiali, che siete venuti ad Assisi per questo giorno di preghiera, di digiuno e di pellegrinaggio. Vi ringrazio nuovamente per aver accettato il mio invito a venire qui per questo atto di testimonianza davanti al mondo. Estendo pure il mio ringraziamento a tutti coloro che hanno reso possibile la nostra presenza qui, particolarmente ai nostri fratelli e sorelle di Assisi.

E soprattutto rendo grazie a Dio e Padre di Gesù Cristo per questo giorno di grazia per il mondo, per ciascuno di voi, e per me stesso. Lo faccio invocando la vergine Maria, regina della pace. Lo faccio con le parole della preghiera che è comunemente attribuita a san Francesco, perché ben ne rispecchia lo spirito: “Signore, fa’ di me uno strumento / della tua pace: / dove è odio, ch’io porti l’amore, / dove è offesa, ch’io porti il perdono, / dove è discordia, ch’io porti l’unione, / dove è dubbio, ch’io porti la fede, / dove è errore, ch’io porti la verità, / dove è disperazione, ch’io porti la speranza, / dove è tristezza, ch’io porti la gioia, / dove sono le tenebre, ch’io porti la luce. / Maestro, fa’ che io non miri tanto: / ad essere consolato, quanto / a consolare, / ad essere compreso, quanto / a comprendere, / ad essere amato, quanto / ad amare: / poiché donando si riceve, / perdonando si è perdonati, / morendo si risuscita a vita eterna”.

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