Fare beneficenza non basta – sulle parole di papa Francesco

Le opere di beneficenza sono cose buone e umane: non c’è alcuna esclusiva dei cristiani. A dirlo è papa Francesco stesso nella messa celebrata oggi a Santa Marta.

Vengono alla mente i molti esempi di solidarietà della cittadinanza, in specie quando deve affrontarsi un’emergenza e sono iniziative essenziali e anche di reazione alle quotidiane parole di sfiducia, alle parole contrarie al senso di umanità e allo spirito di accoglienza. Molti volontari, nei limiti delle loro forze, hanno ripristinato città colpite da devastazioni umane e/o naturali; molti hanno portato beni di prima necessità ai migranti che vivono in stazione a Milano e a Roma.

La parole di san Paolo alla Chiesa di Corinto (2Cor 8, 1-15), commentate oggi dal papa, suscitano queste riflessioni. È bello che vi sia solidarietà, ma la povertà cristiana non è solo questo: non è dare il superfluo, le cose che ci avanzano o che non vogliamo per noi; o impiegare solo il tempo strettamente necessario per curarci dell’altro o per affrontare un’emergenza, dato che “è giusto” che riserviamo quasi tutto il nostro tempo ai nostri impegni, al nostro riposo e al nostro divertimento. Non saremmo giudicati come tanto furbi agli occhi del mondo, altrimenti. Il cristiano però si impoverisce, dà del proprio, anche del necessario e non solo del superfluo. Sembra un comando di un irruento Paolo o di un papa intransigente, ma così non è: “Non si tratta infatti di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza. Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza (…)”.

La prova dei nostri tempi, ma a ben vedere di ogni tempo umano, di pace o di guerra, è proprio quella di non placare e non moderare la fame e sete di giustizia, piangendo delle proprie scarse forze quando si inizia un’opera generosa o anche quando in realtà si abbonda in voglia di fare e carità. Non bisogna disperarsi di aver trascorso un pomeriggio con un anziano solo, con bambini che cercano una guida o con i rifugiati che vivono in stazione. Non bisogna temere di proteggerli dagli ingiusti attacchi di chi li ignora o di chi li disprezza; così come non bisogna aver paura di coinvolgere la propria vita. In questo modo non si sottrae ingiustamente del tempo allo studio, al riposo, allo stirare, al lavare casa e non si compromettono le forze per lavorare bene il giorno dopo: certamente si sottrae tempo alle futilità. Paolo ai Corinti e Francesco a noi chiedono di portare fino in fondo le opere generose, fino a che si confonda chi assiste con chi è assistito. È certamente un messaggio rivoluzionario che chiede ancor di più a chi non accetta nemmeno la spoliazione del superfluo e che è un passaggio ulteriore per chi è dominato dallo spirito di divisione. Ma mentre Paolo faceva l’esempio ai Corinti della generosità dei cristiani della Macedonia che avevano sofferto molto da parte dei Giudei e dei pagani e mentre la storia è piena di solidarietà in tempi di guerra (portiamo il ragionamento alle estreme conseguenze), c’è chi contesta a gran voce presunti intollerabili sacrifici del nostro benessere imputati “a chi non torna a casa propria” o “a chi non ha una casa propria” (pare vadano bene coloro che hanno una casa propria, sperando siano compresi quelli in affitto).

Non sono logiche cristiane, non sono logiche di giustizia. Qualcuno dirà a chi la pensa come papa Francesco: “ma [siete] un po’ comunisti, no?”. Sognare e costruire l’uguaglianza sembra da comunisti. Il Santo Padre ha ribadito oggi che è ingiusto definire “comunisti” quei sacerdoti o vescovi che parlano dei poveri. “La povertà è proprio al centro del Vangelo. Se noi togliessimo la povertà dal Vangelo, non si capirebbe niente del messaggio di Gesù”. La teologia della povertà che papa Francesco propone – impoverirsi come Cristo che si è umiliato per arricchire noi – è il modo per rifiutare le logiche da economia di guerra.

Pensate a casa vostra! Fate le provviste! In Italia però non si vedono invasioni dal fronte o bombardamenti aerei. L’Italia non accoglie i milioni di rifugiati siriani. Si vede piuttosto gente che si è servita dei poveri invece di servirli; persone che invece di ispirarsi a logiche di gratuità, pur magari creando occasioni di lavoro retribuito (e questo è lecito), ha lucrato e sottratto alle risorse di tutti destinate a chi ne aveva bisogno.

Occorre rispondere alla domanda di solidarietà di chi ha bisogno di aiuto e di chi vuole reagire alla corruzione e abbracciare i problemi della propria città e del mondo. Occorre non sentirsi più fragili di chi è fragile veramente e chiede il nostro aiuto. Le parole di papa Francesco ci incoraggiano, perché non vanno al ribasso dei valori umani come le parole di alcuni, ma perché provengono dal Vangelo della povertà.

Alessandro Iannamorelli

Il Papa: povertà cristiana non è ideologia, è al centro del Vangelo, su Radio Vaticana

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