Si è conclusa a Catania giorno 11 agosto la “Tre giorni senza frontiere”: la prima tre giorni di giochi, organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio e dai Giovani per la Pace. Il nome della manifestazione racchiude in sé il significato profondo che i Giovani per la Pace hanno voluto dare: senza frontiere; frontiere che spesso sbarrano il passaggio ai sentimenti migliori, come l’amicizia, la simpatia tra persone e popoli diversi, la solidarietà, la voglia di stare insieme e fare del bene divertendosi. Le frontiere sono anche quelle che si pongono innanzi ai tanti poveri delle nostre città rendendole inumane, quelle che rendono difficile ai migranti arrivare nella terra promessa. Le frontiere per cui si muore di speranza. Così i Giovani della Comunità di Catania e tanti altri giovani provenienti da diverse città della Sicilia insieme agli oltre ad oltre 50 Giovani per la Pace che risiedono nel C.A.R.A. di Mineo come “special guests”, divisi in squadre hanno voluto dedicare a Catania uno spazio libero dove stare insieme, vivere la fraternità, creare una reale integrazione ed affrontare tutti insieme, come una sola grande squadra, i temi che stanno cambiando la Sicilia e i luoghi dove i Giovani per la Pace sono attivi, fra tutti l’accoglienza. Infatti dopo aver gareggiato per due intere giornate, passate, la prima al mare tra giochi con l’acqua ed il torneo di beach-volley, e la seconda, per tutta la città con una difficilissima “caccia al tesoro”, tutta la comunità di Sant’Egidio si è fermata il terzo giorno per commemorare le vittime del tragico sbarco di un anno fa, che ha visto morire sei migranti africani vicino al litorale catanese. Grazie ad una petizione dei Giovani per la Pace ed alla pronta sensibilità dell’amministrazione comunale, è stata infatti posta una targa commemorativa sopra una stele di pietra lavica che ricorda le vittime del mare e tutti coloro che hanno perso la vita nei viaggi della speranza. Una piccola pietra nella città che comunica qualcosa di grande: i giovani siciliani hanno scelto l’accoglienza. Nel dubbio tra respingere o abbracciare, hanno scelto l’abbraccio: infatti il 10 agosto 2013 i Giovani per la Pace e la Comunità tutta abbandonarono loro vacanze per andare a soccorrere chi era rimasto vivo e piangere le sei persone, i cui nomi, grazie questa targa, resteranno incisi per sempre nel cuore della città. Da quel dolore i giovani di Catania hanno reagito guardando l’orizzonte verso il mare e sapendo che ci sono fratelli da accogliere, da salvare e da integrare e non problematiche sociali da evitare. Uomini donne e bambini a cui volere gratuitamente bene. Tre giorni senza frontiere ha trovato il suo culmine durante la liturgia nella chiesa di Santa Chiara a Catania che ospita la vita della Comunità, dove erano presenti tantissimi poveri della città serviti durante l’anno. Poveri e ricchi, europei e nuovi europei, giovani e anziani hanno pregato insieme come una sola famiglia. La festa finale è stato un tripudio di gioia, di felicità piena, di sorrisi complici e di fraternità vera, tra persone che hanno voluto coniugare l’utile, interessante al divertente, per dimostrare come sia possibile costruire una società migliore. Sta nascendo in Sicilia una...
Mese: August, 2014
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Anche quest’anno i “Jovens pela Paz” di Matola hanno organizzato un pranzo con gli anziani ospiti di un Istituto, gestito dall’Acçao Social, collocato accanto all’Ospedale Josè Macamo di Maputo. E’ stato possibile realizzare una giornata di grande festa tra giovani e anziani grazie al ricavato di una raccolta della Comunità degli anziani di Livorno. I Giovani per la Pace di Matola vanno regolarmente a visitare gli anziani dell’Istituto in un’amicizia che dura oramai da alcuni anni. Con il tempo gli anziani hanno iniziato a raccontare la storia della loro vita. In questo periodo di tensione in Mozambico i racconti si sono concentrati sul periodo della guerra che tutti ricordano come il più duro per loro. Alcuni l’hanno combattuta direttamente come Jao Rafael, sergente della Renamo, che racconta il momento di gioia all’annuncio della pace firmata a Roma. Ricorda che la guerra è stata lunga e che “c’è voluto molto tempo per arrivare alla firma degli accordi” e ringrazia la Comunità per il lavoro a favore della pace. Carlotta da giovane viveva a Tevela, nella provincia di Inhambane, dove lavorava nei campi e ricorda ancora i momenti in cui i soldati di entrambi le parti arrivavano in paese per prendere tutto quello che c’era da mangiare e i contadini erano costretti a consegnare il ricavato del loro lavoro. Lei aveva due figli piccoli e, dopo il passaggio dei soldati, non sapeva cosa dare loro da mangiare. Gli anziani sono stati felici per il pranzo e per la festa. Laura, un’anziana confusa che non ricorda quanti anni ha, ha ringraziato Edmilson dicendo “sono contenta che ci sono giovani che vengono a trovare noi anziani e sono felice per la vostra visita perché è il segno dell’amicizia tra di noi”. Durante la giornata si è svolta anche la visita della direttrice dell’Ação Social della Provincia di Maputo che ha ringraziato la Comunità per la vicinanza agli anziani dell’Istituto e ha invitato i giovani a tornare tutte le volte che lo desiderano.
E anche questa è andata. Ieri sera come tanti, forse come tutti i ragazzi italiani, ho trascorso il Ferragosto in spiaggia tra falò, tende, stuoie e risate; il mare placido è stato il palcoscenico scuro del bagno di mezzanotte e l’Etna sullo sfondo eruttava gioia, lapilli e lava incandescente, che tracciava una linea all’orizzonte scendendo dai fianchi neri “dda muntagna” come si dice qui. L’alba ha ridipinto il cielo da blu a rosa, e una sole sempre troppo acceso ha riportato tutti alla realtà del giorno dopo, accaldati e assonnati, colorando tutto in azzurro. Ma ieri, guardando il mare muoversi al buio, le onde bagnare gli audaci avventori che hanno provato a dormire sulla riva… ecco, ieri ho pensato, per un attimo, a quanto successo l’anno scorso. Una telefonata pochi giorni prima di Ferragosto, ci ha portato al fianco di ragazzi come noi che hanno affrontato quel mare, tanto placido quanto assassino, per cercare una vita migliore. Per la speranza. Ho ripensato ai guanti gonfiati dai volontari a mo’ di palloncini per far ridere i bambini, ancora coperti di sale e affamati, accaldati e assonnati dopo tante nottate alla deriva. Ho ripensato alle madri, ai giovani miei coetanei e in cuor mio non ho trovato differenze tra noi. Ho ripensato alle magliette incollate addosso dal caldo, proprio come ieri in spiaggia, e mi sono reso conto di quanto vicine erano queste immagini nei miei ricordi. Il 10 Agosto di quest’anno a Catania è stata posta una targa commemorativa per l’occasione. Un anno dopo si è deciso che non solo era giusto ricordare quei ragazzi, giovani come noi e alcuni anche più piccoli, morti per un sogno di pace e con la speranza nel cuore, ma era anche giusto farlo nel segno di una città che non sceglie la via più facile, la via di chi si gira dall’altra parte e ignora un grido di aiuto. Durante quest’anno, con i giovani e grazie ad essi, si è saputa creare un’alternativa d’integrazione che non reggesse su parole e discorsi sterili, ma su azioni semplici e piene di significato. Non sono apparse banali le parole del portavoce di Sant’Egidio in Sicilia, Emiliano Abramo, che ha commentato così la posa della targa: “Catania è una città che non dimentica -e non vuole dimenticare!- la storia di chi, cercando una speranza di vita migliore, ha trovato la morte. Non sono storie annegate nel mare, bensì storie che sono state consegnate a noi e alla nostra umanità. Viviamo in un tempo in cui sembra difficile accogliere, ma le difficoltà che incontriamo, ciò non hanno portato la gente da un’altra parte, e anzi, hanno messo ancor più in evidenza quel tratto umano di accoglienza.“. E non abbiamo intenzione di dimenticare quelli che per noi sono come fratelli. Un anno dopo, siamo ancora qui, con l’idea che l’accoglienza e l’incontro tra culture sia l’unica strada per mantenere viva un’umanità che va spegnendo sé stessa in inutili diatribe. “Essere giovani vuol dire tenere aperto l’oblò della speranza, anche...
Puglia, San Vito dei Normanni. A dieci chilometri da questo piccolo paesino del Salento i Giovani Per la Pace della Comunità di Sant’Egidio incontrano i rifugiati politici ospitati nell’ex villaggio turistico Green Garden. Ragazzi come tutti, ma con un passato travagliato. Vengono dalla Nigeria, dal Pakistan, dal Mali; da tutti quei paesi che, anche se meravigliosi, a causa di guerre e povertà non hanno più la possibilità di regalare un futuro sicuro ai loro giovani. Ed è in questa piccola oasi lontana dal centro abitato che i Giovani Per la Pace hanno incominciato un’amicizia con quei ragazzi che portano le ferite della guerra e del disprezzo.Questi si presentano con allegria, talvolta con il loro abito più bello, talvolta indossando semplicemente l’unico che hanno. Una volta instaurato un rapporto di confidenza e complicità con loro, alcuni profughi si sentono anche di condividere la loro tragica esperienza del viaggio della speranza verso l’Italia. Troppo spesso, quando si pensa agli immigrati, l’immagine che viene automaticamente trasmessa è quella di uomini o donne che vendono oggetti per la strada o per la spiaggia. Si evitano, si allontanano e a volte li si schernisce. Ma non si riflette mai su quello che è stato il loro viaggio, il dramma che li ha spinti a lasciare il loro paese, la loro famiglia, i loro affetti. E ancora meno si riflette su ciò che hanno dovuto passare per raggiungere l’Italia. È il caso di un giovane del Mali, Mandila, che ha voluto condividere con alcuni Giovani Per la Pace la storia del suo viaggio. “Per imbarcarmi per l’Italia ho dovuto raggiungere la Libia” spiega Mandila, “ma dal Mali alla Libia ho viaggiato in un pullman. Eravamo in trenta”. Per pullman, Mandila intende un furgoncino da undici posti massimo; e questo viaggio, da quanto racconta, è stato un inaspettato colpo di fortuna. “Molti miei amici che non hanno trovato posto sul pullman hanno dovuto viaggiare sotto i camion” dice. Poi la barca con cui lascia la Libia, l’ultima tappa del viaggio; anche lì la fortuna ha voluto assistere Mandila che, ci confida, non ha visto nessuno dei suoi compagni di viaggio perdere la vita in mare. Ma spesso i pericoli non sono nemmeno in mare. Ce lo racconta Austin, un ragazzo nigeriano di ventiquattro anni: “Il mio viaggio è durato sette mesi, di cui tre passati da prigioniero in Libia”. Contrabbandieri, trafficanti di organi, il valore della merce umana sembra oltrepassare quello della vita. Ma il timore di venire uccisi non ferma questi giovani coraggiosi; coraggiosi di sognare, pronti a costruirsi un futuro. Ce lo dimostra Austin, la cui aspirazione è quella di fare il meccanico: “Nel mio paese facevo il meccanico. Voglio continuare a farlo anche qui. È il mio lavoro, quello che so e che mi piace fare”. Ed è in questo clima di amicizia e solidarietà che i Giovani Per la Pace pregano insieme ai loro fratelli stranieri; in questo frangente cristiani, musulmani ed ebrei si ritrovano a pregare per la prima volta insieme...
Nell’atmosfera del castello Normanno Svevo, Mesagne ha ospitato il Festival della Pace, organizzato dai giovani della Comunità di Sant’Egidio; uno spettacolo all’insegna della cultura, musica e solidarietà. Ma tra le note delle varie band che si sono esibite, parte saliente della prima tappa del Festival sono state le testimonianze e le storie degli ospiti della serata. Molto interessante è stato l’intervento del professor Alessandro Distante, presidente dell’ISBEM, che ci ha comunicato la ricchezza che la comunità ha portato nel Salento. Come ha specificato il professore, la cultura del dono è un valore che i Giovani Per la Pace hanno regalato a questa terra, e che si ha la necessità di trasmettere a tutti. In particolare la serata si è svolta concentrandosi sull’importanza di un’amicizia tra giovani e anziani, una rarità che con la cultura dello scarto, promossa dalla nostra società di oggi, è andata perduta. La seconda serata del festival a Porto Cesareo ha dato la parola ai più piccoli: dopo il saggio dei bambini del gruppo SaMi e le esibizioni musicali delle band, le testimonianze di Sara, Giovane Per la Pace di Roma, e Mbaye (collegato da Catania) hanno introdotto al pubblico il meraviglioso mondo delle Scuole della Pace. Durante la terza tappa del Festival, a San Vito dei Normanni, si è parlato dei disabili; in particolare degli Amici della Comunità di Sant’Egidio, che tramite l’arte e la cucina esprimono il loro estro creativo. dopo lo spettacolo di ginnastica artistica delle bambine e ragazze della Maran Sport e l’esibizione della cantante Carola, Vito, Antonello e Michele ci hanno parlato dell’amicizia dei Giovani per la Pace con i poveri di Lecce, e della loro forte identità pugliese. L’esibizione finale del nostro amico Hunza, conosciuto durante la prima edizione del Festival, è riuscito a coinvolgere con grande entusiasmo i nostri amici africani, sbarcati il giorno stesso sulle coste pugliesi, che hanno ballato insieme a noi animando la festa. Oggi pomeriggio, con la festa degli aquiloni, con i ragazzi africani ospiti del Green Garden, inizierà l’ultima tappa del festival a Torre Santa Sabina. Il tema della serata sarà proprio quello del legame che unisce il continente africani con la Comunità di Sant’Egidio e attraverso le testimonianze di alcuni Giovani per la Pace, ripercorreremo i viaggi in Africa, che hanno rafforzato questa profonda amicizia. Giovani per la Pace di Roma e della Puglia
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