Frammenti d’anima. Dalle prime pagine del Diario in Guinea 2014

CONAKRY (GUINEA) – I viaggi suggeriscono parole uniche. Quando dici “Conakry” al gate, ti guardano come se fossi spacciatore di oppio. 

Fa molto caldo, un caldo umido. Povertà spaventosamente tangibile. In Mozambico vidi persone che desideravano cambiare, nutrivano speranza. Qui leggo molta rassegnazione sui volti delle persone. Spero che i prossimi giorni smentiscano queste prime impressioni.
All’Aeroporto di Conakry, al ritiro bagagli, la gente si accalca e lancia valigie. Disorganizzazione totale: sembra di essere in un mercato rionale piuttosto che in un aeroporto internazionale. Ti accoglie all’uscita, un odore madido di spazzatura riarsa e polvere. Le donne guineane sono molto belle, hanno tratti delicati. Su Conakry aleggia sempre una caligine polverosa dal retrogusto di diossina. Il Sole si staglia nella caligine. La Guinea ci insegna che l’attività dei Governi può determinare esiti diretti di sviluppo o di regresso. Qui siamo sentinelle di pace, in questo posto lontano.

Oggi ho conosciuto Dian, l’informatico del Centro DREAM della Comunità di Sant’Egidio. Ha la mia stessa età e molti sogni, tanta voglia di cambiare il mondo. Vorrei trasmettergli un po’ di quel sano desiderio di andare oltre ciò che viene richiesto, di usare la creatività e la fantasia. Mi ha raccontato molte cose sulla Guinea. Ha capito che lo studio è la più grande ricchezza in una Paese così povero.
L’ho preso molto a cuore. E vorrei finanziarlo con il microcredito un giorno, in modo che possa mettere in piedi la sua piccola azienda. I suoi racconti, inoltre, mi hanno fatto riflettere su quanto l’Italia sia un Paese di frontiera tra la ricchezza e la povertà; su quanto molti problemi ci accomunino, sebbene qui siano di gran lunga più accentuati. È il caso dell’Università, ad esempio: estremamente teorica, con docenti che non si tengono aggiornati e senza alcun tipo di legame e sinergia con le aziende. L’Università pubblica non dà speranza di occupazione a differenza di quella privata, spesso finanziata dalle multinazionali. Dian crede che essere fuorisede aiuti a crescere, a trovare autonomia. Nella loro famiglia hanno la cultura di restare vergini fino al matrimonio.

Bisogna anche sottolineare il fatto che la Francia – come molte altre ex potenze coloniali in Africa – non ha mai messo fine al colonialismo di tipo economico: le grandi aziende francesi, marchi, banche e negozi sono sempre qui in Guinea, inamovibili.
È un Paese, la Guinea in cui c’è totale assenza di elettricità: hanno permesso alla Costa d’Avorio di costruire centrali elettriche sul loro confine, a patto che avessero poi goduto di questa energia, ma ad oggi non è così.  Vi è assenza di energia, eccezion fatta per i gruppi elettrogeni privati. Non esiste un acquedotto pubblico, ma pozzi a domicilio. Hanno campi coltivabili a non finire e acqua. Giacimenti di bauxite in ogni dove. Raccolto quattro volte l’anno, grazie alle abbondanti piogge. Ma non investono in agricoltura e non la industrializzano. La giustizia è “fai da te”: si finisce in prigioni disumane per anni se rubi un bottone  e spesso non si viene puniti per reati molto più gravi.

C’è mancanza di speranza, di entusiasmo, di futuro. La politica se ne infischia dei problemi della gente. I Governi dovrebbero sempre partecipare allo sviluppo della gioventù ed alla loro prosperità. Se i giovani restano a casa, non lavorano e quindi non imparano e non fanno rete. Per questo, quando si può, si va a lavorare anche gratuitamente, pur di dare un senso alle proprie giornate ed alla propria esistenza.

Conakry, Guinea – Diario del 1-5/03/2014

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