Non facciamoci ingannare dalla cultura del disprezzo

 

“Università, i rom assediano i wc per lavarsi e radersi: furti e caos”. Questo è ciò che si legge all’apertura della pagina di cronaca di una testata romana che ogni giorno circola gratuitamente in tutte le metro della città e altrove. “Grido di allarme degli studenti di Ingegneria: i bagno sono impraticabili e nelle sedi regna il degrado”.

Certo è che alla vista di tale annuncio si direbbe una vera e propria invasione. E la cosa non finisce qui, perché facendo una rapida consultazione dei social network maggiormente frequentati si possono avvistare le parole di studenti vittoriosi e festanti che, all’uscita della notizia, reclamano la paternità dell’avvenuta diffusione dell’episodio. A questo punto però, scorrendo meglio le pagine del web, sollecitati dalla curiosità della vicenda un po’ anomala, si scopre che in realtà l’ipotetico fatto non sia altro che la testimonianza di alcuni ignoti ragazzi che hanno portato altri universitari alla conoscenza della vicenda attraverso una pagina social chiamata Insulted Roma Tre. Il che la dice già lunga sulla serietà della questione: su questa pagina gli studenti si divertono infatti a pubblicare insulti e inveire in modo più o meno scherzoso  contro comportamenti fastidiosi di colleghi e situazioni spiacevoli di vita universitaria.

Ed è proprio in mezzo a questo clima goliardico che sorge anche la notizia della fantomatica invasione di rom alla facoltà di ingegneria dell’università di Roma tre. Con tanto di foto scattata sul luogo dell’accaduto: l’immagine di un senza tetto che impropriamente utilizza il bagno dell’università per lavarsi e radersi.

Comportamento sbagliato, non c’è che dire. Ma anche tanto sbagliato quanto la reazione di chi, arrogantemente, si è appropriato del diritto di farne una battaglia ideologica vera e propria, diffondendo la notizia persino tra le pagine di una testata cittadina. Quando avrebbe tranquillamente potuto spiegarlo alla persona stessa,chiedendogli con grazia di avvicinarsi alla porta di uscita perché quello non era il luogo adatto per lavarsi. E magari, preso da slancio caritatevole e comprensivo avrebbe potuto consigliargli di andare con lui, accompagnandolo quindi verso un qualsiasi luogo più adatto – come per esempio la segreteria dell’istituto – dove forse avrebbero potuto trovargli una soluzione alternativa. Magari il segretario trovatosi in mezzo alla vicenda gli avrebbe volontariamente offerto la possibilità di utilizzare la toilette del personale. O in caso contrario, avrebbe potuto metterlo in contatto con le associazioni presenti sul territorio romano, che tempestivamente avrebbero trovato per lui una reale soluzione, anche di tipo duraturo. Ma questo stranamente non accade mai, perché la cultura nazionalista di cui spesso ci facciamo vanto, altrettanto spesso si dimentica di atteggiamenti di questo tipo. La via più facile sembra sempre quella di rimuovere le situazioni di disagio piuttosto che spendersi per prendersene cura e cercare di cambiarle definitivamente.  Ma è davvero questa la risposta più efficace  al “degrado”?

È vero, non molto distanti da quell’università vi sono terreni dove spesso vivono individui di origini Rom. Tanto vituperati perché a dire di tutti “la loro cultura li spinge alla delinquenza”. Anche se a ben vedere della loro cultura e del loro stile di vita si sa poco e niente, perché ci si guarda bene dall’interagire con loro, se ne ha paura. Generando un circolo di incomprensioni, che di certo non fa bene alla vita urbana.

Facendo una rapida inchiesta tra alcuni studenti però, nessuno ha mai assistito a certe brutali invasioni all’interno della facoltà. Al contrario, ad alcuni ragazzi è capitato di aver subito furti per conto di alcuni loro stessi colleghi, cosa questa che nessuno si spende di far notare all’opinione comune.

Il fatto è che non si sta facendo un discorso di tipo prettamente politico, o inneggiando al buonismo, ma si sta parlando della nostra stessa cultura. Di come ci comportiamo con chi è in difficoltà, di come si inneggia all’odio verso chi invece avrebbe maggiore bisogno di supporto e comprensione. Non ci si sta chiedendo quali siano le strutture mancanti all’interno della città, o le carenze di un sistema urbano che non offre sufficiente sostegno a chi vive in condizioni indegne. Si sta parlando delle nostre azioni, della vita e della cultura sociale che costruiamo con le nostre stesse mani. L’indignazione di Papa Francesco per il disprezzo verso i rom dovrebbe interrogarci a fondo  sull’immagine che contribuiamo a creare della nostra città. Vogliamo continuare ad allontanare da noi chi è più debole e indifeso, i rom tanto quanto i senza fissa dimora o gli anziani lasciati soli in istituto, oppure è il caso di pensare che il disagio sociale può essere superato se ci si assume la responsabilità di infrangere le barriere dell’indifferenza e della paura per prendersi  cura degli altri? Anche con semplici gesti come indicare a un bisognoso un centro in cui lavarsi e trovare dei vestiti puliti. Quella foto non dovrebbe testimoniare la povertà e la precarietà di molti, ed il loro bisogno urgente di vicinanza ed aiuto da parte di istituzioni e cittadini, invece di diventare il simbolo di una realtà da combattere e da cui difendersi?

Francesco Gnagni

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