«Io credo tuttavia che l’uomo soffra soprattutto per mancanza di visione». Così scriveva Giovanni Paolo II. Una verità che oggi vediamo verificarsi su chi migra. Il tema della visione per l’Europa è fondamentale. Negli anni in cui poco si è parlato di migranti il senso del nulla e del torpore ha invaso tutti, in modo trasversale. Sembrava che l’Europa fosse solo un’accozzaglia di questioni economco-finanziarie lontane dagli uomini. Se ci chiedessimo cosa caratterizzava il nostro dibattito non lo ricorderemmo. O al massimo ricorderemmo di sigle e questioni economiche che per nulla hanno toccato i nostri cuori o la nostra coscienza. I migranti però, affondando in un mare diabolico o morendo nelle guerre o per mano degli specialisti del terrore, hanno fatto riemergere passioni (tristi) che ci danno l’illusione di esser vivi. Il cattivismo. L’urlo. L’indifferenza. La spietatezza dei commenti. Lo schierarsi contro, anche poco comprendendo. Tutti indicatori di passioni tristi, disumane. “Partono perché illusi”, “partono perché li andiamo a prendere”, “partono perché la Libia è un caos”. Le frasi del torpore e del nulla. Un mantra continuo, incessante, contro una verità: l’assenza di “visione”. Un’assenza che ha incendiato i conflitti, aumentato le violenze e fatto razzia di vite. Un torpore ed un nulla che anziché porre fine agli scenari di disumanità e di morte ne ha aperti altri. Ungheria, Macedonia, il tunnel della manica, i camion. Spesso si è detto che la Libia è un inferno perché nel caos: ma vige il caos lì dove anziani e bambini sono costretti a strisciare sotto il filo spinato per avere salva la vita ? No. Lì vige in torpore ed il nulla: l’assenza di visione di cui il migrante soffre. E’ uno spettacolo indegno. Un torpore indegno. Un’assenza di visione indegna. Stiamo scambiando dei diseredati per ladri, affamati per ingordi, disperati per vacanzieri. C’è una domanda che sorge spontanea davanti a muri in costruzione e fili spinati: dopo i migranti chi saranno i prossimi dall’altra parte, i prossimi a soffrire per mancanza di visione ? Chi catalizzerà la passione triste divenendo un capro espiatorio che muore senza scandalizzare ? Gli “Untermensch” – termine che nell’ideologia razzista nazista descriveva coloro che erano considerati popoli inferiori – chi saranno ? Chi saranno le categorie le cui morti non provocheranno una grande vergogna nel cuore di tutti ? Ma c’è un’altra domanda: che valore avrà la vita in Europa ? L’epifania della vita, dell’estraneo, del volto, dell’altro che evoca la nostra responsabilità saremo in grado di sperimentarla ? Le immagini di sofferenza di questi giorni non vengono dalla Libia ma dall’Europa ed è preoccupante perché se la vita non è tale dove si cerca rifugio, non lo è in nessun altro luogo. I migranti stanno soffrendo soprattutto per mancanza di visione. E lentamente anche noi. Non perché qualcuno ci toglie futuro e risorse (“ci ruba il lavoro”) ma perché non ci stiamo (pre)occupando di costruire, allargare, sperimentare una visione accogliente in grado di accogliere “l’epifania del volto”. E ormai lo sappiamo e lo vediamo:...
Mese: August, 2015
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Impossibile, vero? Eppure no! Non è affatto impossibile! Niente è impossibile! Basta guardare questa foto per capire quanto l’amore ci porti ad essere una sola entità. In questa foto non c’è un’anziana, non ci sono bianchi e non ci sono neri. C’è solo un sorriso di Libertà. Libertà di essere amati e libertà di amare, incondizionatamente, senza nessun trucco. Libertà di Coraggio. Quel coraggio travolgente volto ad aprire gli occhi dei cuori di tutti donandone la vista. Mai più cecità! Libertà di Rivoluzione. Abbattere ogni frontiera, di odio, di limite, di prevenzione, di paura è possibile! Libertà di Preghiera. Pregare insieme tutte le volte che lo si vuol fare, per i più cari, per i più lontani, per i dimenticati. Perchè la potenza della preghiera è l’elisir di lunga vita dell’amicizia. Libertà di Speranza. Un filo sottile ma ricco di energia che lega i cuori dei contagiati d’amore. Senza la speranza non si può essere liberi. Libertà di PACE. Estinguere ogni guerra e ogni rifiuto, per non rigettare mai più nessuno in mare. Ecco. In questa foto c’è solo un sorriso di grande Libertà. Quella meravigliosa libertà contagiosa di cui tutti dovremmo deliziarci. Lasciamoci contagiare. Non è affatto impossibile! Niente è impossibile! Myriam Magno
A come Africa, A come anziani, A come amici! Non un semplice gioco di parole il pomeriggio trascorso fra gli amici anziani dell’Istituto Brignole e alcuni giovani liceali da poco rientrati dal Malawi! Immagini e racconti della loro esperienza vissuta con i fratelli della Comunità a Blantyre: scuola della pace, centro nutrizionale e tanti, tantissimi giovani amici! I nostri anziani sono stati colpiti ed emozionati! Anna Maria ha detto: “grazie perchè quello che ci avete detto allarga i nostri interessi e le nostre preoccupazioni..noi viviamo pensando solo a poche cose, sulla nostra nuvoletta”. Franca ha confidato: “queste parole hanno colmato i miei vuoti interiori” e qualcuno ha anche proposto “adottiamo ciascuno un bambino!” . Insomma, un momento di profonda unione fra mondi apparentemente distanti ma uniti nell’ amicizia, nella fede e nello spirito della Comunità!! Un abbraccio da Genova!!
Ogni luogo che trasuda di storia e di preghiera è un luogo sacro. In molte culture anche distruggere ciò che contiene un rimando alla preghiera, alla storia del proprio popolo e di altri popoli, al nome di Dio è gravissimo. Mar Elian ha raccolto lacrime di gioia, di disperazione, preghiere, richieste e invocazioni di chi l’ha eretta, dei suoi pellegrini, di chi ad Homs chiedeva scampo, protezione e salvezza dalla guerra. Un luogo ed un impastato tra storia antica e preghiera contemporanea, quotidiana. E la sacralità della memoria è violentata non solo nei suoi edifici storici ma anche nel monumento per eccellenza, la vita. Genera sgomento insieme a questo anche l’astuzia diabolica di cancellare la memoria là dove essa è forse più al sicuro da colpi di pistola e mortai: nel cuore degli uomini. In particolare nel cuore, nella mente e nella mani di Khaled al-Asaad, ucciso a Palmira tre giorni fa. Questo assalto alla memoria, che viaggia nello spirito, ha qualcosa di diabolico perché è la scelta precisa di recidere ogni legame anche spirituale con la Storia: quella che conosciamo perché presente in noi da racconti lontani, anch’essi sacri. In Siria si continua a morire. Uomini e donne distrutti come monumenti da chi profanatore di vita e sacralità con occhi stolti vede merce e carne da macello, pietre e sabbia. Radere al suolo luoghi sacri come Mar Elian è una bestemmia a Dio e alla Storia e all’uomo. Capire questi luoghi trasudanti storia e preghiera (un po’ come Deir Mar Musa con Paolo Dall’Oglio – per il quale non smettiamo mai di chiedere la liberazione), le storie che hanno attraversato per secoli queste terre nel silenzio, senza mai calpestare arrogantemente, insieme grido, alla lotta e alla preghiera perché in queste terre sia scacciato il demone della guerra è necessario. Correremo altrimenti il rischio di aver riportato la calma – che non ha bisogno di memoria e ricordo – ma non la pace che è salvezza per le vite e della memoria che esse custodiscono.
Cara Vanessa, ho letto la tua lettera e non posso negarti che ho provato un sussulto di felicità. La #3giornisenzafrontiere è terminata ed è bello sentire che le sensazioni che sono nate durante quella tre giorni stanno dando frutto e prospettiva, voglia di non farsi trascinare da polemiche, di non farsi derubare dal “dio dell’impossibile” ma capire che costruire la società del domani passa dall’integrazione di tanti ragazzi e ragazze che hanno visto, vissuto e subito la guerra e vogliono costruire pace, qui in Europa, insieme: Di più: passa dalla voglia di fare concretamente per costruire con i nuovi europei quartieri più umani, bambini più felici, anziani lasciati meno soli. La concretezza che nasce dall’amicizia dà grandi risultati ed in questo la comunità è maestra. La forza delle parole dei giovani veneti apre lo spazio ad un sogno ambizioso: Grazie ai giovani per la pace il Veneto diventerà una delle regioni dell’accoglienza. Tu scrivi: “accogliere ed integrare si può”, sì, si può e lo stiamo già facendo! Lo abbiamo fatto tutte le volte in cui durante la tre giorni, guardando negli occhi di un migrante, pregando insieme a lui, ricordando i nomi dei suoi amici dispersi in mare, non abbiamo visto una minaccia per l’economia (peraltro infondata) ma un fratello da amare e con cui spenderci insieme per i più poveri. Abbiamo visto negli occhi di chi ha partecipato alla tre giorni una luce ed un sorriso sulle labbra, prima di stupore, poi di determinazione di chi ha capito che la solidarietà non si può fermare, perché l’accoglienza è come una dolce brezza in una giornata di arsura, è come il vento in poppa del veleggiante, un vento calmo che accompagna ed accogliere è un atto di pace. Grazie a tutti ancora per i bellissimi giorni passati insieme e per il vostro lavoro con i migranti che diventeranno, grazie alla vostra amicizia, sempre più nuovi europei. Sì hai proprio ragione Accogliere e integrare si può, senza frontiere, anche quelle tra nord e sud che si sono polverizzate lasciando spazio all’accoglienza e alla nostra bellissima amicizia che sembra esistere da sempre, perché è quella di una famiglia senza confini! Sebastian e i Giovani per la Pace della Sicilia.
Appena arrivi al Centro Nutrizionale, che ogni giorno dà da mangiare a circa 200 bambini, li riconosci subito: sono più grandi degli altri, i primi ad arrivare e gli ultimi ad andarsene e sono stati la sorpresa di questo viaggio. Il dramma dei ragazzi di strada è molto diffuso in Africa: è il dramma di bambini e ragazzi che si trovano senza un tetto sopra la testa, senza scuola, senza protezioni, senza che qualcuno si prenda cura di loro. A Beira, in particolare, è recentemente esplosa la situazione a causa della chiusura di due orfanotrofi, che ha portato il numero dei bambini di strada a più di duecento. Spesso sono raggruppati in bande, protetti/sfruttati da qualcuno più grande e chiedono l’elemosina in punti strategici come la piazza del municipio. Da più di un mese, una trentina di loro sono stati accolti al Centro Nutrizionale, dove possono andare a farsi la doccia, lavare i vestiti, pranzare e una volta a settimana con alcuni Giovani per la Pace riprendono la scuola che la vita in strada ha interrotto. Ci hanno conquistato con la loro amicizia, la loro fedeltà, il loro essere dei bambini in dei corpi troppo grandi, così lontani dai loro coetanei italiani con il debito di un’infanzia non vissuta catapultati troppo presto in una vita difficile. Ci hanno conquistato quando a domanda “Chi è il tuo amico più grande?” Non hanno esitato a rispondere “Dio” proprio loro che magari ragioni per lamentarsi ne avrebbero più di tanti altri. L’ultimo pomeriggio lo abbiamo passato con loro a mare. Li abbiamo salutati in modo speciale perché hanno conquistato un posto grande nel nostro cuore. Io ho un grande debito con loro: il Mozambico poteva rimanere una bella esperienza di quelle che ti aprono gli occhi, ti fanno capire molte cose, ti fanno crescere, ma sono limitate nel tempo, preziose memorie da custodire con cura e gelosia. Antonio, Quinho, Gonçalves, Carlito e gli altri però non sono un’esperienza: sono miei amici e le loro storie, le loro domande sono tornate con me nella mia bella casa, dalla mia famiglia, nella mia vita bella, ora arricchita dai loro volti che so di non poter chiudere in una vetrina accanto a quelli incontrati in altri viaggi.
Sono Vanessa e faccio parte dei ‘Giovani per la pace’, un movimento legato alla Comunità di Sant’Egidio. Io ed altri giovani per la Pace dal Veneto siamo appena tornati da Catania, dove abbiamo partecipato ad alcune iniziative per l’accoglienza dei migranti promosse dai Giovani per la pace della Sicilia. Abbiamo avuto così testimonianza diretta della loro mobilitazione al porto di Catania per accogliere ora gli oltre 400 migranti sbarcati sulle coste siciliane e per salutare le 49 persone che invece non ce l’hanno fatta. Questo è il loro impegno costante negli ultimi due anni. Quelle vissute a Catania sono state giornate indimenticabili. L’evento più importante a cui abbiamo partecipato è stato “#3GiornisenzaFrontiere”, una tre giorni di giochi, dialogo e integrazione, organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio, che ha visto radunarsi centinaia di giovani, italiani da diverse parti del Paese e migranti, soprattutto africani, presenti nelle strutture di accoglienza della Sicilia. #3GiornisenzaFrontiere ha vissuto tre momenti: il gioco, in spiaggia o per le vie della città, come si realizza tra amici; la memoria, di un Paese che non vuole dimenticare; e la preghiera, per ricordare tutte le vittime dei viaggi della speranza Se ‘respingere è un atto di guerra’, come ha detto Papa Francesco, la #3giornisenzafrontiere ha voluto essere un atto di pace. E’ stata la chiara dimostrazione che vivere insieme, accogliendo e includendo, non solo si può ma è meraviglioso, poiché è fonte di arricchimento reciproco. Conoscersi, anche attraverso il gioco, raccontandosi e scambiandosi idee, fa sì che si possa crescere insieme, come fratelli. Si parla di chi è “diverso da noi” come di una categoria. Noi abbiamo potuto dare un volto e un nome ai migranti che abbiamo incontrato, spesso le migliori risorse dei loro Paesi d’origine, in cerca di un futuro migliore. Abbiamo ascoltato storie dolorose di chi è passato attraverso l’inferno di sofferenze indicibili. Oggi, dopo lo sbarco, proviamo a immaginare i volti di quelle 49 persone morte, che probabilmente avevano storie simili a quelle di Felix, Waka o Omar, che abbiamo conosciuto in questi giorni. Amici che oggi ci fanno vedere il mondo con uno sguardo diverso. Noi giovani per la pace del Veneto vogliamo che l’esperienza vissuta in Sicilia non finisca qui. Abbiamo conosciuto un volto dell’Italia che ci piace e che vorremmo venisse preso a modello. Accogliere, e commuoversi anche per le troppe morti nel Mediterraneo, è un atto di pace, ed è la strada per un mondo migliore. Questo è il nostro sogno. Partiamo da qui. Vanessa Pavan e i Giovani per la Pace del Veneto
Gabrielle è una bambina della Costa d’Avorio sbarcata a Catania con la madre insieme a tanti altri migranti. Al porto La piccola Gabrielle ha giocato, era viva nel gioco. Per fortuna a lei non è toccata in sorte, tra i deboli di cui a pieno titolo lei fa parte, la fine degli altri quarantanove compagni di viaggio morti asfissiati. Vedere Grabrielle fa comprendere cosa vuol dire che tra quelle salme alcune erano di bambini. Il gioco che ha ridato a tutti i presenti, lì, al porto di Catania, la conferma potente, prepotente e imponente della vitalità di Gabrielle sono state le bolle di sapone. Ed è strano perché le bolle di sapone sono l’immagine che Papa Francesco a Lampedusa ha utilizzato ricordando a tutti di quella crudeltà “trasparente” – fintamente perbenista ma estremamente cinica e disumana – in cui tanti hanno trovato rifugio. Nell’isola a Nord della Tunisia il Papa diceva La una cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio… Una bolla che scoppia è il gioco di una bambina in un porto ma forse, prima di questo, è la realtà di ciò che accade, di ciò che siamo e di ciò che operiamo restituitaci nel modo più semplice. Gabrielle fa scoppiare con forza quei finti perbenismi che ci rendono follemente disumani restituendoci la realtà di ciò che siamo non per volontà ma per operato e pensiero: insensibili e concentrati sui noi stessi. “Il grido, il pianto, il grande lamento”: è questa stagione che viviamo – sono ancora parole dell’omelia di Bergoglio a Lampedusa. Ma il Papa continuava dicendo: “«Rachele piange i suoi figli… perché non sono più». Erode ha seminato morte per difendere il proprio benessere, la propria bolla di sapone”. Le bolle con cui Gabrielle gioca e che ci ridanno la realtà sono un forte discrimine tra l’essere Rachele o Erode. Rachele che cade disperata per la morte dei figli che negli sbarchi diventano fratelli e sorelle: figli di un’umanità dolente che in preda ai dolori tenta di non soffocare il gemito della vita. Erode invece cade dalla bolla che Gabrielle, i figli di Rachele e figli senza nome inghiottiti dal mare scoppiano. Erode è colui che cade dalla sua onnipotente cultura del benessere che lo porta a pensare a sé. Erode è smascherato dalle bolle di sapone. Ed Erode non è smascherato in quanto mentitore ma come assassino. La bolla di sapone non è il rifugio dei bugiardi ma di colore che accecati nella difesa del proprio benessere (della propria bolla) seminano morte. La descrizione più dura ma più vera di quanto sta accadendo. I moli dei nostri porti dovrebbero accogliere più bambini e insieme a loro i loro genitori e cari. Le bolle di sapone solo i bambini sono in grado di farle scoppiare con delicatezza. In una salma è impossibile.
Martedì 11 Agosto alla sera a Gorizia nel parco della Rimembranza si è tenuta una veglia di preghiera per Taimur Shinwari, un ragazzo pakistano di 25 anni. Venerdì scorso è morto tragicamente nelle acque dell’Isonzo goriziano. Taimur aveva percorso un lungo tragitto da migrante per tutto il Medio Oriente e i Balcani come tanti suoi connazionali e coetanei, ma purtroppo è affogato in modo banale nel fiume di Gorizia. Per ricordarlo e per raccogliere fondi, affinché il suo corpo possa ritornare a casa dalla sua famiglia, il movimento dei Focolarini ha organizzato una liturgia assieme agli altri rifugiati alternando preghiere musulmane a quelle cristiane. Oltre ai cittadini italiani vi era un numeroso gruppo di ragazzi richiedenti asilo di Gorizia che hanno mostrato molta solidarietà per il compagno morto. Tante erano le candele accese per Taimur e tanti sono stati i ringraziamenti da parte dei suoi compagni per il rispetto dimostrato durante la loro funzione. I Giovani per la Pace hanno partecipato a questo momento di raccoglimento.
Oggi Catania ha visto la Chiesa di Santa Chiara accendersi ancora una volta per ricordare tutte le vittime del mare. Ha visto tanti cuori all’unisono pregare insieme, ha visto le istituzioni presenti, ha visto partecipare alla veglia di Preghiera “Morire di Speranza” organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio e presieduta dal vicario del Vescovo Mons. Salvatore Genchi , giovani provenienti da tutta Italia che si sono stretti insieme, ha visto gente comune, uomini e donne dei suoi quartieri più periferici, ha visto i migranti commossi ricordare il loro viaggio e i loro amici che non sono più vivi. Morire di speranza è stato un momento altissimo e profondo che si è svolta durante #3giornisenzafrontiere la tre giorni di pace dialogo e integrazione della Comunità di Sant’Egidio, proprio perché la preghiera non ha frontiere, supera i confini fino ad infiggersi dentro l’anima di tutti in tutto il mondo. La preghiera è stata introdotta da Emiliano Abramo della Comunità di Sant’Egidio che ha ricordato le parole di Papa Francesco – respingere è un atto di guerra- proponendo un modello di accoglienza che nascendo dalla preghiera dei migranti su quel mare di paura che diventa il Mediterraneo durante il viaggio della speranza, sia un fatto di pace nelle città: un abbraccio che dà frutto. Durante l’omelia appassionata, Mons. Genchi ha ricordato quanto sia fondamento degli uomini di Dio non respingere chi arriva da lontano e sia necessario stringere quelle braccia bagnate che affiorano da una barca in cerca di speranza e salvezza, braccia bagnate come dovrebbero tornare ad essere i nostri occhi nel riscoprire il pianto di fronte al grido di aiuto di chi scappa dalla guerra, il pianto di chi vuole essere semplicemente umano davanti a Gesù che ci chiede di accoglierlo quando è straniero, sempre, senza nessun giudizio perché la salvezza è per tutti. Il canto del Kyrie eleison ha accompagnato la lettura dei nomi delle persone morte in mare durante il viaggio, cullando come onde quiete la commozione visibile sugli occhi di tanti, della gente che si è alzata in piedi per accendere una candelina, dei migranti presenti che hanno sentito ricordare il nome di un amico, di un parente, di un fratello. Nella Chiesa di Santa Chiara tanti uomini e tante donne hanno voluto dare una casa al ricordo di chi non è arrivato vivo con il corpo, uomini e donne che hanno fatto una scelta netta ed hanno pregato affinché nessuno debba morire di speranza e perché si apra una faglia di amore nel cuore troppo indurito di chi vuole respingere: morire di speranza infatti, è sempre inaccettabile.
Il 10 Agosto 2013 è una data che ha segnato profondamente la città di Catania: A pochi metri dalla speranza raggiunta, la riva della sabbia della playa, al largo del Lido Verde, la speranza infranta : Una barca si arena, sei sono i morti, tutti africani, sei volti, cinque nomi, uno ignoto che la città di Catania, ad un anno dalla tragedia, ha voluto incidere su una targa in metallo posta sopra una stele in pietra lavica. Nomi incisi nell’anima della città su una pietra che pesa nel cuore dei suoi cittadini. Quella data non è solo una data di morte, ma rappresenta la data da cui inizia un movimento di pace e di speranza che raccoglie Catania, che raccoglie i suoi giovani che quel giorno erano alla Playa ad abbracciare i sopravvissuti e a piangere i morti, le sue istituzioni che hanno scelto per l’accoglienza, la sua gente, come il proprietario del lido verde che chiuse lo stabilimento per lutto. A due anni dal naufragio il 10 Agosto rappresenta ancora di più una data da ricordare, da tenere stretta nella memoria, una data da cui nasce un movimento che ha dato frutto nella città e sta interessando l’Europa tutta. Davanti alla stele commemorativa oggi c’erano tanti giovani migranti e italiani insieme, c’era il vicesindaco Marco Consoli, Emiliano Abramo della Comunità di Sant’Egidio, il titolare del Lido Verde Dario Monteforte, il cerimoniere del Comune di Catania Luigi Maina, c’eravamo noi giovani per la pace, da tutta Italia, il movimento genti di Pace. La memoria è parte di #3giornisenzafrontiere. Oggi siamo tutti qui per ricordare il 10 Agosto 2013, dice il Vicesindaco Marco Consoli, una data importante, un giorno in cui nella nostra spiaggia abbiamo raccolto quei corpi inermi, quelle persone che volevano raggiungere il sogno di una vita migliore, è importante esserci tutti, istituzioni, come quelle della città di Catania che hanno fatto una scelta netta, società civile e gente comune perché in quella data è nato un flusso di solidarietà che ha abbracciato tanti nella città, in particolare tanti giovani migranti, nuovi europei, come quelli che fanno parte della comunità di Sant’Egidio che, una volta accolti in maniera umana e semplice hanno scelto di aiutare i più poveri italiani. Questi sono fatti che la città di Catania vive che superano qualsiasi demagogia volta ad orientare l’opinione per interesse e oggi da Catania vogliamo una nuova Europa che sia accogliente con i migranti. Fare memoria – sostiene Emiliano Abramo della Comunità di Sant’Egidio- ci aiuta a ricordare che morire in mare o durante i viaggi, morire di speranza è uno scandalo. Dall’esercizio della memoria è nata un alleanza per l’accoglienza. Il respingimento, dice Papa Francesco, è un atto di guerra, ma se anche l’Europa fa atti di guerra, allora chi scappa dalla guerra dove dovrà andare? Noi in Sicilia abbiamo fatto una scelta netta per l’accoglienza che ha coinvolto tanti. Fare memoria è un atto di Pace, oggi noi ricordiamo lo sbarco del 10 Agosto 2013 che ha acceso...
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