Conosco poco il Talmud e ancor meno l’ebraismo; mi professo un ignorante cosciente di ciò che ignora e della bellezza contenuta nei libri sacri delle grandi religioni della storia. Negli anni ho sempre avuto davanti agli occhi, per i motivi più svariati, alcuni versi ma se c’è qualcosa che mi ha colpito più di tutti è sempre stato leggere “chi salva un uomo, salva l’umanità intera”. Alla vigilia del 70′ anniversario dall’apertura dei cancelli di Auschwitz, credo che questa frase porti con sé tutto ciò che pagine e pagine non potrebbero spiegare mai. Il 27 Gennaio risveglia dal torpore un po’ tutti. Riporta alla mente immagini che sin da piccoli abbiamo imparato a non dimenticare, con la consapevolezza di un bambino che sa quanto sia sbagliato far del male a qualcun altro. Oggi, a 70 anni da quella data, io sono un po’ diverso dal bambino che ero e in cuor mio spero di essere un po’ migliore, ma mi sento profondamente bugiardo. E a dire il vero, bugiardi siamo un po’ tutti. Non fraintendetemi, non voglio essere polemico. O meglio, voglio esserlo ma come lo è un bambino, chiedendo il ‘perché?’ di tutte le cose fin quando non è sazio di risposte, fino al nuovo slancio di domande verso ciò che lo circonda. Perché siamo tutti un po’ bugiardi? Perché ogni anno ci troviamo a ripetere che “ricordiamo per far sì che tutto ciò non accada mai più”, non vi siano uomini, donne e bambini che debbano temere per la propria vita, nascondendosi per paura di ciò che sono, si tratti di un credo religioso, del colore della pelle o di un accento diverso. Siamo bugiardi perché sono cambiati i luoghi, le persone, i bersagli e gli aguzzini, ma trasuda ancora violenza dalle mani di questo mondo ‘nuovo e civilizzato’ che stiamo contribuendo a costruire. 27 Gennaio. Villaggi rasi al suolo, donne e bambini sgozzati, omicidi di massa. Trascorse circa tre settimane dalle elezioni in Nigeria, i fondamentalisti islamici Boko Haram hanno “intensificato l’offensiva contro città e villaggi nel nord-est, abitati a grandissima maggioranza da musulmani.” Attualmente nessun civile può entrare o uscire dalla metropoli e le organizzazioni umanitarie lanciano un grido, temendo per la vita di centinaia di migliaia di civili. Uomini, donne e bambini. 27 Gennaio. Riesplode la violenza in Ucraina. Gli scontri si sono riaperti lungo tutto il fronte, mentre Donetsk, le città e i villaggi circostanti vengono martellati dai mortai. Ogni giorno si apre con le notizie di nuove vittime, civili e non. Una nuova ondata di violenza che è culminata negli attacchi contro i mezzi pubblici, non ultimo quello di qualche giorno fa che ha fatto registrare nove morti ad una fermata di filobus. Uomini, donne e bambini. 27 Gennaio. Non si è ancora chiusa la ‘questione CharlieHebdo’ che ha svegliato tutto il mondo, puntando i riflettori su Parigi e fermando il calendario al 7 Gennaio. I giornali titolano “Il terrore insaguina Parigi e la Francia”, “Assalto alla redazione del giornale satirico, 12...
Mese: January, 2015
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Il 16 ottobre 1943 gli ebrei romani furono arrestati dai nazisti e deportati ad Auschwitz: piu di mille, uomini, donne, bambini e anziani, persero la vita nel famigerato campo della morte. Fino alla liberazione della città, il 4 giugno 1944, altre centinaia di ebrei furono arrestati e deportati. Coloro che sfuggirono alla morte vissero i mesi successivi nascondendosi e fuggendo dai nazisti e dagli italiani collaborazionisti di Saló. Questo libro racconta le loro storie attraverso le testimonianze dirette di chi ha vissuto quel tragico periodo, aperto dalle leggi razziste del 1938, che hanno preparato la strada alle deportazioni. I protagonisti delle storie raccontate sono, all’epoca, ragazzi, poco più che adolescenti. Sono scampati a volte per caso, a volte perché la solidarietà e l’amicizia dei loro concittadini – spesso dei religiosi – sono state più forti della paura delle rappresaglie. I loro ricordi, che pacatamente intrecciano insieme eventi drammatici e piccole vicende della vita quotidiana, testimonianze dai campi di sterminio e vivaci ritratti del popolo del Portico d’Ottavia, sono consegnati ai giovani di oggi perché non si perda la memoria del più grave crimine contro l’umanità e perché la tragedia non si ripeta.
Le strade dei poveri sono segnate da storie, storie nascoste, umiliate, celate dall’indifferenza, storie umili storie appassionanti, storie sorprendenti, storie di incontri che altrimenti si sarebbero perse nell’oblio. L’oblio, la mancanza di memoria segna le strade dei poveri, degli ultimi, degli emarginati, dei periferici. La memoria è un valore che disegna una società più umana, ma è anche un esercizio faticoso, un esercizio che i giovani per la pace fanno e che regalano generosamente agli altri con la testimonianza degli incontri nelle periferie. In fondo oggi anche i giovani sono periferici, schiacciati da un mondo che si mostra potente e crede di poter far subire la propria potenza ai giovani, invecchiandoci nell’abitudine al compromesso, ingannandoci con il falso idolo “dell’uomo solo di successo”, di una competitività che chiede di pensare solo a sè stessi. La memoria, il ricordare è uno strumento ancora più potente di un mondo che abbandona i suoi poveri: abbiamo appena ricordato anche su questo blog Floribert, giovane per la Pace, innamorato del Vangelo, che ha trovato la propria libertà dalla mentalità egoista della Repubblica democratica del Congo dedicandosi agli altri, fino alla fine, con coraggio, generosità, sentimenti che coltivati possono fare rinascere le nostre periferie. Ma la memoria è anche quella che esercitiamo quando ricordiamo i nomi dei bambini, i nomi dei nuovi europei (a volte davvero complicati da pronunciare bene). La memoria si fa preghiera quando ricordiamo i nomi dei nostri amici defunti, è quella che si manifesta nella sua potenza durante la preghiera per la pace, quando decliniamo in maniera precisa accompagnati dal canto del Kyrie eleison, i nomi dei paesi in guerra, in un mondo in cui hanno fatto entrare nelle abitudini l’espressione “guerre dimenticate”. Non ci si può abituare alla guerra, che Andrea Riccardi definisce “madre di tutte le povertà”; aver dimenticato le guerre dovrebbe far ricordare un altro sentimento: la vergogna. “Guerre dimenticate” è un atto d’accusa ad un mondo che si gira dall’altro lato, ad un mondo che preso dai suoi piccoli problemi ha dimenticato chi soffre e muore “altrove”. In un mondo dimentico, questo “altrove” si espande e si contrae a seconda dell’indifferenza e si dimenticano i poveri sulla strada che rischiano la vita per il freddo, i bambini che finiscono nelle mani dei violenti, i quartieri a rischio, gli anziani, simbolo della memoria sociale, che vengono abbandonati negli istituti senza che questo desti sgomento o scandalo, i migranti che muoiono a migliaia nel mare dove andiamo a villeggiare. La mancanza di memoria produce così un olocausto silenzioso, con numeri che atterriscono ma che non appassionano perché si vive in maniera auto riferita. Siamo nella settimana della giornata della memoria, e ricordare lo sterminio scientifico di milioni tra ebrei, Rom, omosessuali, disabili e dissidenti politici è necessario perché ricordando l’olocausto ci ricordiamo che anche l’uomo più evoluto scientificamente può essere scientificamente disumano, mentre l’uomo spirituale che si ferma, che riflette che si commuove, che depone un fiore, che prega e che non dimentica, è chiamato a lavorare affinché...
Come ogni domenica continua la nostra rubrica #2librialmese. Il libro di questa settimana è Ulisse di Baghdad, scritto da Eric Emmanuel Schmitt e edito da E/O. Si tratta di una splendida poesia in prosa. Racconta la storia di Saad, novello Ulisse, in fuga da un paese senza futuro per inseguire un sogno. l’odissea di un profugo in fuga dall’Iraq, la speranza di una vita migliore, la tristezza dei tanti lasciati alle spalle. Un libro per chi preferisce abbattere più che costruire muri. una splendida lezione di coraggio e umanità: “Papà, chi è il barbaro? Quello che io considero inferiore o quello che considera se stesso superore?”. Buona lettura
Quanto scalpore ha generato “il pugno” di Papa Francesco. Sembra quasi che la nostra società, d’un tratto, sia diventata repellente alla violenza (verbale). Sembra quasi che l’ex cardinale di Buenos Aires si sia trasformato in un violento teppista che aspetta solo di fare a pugni con tutti. Be’, ma perché scandalizzarci quando è già così ? Prima che su chi vi scrive si scagli l’ira dei difensori di Papa Francesco tengo a precisare una cosa: Bergoglio non è un teppista violento ma sta facendo a pugni con tutti. In fondo le polemiche di un certo mondo politicamente (s)corretto sono la cartina al tornasole di un finto ripudio della violenza. L’offesa, a cui quel pugno risponde, è già censurata per un cristiano – Francesco ha detto molto sulla violenza verbale. Il pugno del Papa non è pugno di vendetta dal momento in cui già l’offesa, da cui scaturisce la reazione, è censurata. Non si discute nemmeno la giustificazione della violenza poiché già se il primo termine, l’offesa dell’insulto – meno grave del pugno – è censurata, quanto è più censurata e proibita la reazione del pugno, fisica, più grave dell’insulto verbale ? Tuttavia, un finto perbenismo si scandalizza per il gusto della polemica. La polemica è un gusto, cattivo, di chi, non sapendo più che dire e come apparire, si appiglia a questioni di lana caprina. Non è un nascondimento. Non è un tentativo di ovviare una questione per non affrontarla. E’ un problema di non-conoscenza. Non si conosce, non si sa, non si è in grado di leggere. Ma leggere cosa ? Il pugno di Papa Francesco Francesco è quella malsana rabbia che nasce dallo stomaco, dalla pancia. E’ quella cattiveria che sale e che “offende” l’altro. E’ quell’istintività perversione di cui tutti facciamo esperienza. E’ quell’atteggiamento che il pastore di anime che Bergoglio è cerca di curare. Francesco parla alla gente e la capisce ma non la compatisce nei suoi “istinti”. Anzi, parla a questi istinti: è inutile riportare le parole spese dal Pontefice dall’inizio del suo pontificato su atteggiamenti concreti che separano dagli altri. Allora il punto qual è ? Semplice: scandalizzarsi della violenza che è in me e della violenza che è sugli altri. Di “pugni” fisici si parla poco, ci si indigna poco (quanti pugni abbiamo dato a Greta e Vanessa con la questione volgare dei soldi spesi per salvarle ?). Nel mondo la gente fa a pugni e non interessa e non interessano le ragioni per cui lo si fa. Si preferisce la cronaca del pugno e non la comprensione delle ragioni che spingono al conflitto (locale-personale, globale-comunitario). Il Papa ha già abbondantemente risposto all’inaccettabilità della violenza. Appigliarsi alla sua descrizione è sviare una questione essenziale: qual è la soglia di rispetto per l’intimo dell’altro ? Questa era la domanda vera. Resta un tema che verrà affrontato. La questione da affrontare è una: il Papa è diventato tutto d’un tratto violento o il nostro ascolto è scarso ? Avevamo un’occasione per affrontare una questione...
Floribert era un giovane che voleva vivere appieno e fare cose grandi: era “fissato” con la giustizia e perciò donava la sua vita a coloro che vivevano ai margini e sempre voleva costruire la pace dove c’era un conflitto, una guerra o un semplice diverbio. Voler cambiare la realtà, diventare protagonisti del proprio tempo poteva essere forse una cosa da europei, non certo per congolesi: in Congo è pericoloso.
Francesco di Palma ha scritto il bel libro su Floribert Bwana Chui, ucciso nel 2007 perché si è rifiutato di accettare di farsi corrompere per far passare delle partite di cibo avariato che avrebbe nuociuto alla popolazione di Goma, nella Repubblica Democratica del Congno. Il libro si intitola “Il prezzo di due mani pulite“. Ieri in occasione della presentazione del libro abbiamo intervistato l’autore. Ecco il testo dell’intervista. Come la storia di Floribert può essere d’esempio anche per la società italiana? La storia di Floribert è una storia profondamente radicata in un contesto specifico, in un contesto africano, in particolare congolese. Floribert si pensava come congolese, come africano, e in fondo sognava un riscatto per il Congo e per l’Africa. Detto il suo radicamento, va però anche detto che la sua vita, il suo saper dire no a un materialismo invadente, a una sete di denaro che diventa qualcosa che ti ruba il cuore e la mente, tutto questo diventa un segno e in fondo un modello che parla al nostro mondo europeo. Se anche noi non conosciamo quella realtà violenta e tante volte sfigurata, che è il Congo, possiamo però dire che c’è una realtà arida, una realtà spietata china sul denaro, che tante volte è anche quella di noi europei. In questo contesto l’esempio di Floribert che sceglie la vita e non il denaro, che sceglie i poveri e non il guadagnarci sopra, mi sembra che anche pensando agli esempi recenti di Mafia Capitale, può essere qualcosa che ci fa riflettere e ci aiuta a scegliere per il meglio. Com’è ora la situazione in Congo? Il Congo di Floribert era un Congo appena uscito dalla guerra civile, dalle due guerre che l’avevano insanguinato. Oggi la situazione è differente per quello che riguarda il Paese: l’ovest è più pacificato, purtroppo in Kivu ci sono ancora diversi scontri; sono soprattutto milizie, ribelli che cercano di trovare notorietà o di guadagnare qualche cosa in un’opera di guerriglia, di predazione, di banditismo e questo è qualcosa che ancora va superato. D’altra parte il Congo deve ancora ricostruirsi come società più attenta agli ultimi, più attenta a tutti e di vincere quella che è la grande sfida, quella della corruzione, di grandissimi divari sociali ed economiche; un nuovo Congo che affronta sfide non belliche, ma che affronta la sfida di una società che sia più a misura d’uomo, più attenta all’uomo. Quale messaggio vuole lanciare a tutte quelle persone che si sentono sfiduciate dalla corruzione dilagante in Italia? Io non vorrei lanciare messaggi, quello che posso fare è proporre questa testimonianza di Floribert; come è stato detto oggi alla presentazione il mondo oggi è tentato dal vittimismo, dalla rassegnazione; è una tentazione che c’è in ognuno di noi ed è la reazione più facile di fronte a qualcosa che non va bene. In fondo Floribert ci insegna che c’è un grande spazio per la testimonianza personale, per le scelte personali, per un azione e un modo di agire che siano un segno...
Oggi non è domenica, ma anche se fuori programma continua la nostra campagna #2librialmese con molto di più di un post. Questa sera alle 18.00 presso la Basilica di S.Bartolomeo all’Isola, P.zza di S.Bartolomeo 22 a Roma, verrà presentato il bel libro di Francesco De Palma: “Il prezzo di due mani pulite” sulla vicenda di Floribert Bwana Chui. Giovane della Comunità di Sant’Egidio ucciso per non aver ceduto alla corruzione. Non diciamo nulla di più adesso sul bel libro, ma alcuni GxP andranno alla presentazione e ci permetteranno di seguire l’evento attraverso un livetweet dall’account twitter @gxlapace a partire dalle 18.00. Hashtag #gxplive
Dopo l’attentato di Parigi, la Comunità di Sant’Egidio e la Comunità Islamica di Sicilia hanno invitato la cittadinanza a riflettere sul dialogo tra Cristiani e Musulmani nella costruzione della società del convivere, a partire dalla vita comune nella città di Catania. Sono state organizzate infatti una serie di iniziative che hanno avuto luogo a partire da Venerdì 16 a Sabato 18 Gennaio 2015, che hanno compreso momenti di preghiera per la pace, una preghiera interreligiosa e, nella Domenica 18 Gennaio 2015, una giornata di giochi per i bambini, all’interno della suggestiva cornice del monastero dei Benedettini. La “tre giorni”, nata con l’intento di porre un argine ad un clima d’odio che sarebbe potuto nascere dalla lettura miope della tragica cronaca degli ultimi giorni, ha avuto il merito di riempire gli occhi dei cittadini di Catania dell’immagine emozionante della bellezza di una città dell’integrazione in cui cristiani e musulmani pregano, vivono e giocano insieme. Ci siamo riscoperti amanti appassionati della pace, costruttori pazienti di una città del convivere, necessaria per superare la difficoltà dei nostri tempi. -L’attentato di Parigi- come suggerisce Emiliano Abramo della Comunità di Sant’Egidio,- infatti è un campanello d’allarme che dimostra che le periferie sono vuote di proposte. Chi arriva con un’idea forte le conquista. Se a Parigi attecchisce il fondamentalismo, nelle periferie siciliane i ragazzi trovano la mafia. Ma non per questo pensiamo che tutti i cristiani sono mafiosi. Insieme, tutte le comunità religiose, devono contribuire a una città basata sulla convivenza pacifica-. E’ inaccettabile che ci si possa perdere in semplificazioni infauste sui musulmani, creando assiomi che fanno molto male a persone presenti in maniera assolutamente positiva nella vita della città di Catania e in particolare nel sostegno ai più poveri ed ai migranti durante la stagione degli sbarchi. I bambini musulmani sono nati in Italia, sono le seconde generazioni, si sentono italiani, frequentano le scuole italiane. Bisogna proteggerli da una demagogia indecente pronta ad additarli come “piccoli terroristi” o “figli di terroristi” creando una cultura d’insieme. La moschea è un luogo aperto a tutti dove si costruisce la pace e si aiutano i poveri, stranieri ed italiani, cristiani e musulmani. Il mondo in cui viviamo ci è solo dato in prestito ed abbiamo il dovere di consegnarlo ai più piccoli, migliore di come ce lo hanno lasciato, l’integrazione, anche attraverso il linguaggio universale del gioco, porta i più piccoli, di tutte le religioni, ad assimilare una cultura della solidarietà. In una società sempre più colorata stare insieme diventa cultura, e la cultura è un argine importante alla violenza. Allora perché non condividere insieme questa tensione per la pace ? Perchè non lanciare una proposta a tutta la dimensione cittadina per dare un’anima a quest’Europa delle semplificazioni e della fazioni. Perché non dimostrare che non solo è possibile ma che lo stiamo già facendo! La “tre giorni” ha visto il suo esordio Venerdì 16 Gennaio alle ore 14:00, nella Moschea della misericordia, dove centinaia di persone hanno pregato per la pace, orientati verso La Mecca,...
Ci sono tanti modi per rendere migliore il mondo, e per costruire la pace. Ci sono tanti modi per contrastare il razzismo, il disprezzo, il terrorismo. Uno di questi è la cultura. Combattere l’ignoranza, le semplificazioni che portano sempre gli uomini a scontrarsi, capire quello che succede, conoscere i problemi, per non reagire sempre guidati dall’istinto, come le bestie. Proprio per questo c’è bisogno di leggere di più. Secondo il rapporto Istat sulla produzione e la lettura di libri in Italia nel 2013 i lettori sono diminuiti rispetto al 2012, passando dal 46 per cento al 43 per cento della popolazione. Chi legge non più di tre libri l’anno è circa la metà dei 24 milioni di lettori. Di questi, coloro che leggono almeno un libro al mese, cioè i cosiddetti lettori forti, sono solo il 13,9 per cento. Dunque, il 57 per cento degli italiani non legge libri. SI CAPISCONO TANTE COSE!!! Per questo i Giovani per la Pace lanciano la campagna #2librialmese per incoraggiare i lettori del nostro blog a divenire anche lettori di libri. Non lettori forti (+ di 1 libro al mese), ma lettori fortissimi. Vi daremo una mano. Ogni domenica, a partire da questa, il nostro blog consiglierà un libro, che ci è piaciuto, che ci aiuti a entrare in un problema, che ci appassioni. Chiaramente ci fa molto piacere ricevere suggerimenti. Quale è il vostro libro preferito? Quello che consigliereste a tutti? Scrivete alla nostra email allegando una breve recensione. Potrebbe essere il libro consigliato domenica prossima. Iniziamo dal primo consiglio. Papa Francesco ha parlato molto, ultimamente, delle Scuole della Pace, anche il primo gennaio dalla finestra di San Pietro, dicendo di continuare ad educare alla pace i bambini. Per questo consigliamo a tutti la lettura di “Lettera a una professoressa” scritto dagli alunni della scuola di Barbiana, sotto la guida del grande educatore Don Lorenzo Milani. Perché non è giusto bocciare? Perché la scuola non dovrebbe “fare parti uguali tra disuguali”. Perché lo studio è considerato una noia, quando è l’opportunità principale per una vita migliore? Come si fa ad educare alla pace? La risposta a queste e altre domande in poche pagine, ma molto avvincenti, scritte da dei poveri ragazzi, ma piene di sapienza. Buona lettura!
A Capodanno ho scoperto un crocevia: in una delle poche notti in cui il freddo ha toccato Roma, quest’inverno, io ho scoperto un incrocio di esistenze sospese, un rifugio caldo per chi fino a pochi mesi, settimane o giorni prima aveva una casa. La notte di Capodanno abbiamo fatto “il giro”: abbiamo portato la cena agli amici che vivono per la strada, facendo festa e brindisi anche assieme a loro. Dal momento che alcuni pasti erano avanzati, siamo andati in esplorazione e abbiamo scoperto che nel Policlinico la sala d’attesa di notte diventa il punto d’incontro di tante storie diverse. Da luogo di attesa e di angoscia, diventa il porto sicuro per chi nelle strade dovrebbe aspettare l’arrivo dell’alba, il passaggio del freddo, sperando che la sua morsa non lo stringa per sempre, come purtroppo ancora accade anche nella nostra città. È nella sala d’attesa del Policlinico che abbiamo conosciuto Erika, che a casa non riesce a dormire da sola perché pensa al suo Mirko morto più di un mese prima proprio lì, al Policlinico. È nella sala d’attesa del Policlinico che scopriamo quanto può essere facile e banale finire per strada, come è successo a Cristiana che è venuta in Italia con la falsa promessa di un lavoro e senza i soldi per tornare in Romania dalle due figlie. È Massimo a ricordarci che tante volte è un tessuto umano disgregato, l’isolamento, a costituire la prima arma della strada: lui ci è finito perché ha litigato con la moglie e perché essendo in cattivi rapporti con il fratello non voleva farsi ospitare a casa sua. A Capodanno abbiamo scoperto un crocevia di umano che ci interroga ogni giorno. Le storie che ci hanno raccontato sono anzitutto storie di solitudine, di una società meno solidale, di famiglie e individui isolati, e tutti possiamo tutti ogni giorno combattere la solitudine, in ogni momento possiamo lavorare per ricollegare i nodi di una rete sociale (e solidale) che la diffidenza e il mito dell’autosufficienza corrodono quotidianamente. Anche questo è costruire la pace. Elena
DATA USCITA: 18 dicembre 2014 GENERE: Commedia ANNO: 2014 REGIA: Theodore Melfi SCENEGGIATURA: Theodore Melfi ATTORI: Bill Murray, Naomi Watts, Melissa McCarthy,JaedenLieberher, Chris O’Dowd, Terrence Howard,Scott Adsit, Lenny Venito, Kimberly Quinn, Katharina Damm FOTOGRAFIA: John Lindley MONTAGGIO: Sarah Flack PRODUZIONE: Chernin Entertainment, Crescendo Productions, The Weinstein Company DISTRIBUZIONE: Eagle PICTURES PAESE: USA DURATA: 102 Min Vincent, un ex militare ubriacone, giocatore d’azzardo e frequentatore di prostitute, è costretto a badare a Oliver, figlio dodicenne della sua nuova vicina, la mamma single Maggie. Le idee di doposcuola di Vincent includono ippodromi e strip club, ma alla fine la strana coppia incomincia ad aiutarsi a vicenda e il ragazzo scoprirà cose sorprendenti che non sapeva sul conto di Vincent. Questa vicenda può sembrare scontata, e forse è così. Ma da questo film si possono trarre alcuni spunti di riflessione sulla “santità” di Vicent. Infatti Vincent all’inizio può sembrare tutto meno che un santo: beve, gioca d’azzardo, frequenta prostitute e nel rapportarsi con le persone esprime un notevole senso di cinismo e misantropia. Tuttavia, come scopre Oliver, Vincent non è solo questo ma anche altro. Infatti in Vietnam riuscì a salvare alcuni commilitoni in pericolo di vita, e, nonostante le sue difficoltà, cerca di aiutare una prostituta russa quarantenne rimasta incinta e continua a visitare sua moglie, malata di Alzheimer e ricoverata in una casa di riposo, e a cambiarle il bucato nonostante lei non lo riconosca più. In più, dopo aver conosciuto Oliver, diventa per lui una sorta di figura paterna tanto da insegnargli a difendersi e a farsi rispettare dai compagni di classe che lo maltrattavano. Queste qualità, per Oliver, rendono Vincent un vero santo, tanto che Oliver lo proclama tale. Infatti Vincent, nonostante i suoi difetti, cerca di fare del suo meglio per le persone a lui care e questo fatto, pur non cambiando il mondo in larga scala, ci insegna che possiamo fare qualcosa nel nostro piccolo per migliorare la vita di chi ci circonda. Altro spunto di riflessione importante è il fatto, spesso dimenticato, che tutti i santi sono stati prima di tutto esseri umani, fatti sia di pregi che di difetti, e che forse nel mondo esistono tanti santi che, pur non compiendo imprese epocali, si impegnano per cambiare anche poco in meglio. Dario Fraschetti
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