“Io rom romantica”, sognando il grande cinema

Un’affettuosa ironia è l’accento del film, come ben riassume la regista Laura Halilovic, 25enne di origini rom, alla sua prima grande opera cinematografica. È la prima commedia che parla di una ragazza rom, in modo sincero, in quanto è netta la traccia autobiografica della regista vissuta a Torino e che, scontrandosi con i tradizionalismi della cultura rom e noncurante dei pregiudizi, segue il proprio sogno: il cinema. E non un cinema qualsiasi: quello di Woody Allen, un artista schietto, che rileva sempre punti critici della società occidentale, senza moralismi, ma con ironia. A suo modo, il regista statunitense ha dato la sua benedizione artistica al film, andando oltre il livello della citazione – ma si lascia la scoperta allo spettatore. Il lungometraggio, presentato al Giffoni Festival, è stato riconosciuto come film di interesse culturale dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali.

La protagonista, come la regista, fa scelte molto determinate nella storia: non vuole fare il documentario noioso, vuole una storia; preferisce non guardare film che parlano di rom da una prospettiva esterna e distorta, ma preferisce ispirarsi a Manhattan di Woody Allen.
Il ruolo di Gioia, la protagonista, è impersonato da Claudia Ruza Djordjevic, trovata dalla regista nel campo di via di Salone, a Roma: ha subito colpito la Halilovic e lo spettatore può capire da sé i motivi. Come afferma la regista, nelle litigate con il padre è determinata, testarda e molto credibile. È questo infatti il primo scontro con i tradizionalismi della cultura rom: le donne devono indossare la gonna lunga e non i pantaloni, devono sposarsi e farsi sostenere dal marito e non devono farsi influenzare troppo dai modi dei gagè (i non rom). Il film riesce con accenni veloci e, ripetiamo, affettuosa ironia a mostrare i passaggi generazionali e l’adattarsi di una forte cultura e tradizione ai diversi cambiamenti: un popolo diventato stanziale da più di una generazione e che crea legami con i gagè. Le forti tradizioni, che poi si adattano come nella vita della regista, sbiadiscono di fronte al razzismo, costruito o meno, che emerge da solo con la propria ingiustizia e ridicolezza.
Nessun tema della trama prevarica sull’altro: l’amore, la passione per il cinema, lo scontro con la tradizione, la centralità del matrimonio per una ragazza rom, il confronto tra culture.
La sensazione è quella di guardare uno spaccato di quotidianità, nella periferia di Torino, Falchera, in cui la forza d’animo di Gioia cambia le regole del gioco.

Alessandro Iannamorelli

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