Un giovane contro la corruzione

Floribert era un giovane che voleva vivere appieno e fare cose grandi: era “fissato” con la giustizia e perciò donava la sua vita a coloro che vivevano ai margini e sempre voleva costruire la pace dove c’era un conflitto, una guerra o un semplice diverbio.

Voler cambiare la realtà, diventare protagonisti del proprio tempo poteva essere forse una cosa da europei, non certo per congolesi: in Congo è pericoloso.

Floribert trovò conforto in molti amici che condividevano i suoi valori e la sua fede. L’incontro con la Comunità di Sant’Egidio non gli fece perdere la speranza, nonostante le delusioni nell’impegno strettamente politico, anzi gli fu fonte di gioia e di sapienza.

Aveva avuto la fortuna di studiare ed eccelse per la sua cultura e la sua voglia di conoscere la storia del suo popolo, del mondo e del cristianesimo. Poteva seguire la corrente: accumulare potere con l’élite congolese o emigrare. Ma l’amore per i poveri, per i bambini di strada di Goma abbandonati e odiati da tutti e la Scuola della Pace lo radicarono nel bel Kivu, nella terra di frontiera, che da periferia era divenuta in poco tempo centro di grandi scambi commerciali, ma anche di corruzione e di violenza. Si radicò lì dove non c’era terra fertile per le anime, perché radicale era la sua sete di giustizia.

Nel nuovo millennio era nell’aria un senso di speranza: il Congo aveva vissuto lo sfruttamento coloniale, la guerra civile, la guerra tra etnie e viveva ancora la tensione tra etnie e una corruzione diffusa, che piegava ovunque il valore della vita e mercificava ogni cosa. Di movimenti, fazioni e grandi ideali proclamati si perdeva il conto: a una tendenza a manifestarsi “spirituali” nella società civile, si accompagnava l’avidità, la grettezza e l’odio tra etnie.

La vita di Floribert non si spiega allora con la categoria imperante dell’arrangiarsi, per cui tutti fanno bene a curare i propri interessi, dato che la corruzione è la regola; i poveri che sono i primi a soffrire la corruzione e i bambini abbandonati che vagano per la città vanno disprezzati. Coloro i quali rifiutano inspiegabilmente la corruzione, vanno piegati, o uccisi, così come i nemici. I nemici sono tutti e “il nemico” è un concetto liquido.

Floribert, uomo di giustizia, congolese cristiano, trova lavoro per l’agenzia di frontiera con il compito di bloccare e far distruggere i carichi di cibo avariato. Di regola arrivava cibo integro, ma talune ingenti partite si distinguevano già dall’odore putrido, vuoi per i lunghi viaggi, vuoi per un mercato perverso. Floribert svolgeva il suo lavoro onestamente, ma la sua non era solo etica professionale: viveva da cristiano non solo la domenica, ma in ogni pensiero, parola e azione.

Arrivano i primi tentativi di corruzione e subito dopo le minacce. Ma lui non si piega: non contrabbanda la vita di molti per l’idolatria del denaro. In Africa si può morire di dissenteria e il cibo avariato produce comunque danni all’organismo: ne è ben cosciente. La logica di Floribert è contro i tempi: la vita non è mai oggetto di scambio, la vita è dono. La risurrezione esiste, e può esistere per il Congo e per l’Africa.

Cinque giorni prima di morire, confidandosi con un’amica dopo le minacce ricevute, affronta con irrequietezza umana e al contempo risolutezza il proprio Orto degli Ulivi, la propria Passione:

“Il denaro presto sparirà. E invece, le persone che dovessero consumare quei prodotti, cosa sarebbe mai di loro? (…) Se accetto tutto questo, vivo nel Cristo o no? Vivo per Cristo oppure no? Come cristiano non posso permettere che si sacrifichi la vita di qualcuno. È meglio morire piuttosto che accettare quei soldi”.

È stato ucciso barbaramente il 7 luglio 2007. Le altre spiegazioni, come la pista dell’omicidio politico, non convincono per niente.

Era consapevole della propria fragilità umana e per questo ha sempre cercato compagni di vita perché da soli non c’è speranza né futuro. Posto di fronte alla grave minaccia alla sua fragilità, non ha fatto un passo indietro e come martire ha donato la sua vita per salvare l’umanità, parafrasando le parole di Wojtyła su Maksymilian Kolbe.

La vita di Floribert, la storia del Congo e del Kivu, la scoperta di Sant’Egidio in Africa sono raccontate nella biografia “Il prezzo di due mani pulite”, scritta da Francesco De Palma.

La presentazione. Il libro è stato presentato nella basilica di San Bartolomeo all’Isola Tiberina di Roma, memoriale dei nuovi martiri per volontà di papa Giovanni Paolo II; qui, è conservata la Bibbia acquistata da Floribert due anni prima del suo assassinio. “È una storia che è in grado di collocarsi al di là dello spazio e del tempo”, come ha chiosato l’autore della sua biografia, Francesco De Palma, membro della Comunità di Sant’Egidio, che ama l’Africa e lo studio della storia religiosa.

Come ha ricordato Matteo Zuppi, vescovo ausiliario di Roma, intervenuto alla presentazione, Floribert era un giovane con il Vangelo in tasca, un figlio della Comunità, ostile alla corruzione, “fissato” con la giustizia, così come lo è papa Francesco, che spesso ritorna sul tema della corruzione, fino al punto di dire che per il peccato c’è sempre perdono, per la corruzione, no. Un reciso rifiuto, un no alla corruzione costò a Floribert la vita, ma questo è chiesto a un cristiano: “Sia invece il vostro parlare: “Sì, sì”, “No, no”; il di più viene dal maligno” (Mt 5, 37).

Questa risolutezza è propria degli uomini grandi, degli autentici cristiani. “Se una terra martoriata dà figli così grandi, in grado di illuminare il senso della storia, allora c’è speranza, c’è speranza per l’Africa”, come ha detto Mario Giro, sottosegretario agli Esteri.

“Vivo per Cristo o no?” diventa la domanda dell’uomo nella storia che distingue il bene dal male: è giusto esporsi al rischio di perdere la vita per non far perdere la vita agli altri? Ne vale la pena? L’opposizione al male deve essere sempre netta? La risposta di Floribert è chiara.

Giuseppe Pignatone, procuratore capo di Roma, che ha “buttato all’aria” il sistema detto di Mafia Capitale e che da anni lotta contro la corruzione, commentando la biografia di Floribert ha ricordato quanti hanno detto “no”, di cui ricordiamo o no il nome, religiosi o laici; di come molti hanno trovato questo coraggio nella fede. Il Congo è uno dei paesi più corrotti al mondo, secondo gli studi di Transparency International. Lo stesso rapporto qualifica l’Italia al primo posto in Europa, come record negativo.

Eppure in Italia, nonostante tutto, la cultura e l’istruzione non mancano. Nemmeno nella Repubblica Democratica del Congo non ci sono possibilità: l’élite, poi responsabile delle ruberie di larga scala, ha una formazione. Jean Leonard Touadi, deputato nella scorsa legislatura, originario del Congo, ha sottolineato come il percorso d’istruzione sia lì concepito come via di fuga: verso l’estero o verso posizioni prestigiose; mentre fondamentali sono quei luoghi di formazione dove si costruisce il senso di comunità, dove si matura il radicamento a un destino comune. In Congo si è sviluppato un laicato organizzato, desideroso di cambiamento e questa storia ha posto l’autore nel dover compiere un decentramento narrativo, mentre prima era quasi tutto determinato da potenze coloniali e dal mercato globale.

“Questa storia merita attenzione; anzi meritava un libro”, scrive Andrea Riccardi, fondatore della Comunità e storico. Il libro riesce a far splendere la luce di Floribert, con semplicità e curata ricostruzione della storia e del senso degli eventi e delle vicende personali. Merita attenzione più che mai in una società del benessere apparente, in cui la corruzione è pagata dagli ultimi. La scelta di Floribert, che dà senso umano alla storia, può aiutarci per la risurrezione dell’Africa e della nostra Europa, a partire dalle periferie e dalla passione dei giovani.

A.

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