Papa Francesco è un Papa che piace a molti. Piace per quello che pensa, fa e dice. E’ un po’ una specie di eroe moderno per alcuni e per altri un riferimento in un tempo in cui questi mancano. E sappiamo bene che oggi quando c’è un personaggio, una figura di grande spicco o un vento storico da ricordare lo troviamo raffigurato in un murales o graffito. Il writing (o graffitismo) è forse l’espressione artistica che più rappresenta e simboleggia i nostri anni. Dalla East Side Gallery a Berlinoa a Bansky a Londra la Street Art ha raccontato in modo originle e strabiliante personaggi e grandi avvenimenti. Questa volta il soggetto rappresentato è Jorge Mario Bergoglio, il Papa venuto dalla fine del mondo e che nella bella opera di Vincenzo “Lécrivain” (così su Facebook) è veramente la fine del mondo. All’inizio del suo pontificato e con i primi gesti avevamo visto un Super Papa Francesco raffigurato nei muri di Roma, lui rispose poco tempo dopo: «Dipingere il Papa come una sorta di superman, una specie di star, mi pare offensivo. Il Papa è un uomo che ride, piange, dorme tranquillo e ha amici come tutti. Una persona normale». «Mi piace stare tra la gente, insieme a chi soffre, andare nelle parrocchie – spiega – non mi piacciono le interpretazioni ideologiche, una certa mitologia di papa Francesco. Quando si dice per esempio che esce di notte dal Vaticano per andare a dar da mangiare ai barboni in via Ottaviano. Non mi è mai venuto in mente. Sigmund Freud diceva, se non sbaglio, che in ogni idealizzazione c’è un’aggressione». Vincenzo è un ragazzo catanese e writer di grandissimo talento che ha stupito tutti con questo suo capolavoro – insieme a tanti altri che potete trovare sulla sua pagina facebook. Il Papa raffigurato da Vincenzo non è ideologizzato o mitizzato ma è quell’uomo buono e dalla faccia buona, amico dei poveri che abbiamo imparato a conoscere. ”Il Signore ci vuole pastori e non pettinatori di pecorelle”. Sembrano passare apposta le pecore e sul suo profilo facebook, Vincenzo, riprende subito le parole di Francesco. Ma adesso non ci dilunghiamo troppo. A voi il video – breve – con la realizzazione dell’opera che tanto ha colpito per l’originalità del soggetto raffigurato e la sua bellezza: “Pope Francis on the wall“, parafrasando i Pink Floyd.
Mese: February, 2015
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Riceviamo e pubblichiamo con piacere una lettera scritta da Paulino, dei Giovani per la Pace di Manga (Mozambico) . Siamo i giovani della pace di Manga Chingussura che è un grande quartiere alla periferia della città di Beira in Mozambico, siamo insieme per aiutare i bambini a crescere e giocare nella pace e in amicizia. Abbiamo iniziato la scuola della pace sabato e sono venuti 70 bambini molto speciali… sono molto speciali perché hanno accettato con gioia di partecipare, gli piace di stare insieme e sono bambini poveri che hanno bisogno del nostro aiuto perché stanno sempre per strada abbandonati a se stessi. Abbiamo sperimentato come, fare la scuola della pace, significa dare un protezione ai piccoli ed è una buona notizia per la loro vita. Il mondo ha bisogno di giovani che stiano insieme ai bambini e che gli vogliano bene . E’ il momento di essere giovani per la pace per servire i più deboli , i bambini del nostro quartiere , del nostro paese e oltre. Noi giovani abbiamo molto da dare ai più deboli : bambini, anziani, lebbrosi, etc. perché dobbiamo dire basta a quello che si vede nel mondo: la crudeltà, il razzismo , la guerra. Noi possiamo cambiare il mondo, la nostra amicizia, il nostro amore non è poca cosa per chi ne ha bisogno. Articolo scritto da Paulino Da Silva, Giovani per la Pace Manga Chingussura, Mozambico
Una rappresentanza dei Giovani per la pace di Catania si è recata a Lampedusa, dove ha fatto visita al centro di accoglienza. La visita si inscrive in un periodo difficile poiché vi sono diversi sbarchi ma, cosa ancora più grave ci sono state, anche negli sbarchi di questi giorni, diverse vittime. Ormai non si riescono più a contare le vittime che sta portando questo tragico esodo dall’Africa all’Europa; il Mar Mediterraneo sta diventando l’Auschwitz del ventunesimo secolo, e il tutto proprio davanti ai nostri occhi. Bisogna fare qualcosa. E’impensabile che il mondo si stia abituando alla morte e legge il fenomeno drammatico dell’ immigrazione come qualcosa che non lo colpisce personalmente. Troppo sangue versato, troppe vittime, troppe vite che si consumano in mare. Bisogna rimanere umani davanti ala morte. I Giovani per la pace si sono recati a Lampedusa per conoscere e accogliere in maniera umana i migranti ma soprattutto per pregare per le vittime che ci sono state in mare in questo ultimo periodo. Giunti al centro di accoglienza i Giovani per la pace hanno conosciuto i migranti appena sbarcati, stanchi ma allo stesso tempo gioiosi poiché dopo tanto viaggiare e dopo tante difficoltà erano arrivati sani e salvi , felici per essere arrivati in Europa, anche se non sapevano bene dove, in Europa. I Giovani per la pace dopo aver conosciuto i migranti hanno ascoltato le loro storie e stanno cercando di ricostruire gli avvenimenti accaduti in mare che hanno provocato la morte di molti uomini. Non si conoscono ancora i nomi delle ultime trecento vittime, e si cerca di recuperarli parlando con i sopravvissuti. Questa è una sfida ardua ma che è stata già portata avanti dalla comunità di Sant’Egidio in passato. Ogni tre ottobre si celebra la preghiera Morire di Speranza, ricordando il nome di ogni vittima e pregando per loro. Ricordare è importante, perché è il primo modo di non accettare quello che avviene, di non passare oltre voltando lo sguardo dall’altra parte. In nomi ci ricordano che i morti non sono numeri ma uomini e donne, giovani, con delle storie, e un futuro che gli è stato strappato. La stagione che inizia è molto difficile poiché ci sono diversi sbarchi, ma alcuni giovani lampedusani hanno deciso di coltivare il sogno dei giovani per la Pace e andranno a trovare anche gli anziani in istituto, perché serve un’alleanza intergenerazionale. Bisogna coltivare questa grande amicizia con i migranti e soprattutto pregare e credere nella forza della preghiera, in particolar modo in questo periodo di Quaresima; bisogna creare ponti di Pace. C’è bisogno di cambiamento. Il mondo deve cambiare: è necessario fermare la “Globalizzazione dell’indifferenza”, perché l’indifferenza uccide e non crea società di uomini e donne rilevanti ma persone che davanti ai grandi appuntamenti con la storia girano le spalle e se ne vanno tristi. Articolo scritto da Giorgio Marino.
Questo è il vero Islam, quello che dovrebbe fare notizia e che costituisce la stragrande maggioranza dei musulmani. L’anello della Pace non è solo una catena umana che ha unito ebrei e musulmani a Oslo, ma è la risposta più bella e profonda a chi vorrebbe sfruttare la religione come terreno di scontro. La guerra non può essere la soluzione contro chi predica odio; sarebbe fare il loro gioco e andare contro noi stessi, contro il fondamento dell’Europa che è la Pace. Creiamo tutti una rete di Pace che accolga chi è solo, che difenda chi è discriminato per la sua condizione o per il suo credo. Solo così potremmo sperare di costruire un futuro più prossimo ai nostri desideri.
“Ciò che inferno non è” è un romanzo, ma il protagonista, un giovane liceale di Palermo, incontra una persona vera, e la sua vita cambia. La persona vera è Padre Pino Puglisi, da alcuni conosciuto come 3P, prete ucciso dalla mafia nel 1993, e proclamato beato da Papa Francesco. L’incontro con 3P lo porta a incontrare la periferia di Palermo, il quartiere di Brancaccio, una realtà sconosciuta, difficile, ma affascinante; e a Brancaccio si incontra la vita, i bambini vittime della violenza e assoldati dalla mafia, che hanno bisogno di aiuto. Un bel romanzo, in cui c’è tanto dei Giovani per la Pace, e un bel modo di iniziare a conoscere Padre Puglisi, un vero amico di Gesù e dei poveri, che ci aiuta a capire come anche nell’inferno, c’è sempre qualcosa “che inferno non è”.
“Rom su una volante della polizia”; “I Rom attaccano tre scuole romane”; “tentato rapimento di un bambino di 8 mesi”. Questi sono tre articoli pubblicati dal Messaggero e subito smentiti dalle autorità (e mai dal Messaggero stesso). È facile fare giornalismo in un paese in crisi dove serve un capro espiatorio a cui addossare tutte le colpe, bastano tre parole chiave “Rom”, “zingari” o “immigrati”. D’altronde ci sono così poche notizie di cui parlare: Olandesi che distruggono monumenti di Roma non fa notizia, non sono mica immigrati; Gli attentati dell’ISIS sono troppo inflazionati, ne scrivono tutti; la situazione devastante in Nigeria e la dittatura di Boko Haram è troppo distante da noi per preoccuparcene. Meglio inventare storielle che con un solo click posso fare esplodere l’indignazione del web, tanto è risaputo che il giornalismo italiano sta andando sempre più sulla strada della disinformazione invece che perseguire quella dell’informazione, poi non fa nulla se questo avrà ripercussioni su qualcuno o qualcosa, l’importante è fare notizia! Fare notizia sulle spalle dei più deboli. Scritto da Fabio Scirocchi
Oggi vi consigliamo un film imperdibile del regista russo Nikita Mikhalkov. Un ragazzo ceceno, accusato di aver ucciso il padre adottivo, ex ufficiale dell’esercito russo. Dodici giurati chiusi in una scuola a deciderne il destino. Dovrebbe essere una scelta facile, ma non tutti se la sentono di decidere in cinque minuti il destino di un giovane, così veniamo trascinati in un grande ritratto della Russia contemporanea, raccontata attraverso i volti e le storie dei giurati. Sullo sfondo, i flashback del giovane imputato in una terra, la Cecenia, martoriata dalla violenza. Lo stile è quasi teatrale, con delle interpretazioni forti, coinvolgenti e capaci di tenere accesa la vostra attenzione anche alla seconda o alla terza visione dell’opera (presente!). Candidato nel 2008 all’Oscar come miglior film straniero, il film non è solo emozionante, non è solo un ritratto della Russia, dei Moscoviti, né un racconto della questione cecena, ma – a chiunque sia disposto ad ascoltarlo – il regista pone una domanda sui limiti della giustizia umana (o dell’uomo onesto). Vi lascio il trailer, ma se volete un consiglio, saltatelo e andate a vedere il film!
L’Isis è alle porte dell’Italia, o almeno così vogliono far credere i guerriglieri. Ma si sa che questi signori sono bravi a far credere quello che vogliono. Sanno usare i social network, youtube, e la propaganda è forse la loro arma principale. Ma purtroppo non è l’unica. E come sempre chi paga sono i più deboli, coloro che non hanno fatto nulla, colpevoli solo di esistere. Che dolore per i 21 cristiani copti uccisi così barbaramente, morti con il nome di Gesù sulle labbra, privando gli assassini la vittoria più grande, quella di togliere loro la speranza. C’è che dice che a tanta violenza non si può che rispondere con la violenza. La guerra è l’unica soluzione, e chi non la fa è solo perché spaventato. Ma siamo sicuri? Non si tratta di essere pacifisti, basta guardarsi indietro. L’Isis non è nato forse da una guerra, quell’invasione dell’Iraq che ha gettato il medio oriente nel caos? E poi è stato aiutato da un’altra guerra, quella in Siria. Le armi che usano i terroristi sono degli americani, che li hanno armati per combattere una guerra per procura contro Assad (si può leggere il bel libro di Loretta Napoleoni per capire meglio questa storia intricata). Certo bisogna rispondere, ma siamo sicuri che una risposta forte significhi mostrare i muscoli? Andrea Riccardi ci spiega che non è così. Speriamo che venga ascoltato. Magari una soluzione ragionevole potrebbe essere quella proposta da Papa Francesco. Smettiamo di vendere le armi ai paesi in guerra! E voi che ne pensate?
A un passo da San Valentino consigliamo un libro che racconta di una grande storia d’amore. Un libro profondo, emozionante, spirituale, edificante: questo libro fa riflettere sulla vita, sulla fede e sull’amore. Ed è un libro difficile da dimenticare. Francis Sable, secondogenito di un’aristocratica famiglia inglese, è giovane, ricco, brillante e poeta di talento. Perché allora non è felice? Perché la sua vita è percorsa da un’insoddisfazione che i balli, i divertimenti e le vacanze all’estero non riescono a placare? In questo romanzo di formazione e conversione Ethel Mannin sviluppa una riflessione toccante e profonda sull’amicizia e sull’ambizione, sulle relazioni tra gli uomini e sul rapporto con Dio. Sullo sfondo l’Europa brillante e fragile tra le due guerre mondiali. Al centro, il dramma di una figura indimenticabile. La storia di un grande e lento processo di innamoramento verso Dio e verso il prossimo.
Può essere il carnevale un segno di pace? Per i bambini delle Scuole della Pace pare proprio che tutto può esserlo, anche il carnevale. Le maschere, i sorrisi lanciati a tutti, più dei coriandoli, le bandiere con la parola Pace in tante lingue diverse, i volantini per invitare a una preghiera per ricordare i paesi in guerra, la gente per strada che inizia a cantare e che applaude. E’ quello che sta accadendo in molti quartieri di Roma dove i colori del carnevale per la pace ci aiutano a vedere il futuro con più speranza. Nella nostra gallery le prime foto che ci sono arrivate. Mandateci le vostre.
Ho mai pensato che avrei potuto iniziare la mia giornata leggendo le notizie dal fronte? Potevo mai immaginarmi di leggere ogni giorno nuovi nomi di soldati caduti del mio Paese? Mi è mai passato per la mente che avrei potuto perdere qualcuno in guerra?
***AGGIORNAMENTO: I Giovani per la Pace questa sera 11.02.2015, a Porto Empedocle hanno rivolto l’ultimo saluto alle 29 vittime, morte per il freddo, deponendo un fiore su ogni bara***. L’ennesima tragedia di Lampedusa è tremenda e non possiamo lasciar cadere nel silenzio, anche del nostro pensiero, una tragedia così immane che tocca gente con cui diventiamo amici durante i servizi della comunità, nuovi europei che hanno avuto la grazia di non morire per il freddo, o nel deserto o in Libia, che ora sono nostri amici. Non ci si può abituare alla morte e non si può fare scorrere una notizia così grave con l’aggiornamento delle notizie dei social network! C’è l’urgenza di fermarsi, pregare, riflettere. Serve una generazione di donne e uomini che ricorda, nel pensiero e nella preghiera questi ragazzi, che capisca che tutto questo non è giusto, che non si abitui alla morte, che si preoccupi di cambiare le decisioni prese dall’alto che provocano questi disastri. Serve un’ alleanza intergenerazionale che accolga chi è straniero, lo porti nell'”albergo” mentre è mezzo morto e lo curi e successivamente lo accolga nella propria famiglia, tra le proprie preoccupazioni, pensando che nel volto di quell’africano che talvolta è arrabbiato per la sua situazione, ci sono tanti che non sono arrivati! La nostra amicizia spiazzante può tramutare quella rabbia giustificata in integrazione, e l’integrazione vera, regala frutti importanti per la nostra società tutta; penso ai Giovani per la Pace di Mineo, nuovi europei arrivati con i viaggi della speranza che pregano per la Pace e che servono chi è più povero. Bisogna fare uno sforzo culturale, informandoci e leggendo i giornali perchè non possiamo dimenticare questi morti di Lampedusa e dobbiamo vivere affinché non accada più, perché non è giusto che la morte ci abbia strappato via un amico potenziale, l’incontro benedetto con lo straniero che a tanti giovani italiani ha cambiato la vita, orientandone i sogni le preghiere, allargando le prospettive della vita da cristiano. Tempo fa con un amico parlavamo dell’olocausto e ci chiedevamo come fosse possibile che così tanta gente avesse fatto spallucce dinnanzi all’abominio di uno sterminio così atroce di sei milioni di ebrei. Oggi la nostra società quanta misericordia ha per questi morti? Quanto ci sembra normale? Quanto poco dura nel nostro sangue l’ebollizione dell’indignazione? Questa società è davvero in grado di scagliare la pietra verso il passato, avendo la coscienza così pulita da essere sicura che non ci ritorni in faccia? Papa Francesco che a Lampedusa aveva fatto il suo primo viaggio apostolico, durante l’udienza generale dell’undici Febbraio, si è detto preoccupato, assicurando la propria preghiera ed invitando nuovamente ad uno spirito di solidarietà nell’accoglienza. La sua preoccupazione deve diventare allora ancora più contagiosa, la preghiera diffusa e la solidarietà verso lo straniero uno stile di vita irrinunciabile che comprenda tutti affinché il suono dolce e accorato delle sue parole, proferite proprio a Lampedusa, tocchi il cuore di ciascuno: “non si ripeta, non si ripeta più per favore”.
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