Il simposio del no e il canto dell’amore

L’interesse incontrando il tafferuglio si mise d’accordo e guardò al diverso, l’uomo solo ed arrabbiato per i fatti suoi, così venne adescato. -Un nemico!- gli dissero-  fa sempre comodo e gli spinsero in bocca un’orrida canzone che dalla gola echeggiava per le vie portando a sé  timpani, sogni e speranza.

Il simposio del no, canta una canzone stonatissima che fa male alle orecchie di chi ha capito che l’Europa non può prescindere dalla musica di gioia di chi arriva, ma che soprattutto infrange i cuori di chi vuole in fondo, dopo un lungo viaggio, solo trovare la pace, un valore che dimentichiamo spesso e che dovremmo generosamente offrire a chi la ama.

Negare la pace è come negare la vita. Come si vive senza la pace? Gli europei non lo sanno più se non da antichi ricordi sbiaditi, i più non l’hanno sperimentato, ed i migranti non lo vogliono più sapere perché deve essere davvero tremendo.

I migranti oggi ci spiegano come la pace è un valore da coltivare, ed il suo seme è l’accoglienza. Non disperdiamolo nel suono di una brutta canzone piena di “no” .

Il rumore dei no è una brutta canzone, stonata, che spesso supera il suono delle parole di chi ha scelto per farsi plasmare e accarezzare il cuore dall’incontro.

Ma qualcosa che si sente più forte significa forse che sia più bella? è solo più arrogante!

Quanto è distante la musica dal rumore? Sogno un’Italia dove si ascolti lo djembe e la polka, e mentre la tarantella echeggia, ed il marranzano vibra una danza tribale ci fa sognare. Come uno stornello romano, come un canto maliano.

 

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