Tamara Chikunova. Una madre per la vita

“Cari ragazzi e care ragazze”. Ecco come Tamara Chikunova., fondatrice dell’associazione “Madri contro la pena di Morte e la Tortura”, apre l’incontro del 28 novembre nell’aula magna dell’Università Lateranense. Si rivolge a un pubblico di 1600 studenti, come una mamma, e in effetti è così che la chiamano i suoi amici condannati a morte.
Una storia di rabbia, di violenza ma soprattutto di grande perdono, il perdono che ha dato a Tamara la grinta necessaria per cominciare la sua lotta contro la Pena di Morte.
Perché perdere il sonno per un condannato a morte? La sua storia comincia il 17 aprile 1999, in Uzbekistan, con l’arresto del figlio Dimitrij, condannato a morte per un delitto che non aveva commesso. Troppi sono stati gli insulti e le violenze – fisiche e psicologiche – che Tamara ha dovuto subire per tentare di salvare Dimitrij. Quella del figlio è stata infatti una condanna avvenuta con uno sporco ricatto, con una confessione falsa da firmare davanti a se e la cornetta del telefono vicino l’orecchio, con cui poteva sentire le grida della mamma picchiata dai poliziotti.
Così ha inizio il processo. Sin dall’inizio dell’udienza il giudice mette in chiaro che Dimitrij sarebbe stato condannato a morte. La sua sorte, ormai, era già stata decisa. Persino l’avvocato della difesa di Dimitrij firma dichiarazioni contro di lui. Tre giorni dopo, la notizia è resa pubblica: Dimitrij Chikunova Condannato a morte per omicidio.
I momenti per parlare col figlio sono pochi, circa un incontro al mese. Il 10 luglio 2000 Tamara va a trovare Dimitrij in carcere, ma l’incontro non avviene: quella mattina, infatti, suo figlio è uscito di cella per la sua esecuzione. Da quel giorno ha inizio la guerra di Tamara contro la società disumana dell’Uzbekistan e del mondo intero. E’ così che è nata la sua associazione, insieme ad altre donne coraggiose e “piccole” come lei che hanno voglia di umanizzare il nostro mondo.
Perché, si chiede Tamara, questa crudeltà contro suo figlio? Perché dio l’ha voluta punire? E poi l’incontro con la Comunità di Sant’Egidio e con don Marco. “ Devi perdonare tutti”, le dice.
“Avevo un problema” confida Tamara. “Non dormivo. Per mesi era come se avessi una sete dentro di me. Era la sete di vendetta. La vendetta è una cosa tremenda, ti distrugge dall’interno: non ti fa dormire, non ti fa vivere”. E come darle torto? Dopotutto la pena di morte ricorda molto una vendetta. Forse è per questo che uno stato che utilizza la pena capitale non è in grado di mantenere un ordine tra i cittadini e presenta un enorme tasso di criminalità. E’ la vendetta che si respira nell’aria, che viene promossa dalla legge. Se lo stato per primo commette un omicidio, come fa a dare l’esempio al cittadino? “ Mi dissero di perdonare” rivela Tamara. “ E ho perdonato tutti. Ho perdonato coloro che hanno picchiato e ucciso mio figlio. Ho perdonato anche quegli amici che dopo la morte di Dimitrij mi avevano abbandonata. E il giorno dopo aver fatto questo sono riuscita a dormire”.
Ed ecco che la vendetta che corrodeva Tamara viene vinta dal perdono, e così inizia la collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio per abolire la pena di morte in tutto il mondo. Il 1 gennaio 2008 la pena di morte viene abolita nello stato dell’Uzbekistan, e con lui tanti altri paesi.
La pena di morte, tuttavia, appare come un immagine lontana in bianco e nero a un ragazzo italiano. Dopotutto, la nostra legge non prevede sanzioni punitive così pesanti. Ma chi dice che la pena di morte è del tutto sparita dal nostro paese? Ebbene, Tamara risponde anche a questo: “ La pena di morte non ha confini. La pena di morte sono gli anziani sbattuti in istituto che vivono da soli, aspettando il loro ultimo giorno di vita come i condannati a morte. La pena di morte sono i senzatetto che lasciamo morire di freddo per strada”. E in effetti, a tal proposito, quale sarebbe il prezzo per salvare una vita? Una coperta? Viviamo in una società che ci vuole gretti e calcolatori, impegnati nel successo e nella carriera. Chi ha bisogno è un fallito, un soggetto estraneo da cui si devono prendere le distanze. L’umanità viene messa a tacere, lasciando posto alla violenza e al disprezzo. Ma quanto potrà durare una società così? Forse, come conclude Tamara, quello che si deve fare è solo una scelta. In che società si vuole vivere? Scegliere tra cosa conviene e cosa è effettivamente giusto, umano. Questo forse potrebbe essere un buon suggerimento per realizzare un mondo più umano, un mondo che ama la vita.

 

Laura Vesprini

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