A partire da inizio settembre a Milano hanno iniziato ad arrivare consistenti gruppi di profughi in fuga dal conflitto che infuria attualmente in Siria. Milano, tuttavia, non sembrava essere la destinazione finale, ma solo una città di passaggio per raggiungere la vera meta: l’ Europa del Nord. Poiché le autorità inizialmente non si erano accorte dell’urgenza della situazione e non avevano adottato alcuna misura, gruppi di giovani con la Comunità di Sant’Egidio si sono recati in stazione centrale. L’allarme era arrivato dall’associazione dei “Giovani Musulmani”, ragazzi e ragazze di seconda generazione che già da settembre incontravano i profughi in stazione e li proteggevano da coloro che tentavano di approfittarsi della loro disperazione. Le famiglie dormivano per terra sui mezzanini della stazione e il loro bisogno di partire li portava persino a risparmiare sul cibo. Studenti del liceo classico Carducci venuti a conoscenza della grave situazione, si sono mobilitati per prestare aiuto, alcuni raccogliendo coperte e vestiti pesanti a scuola durante il giorno, altri di sera recandosi in stazione per distribuire beni di prima necessità, e ascoltare le loro storie! Dopo alcune settimane il comune ha allestito per i profughi centri di accoglienza dove possono soggiornare prima di ripartire. Noi siamo andati due domeniche di seguito a trovarli per capire meglio che cosa avevano passato in Siria e per farli sentire un po’ meno soli e dimenticati in un paese straniero. Ci ha molto colpito la storia di Alì, un giovane siro-palestinese di 17 anni, scappato da Damasco. Ci ha raccontato che nella capitale il suo quartiere era stato assediato, la sua scuola bombardata ed era impossibile viverci. Tuttavia, come tutti, Alì non avrebbe mai voluto lasciare il suo paese, ma si è trovato costretto a causa della situazione. Molti, come lui, sono doppiamente profughi: scappano, infatti, dai campi profughi palestinesi sorti in Siria dal 1948. Noi ci auguriamo che Alì e tutti gli altri profughi riescano a raggiungere la meta che desiderano senza correre il rischio di essere bloccati alle frontiere!
Mese: November, 2013
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I giovani non trovano lavoro, non hanno opportunità, né vale la pena per loro darsi da fare, in tempi di crisi. La crisi impoverisce i giovani, in tutti i sensi. Oppure, c’è una speranza e la realtà, a partire da quella giovanile, non è così tragica. Il pessimismo, in verità, è una profezia che si avvera da sola. Avvertite anche voi che i giovani sono la speranza del futuro? Riportiamo una breve lettera al Corriere della Sera del nostro amico Massimiliano, pubblicata il 25 novembre, per cercare di dare insieme una risposta. Oltre la crisi Non più bamboccioni Condivido l’articolo di Giovanni Belardelli (Corriere, 23 novembre) che osservava che la crisi ‘ormai è dentro di noi’ e invitava a ‘rompere la spirale di un pessimismo che rischia, inevitabilmente, di autoavverarsi’. Sono dottore di ricerca e ricercatore (precario) in un’università romana. Conosco un po’ l’ambiente universitario, anche perché coordino le attività della Comunità di Sant’Egidio tra i giovani di Roma. Mi capita sempre più di vedere ragazzi pronti a imparare e faticare, ben diversi dallo stereotipo dei bamboccioni di qualche anno fa. Riscontro un fermento, che è come la spia del loro desiderio di mettersi in gioco, di aiutare e di rischiare. Anche la recente inchiesta del Censis indicava una ripresa della voglia di impegno civile e di adesione a iniziative di solidarietà, nonostante la crisi. Percepisco insomma quelle ‘energie vitali’, evocate da Belardelli sulla falsariga di Chateaubriand. Mi pare che queste energie, poco visibili, se non oscurate da tanti altri fenomeni negativi, ci permetteranno di guardare con speranza il futuro. Massimiliano Signifredi Roma
La potenza del tifone Haiyan è arrivata a noi con la notizia straziante della lunga scia di morte che si è lasciato dietro. Con la sua furia, il tifone Yolanda (così lo chiamano nelle Filippine ndr) si è abbattuto in Micronesia, Vietnam, Cina e, in modo particolare, sulle Isole Filippine. Dal Sud-est asiatico sogni, speranze, fatica e sacrifici di una vita sono stati spazzati via in un niente: gettando un popolo nell’abisso della disperazione. Genitori che hanno perso i propri figli, bambine e bambini orfani, legami spezzati dalla forza distruttrice del ciclone. Non un semplice fenomeno naturale, nel Pacifico si verifica qualcosa di più particolare: nel Pacifico il male opera nella storia e segna tragicamente il cammino di un popolo. Un fatto, drammatico, che ha subito interrogato i Giovani per la Pace spingendoli a fermarsi per pregare insieme agli amici della comunità filippina a Catania e nei piccoli centri di Riposto e Francofonte. Nella sofferenza nessun popolo, nessuna nazione, nessun uomo può essere lontano dal cuore dei giovani della Comunità di Sant’Egidio. Da qui la necessità di pregare per estendere un abbraccio ai popoli colpiti da Haiyan, lontani geograficamente ma più vicini a noi grazie agli amici filippini che da diversi anni vivono in Sicilia e ancor di più grazie al volto di Dio che abbiamo davanti nella preghiera. La preghiera dei Giovani, è diventata l’occasione per accogliere e incontrare quanti erano spaventati e colpiti dalla tragedia e per alleviare il senso di impotenza che tanti hanno avvertito nel momento della catastrofe. Davanti ad un male così grande e così terrificante si è trovata una risposta nella forza debole della preghiera, dove tutti troviamo sentimenti nuovi e parole di consolazione. L’amicizia, per i Giovani per la Pace è dunque consolazione, l’amicizia è interessamento per le vicende umane, per i drammi vissuti da tanti, anche lontano da noi. Per questo nella preghiera gli amici della comunità filippina hanno trovato conforto. Sono proprio loro a dire “Grazie per questo invito alla preghiera: siamo entrati in questo affetto e in questa generosità”. Le loro parole ci confermano nuovamente come un amore gratuito verso gli altri edifica e costruisce ed è in grado di arrivare là dove le nostre forze incontrano un limite. Un’amicizia disinteressata e orientata all’altro genera stupore e si muove in direzione opposta a quello che normalmente accade, si muove in direzione opposta all’indifferenza: “non ci aspettavamo tutta questa vicinanza” ci hanno detto. Ma la preghiera ha anche liberato energie positive interrogando e spingendo tutti a vivere una dimensione più ampia del noi. Con la preghiera insieme ai giovani amici filippini si è aperta una pagina nuova, allargando l’orizzonte dei Giovani per la Pace e spingendoci a comprendere che è necessario un interessamento di ciascuno alla sofferenza di tanti vicini a noi, nelle nostre città proprio perché tutti hanno diritto ad essere consolati. Allora sulle belle preghiere di Catania, Torre Archirafi e Francofonte si potrebbe concludere dicendo che alleviando il dolore dell’uomo o della donna vicino, migliaia attorno a questi...
Guardando l’ immagine la mente ritorna agli anni più cupi della storia umana contemporanea, ricordi di un passato violento,ingiusto, inumano. Nonostante gli errori, le ingiustizie compiute dall’ uomo, la storia ideologica si ripete. Questa volta l’ odio ha trovato terreno fertile in una Grecia, una volta culla della cultura e della civiltà, indebolita e priva di speranza. La storia ci insegna che le grandi crisi economiche possono provocare la venuta del cosiddetto “uomo forte”, cioè di colui che con un’ azione rivoluzionaria e non priva di violenza proietta la nazione verso un disegno profetico. E questo è ciò che è accaduto e accade tuttora sotto gli occhi di un popolo allo stremo delle forze. Alba Dorata, partito di estrema destra, si impone nel panorama nazionale a partire dal 2010. La sua ascesa è inevitabile poiché, di fronte all’ incapacità dello Stato di reprimere i malesseri collettivi, spetta a quest’ ultimo ripristinare l’ordine perduto. In che modo? Cito un esempio semplice ma terribilmente efficace a smuovere i consensi di un popolo. I militanti di Alba Dorata più volte scesero in strada e distribuirono gratuitamente beni di prima necessità (pasta, acqua) ai bisognosi, ai disoccupati, agli oppressi. I discorsi patriottici, la rivalsa verso un’ Europa nemica dello stato greco, il valore della nazionalità pura (non infettata dal sangue straniero) e il conseguente ripudio verso il diverso hanno generato un cultura fondata sull’ antisemitismo, sul terrore, sull’ antidemocrazia. Agghiaccianti alcune dichiarazioni del leader di Alba Dorata Nikólaos Michaloliákos. Il 15 maggio 2012 egli affermò in un’ intervista: « Auschwitz? Cos’è successo ad Auschwitz? Io non ci sono andato. Voi? Non c’è stato nessun forno e nessuna camera a gas. E’ tutta una menzogna. Ho letto parecchi libri che hanno messo in dubbio la cifra propagandata di sei milioni di ebrei uccisi nei campi di sterminio. Hitler fu una delle più grandi personalità del ventesimo secolo» Potrei elencarvi decine di discorsi simili o forse peggiori. Non è mio interesse farlo. Basta questo al lettore per comprendere la natura criminale di questo partito e la demagogia che mette in atto costantemente. Il problema di questo fenomeno socio-politico non è rappresentato dalle parole di un uomo solo o da un gruppo ristretto. Qua si sta parlando del 19% dei greci ( quasi 1 su 5) che si riconosce in queste parole. Perché l’ Europa è paralizzata di fronte ad un caso così eclatante? Forse in nome del principio democratico da rispettare senza se e senza ma? O forse per indifferenza e scettiscismo nell’ ascesa al potere di questo partito? In ogni caso l’ omertà è veleno per una Grecia che si troverà ad un bivio. Vedremo sorgere una nuova Alba colma di odio e disprezzo oppure il cielo conserverà la sua limpidezza e umanità? Confidiamo nonostante tutto nella più grande civiltà della storia che insegnò per prima il valore della libertà, della democrazia, della cultura. F. L.
“Sono italiano! Sono africano! E, come vedete, sono nero! E sono fiero di essere quello che sono. Ma soprattutto sono un essere umano!” Cosi apre la sua testimonianza Maurice, ventiseienne della Costa d’Avorio, sopravvissuto alla traversata del deserto del Sahara, ad un naufragio e giunto a Lampedusa; sorte fortunata, o oseremmo dire, benedetta , rispetto ai tanti immigrati che purtroppo in questi giorni ci hanno lasciato. Con queste parole sincere e coraggiose si apre il secondo appuntamento di “Parole di uomini, Parola di Dio”, organizzato dalla comunità di Sant’Egidio, che ogni mese si incontra per discutere sul valore di alcuni temi secondo le scritture e la nostra esistenza da uomini. Oggi vedremo come alla parola ODIO/INIMICIZIA si possa rispondere “ Facendo il bene” e “Riconoscendoci tutti fratelli, perché figli di uno stesso padre”. “Noi stranieri dobbiamo ringraziare l’Italia perché ci ha accolti” – ribadisce Maurice, ricordando quei 3 lunghi giorni di interminabile cammino nel deserto, mentre era costretto a lasciare sulla sabbia, stremati, tanti compagni di viaggio – “Molti non ce la fanno. Durante il viaggio vedi ai tuoi lati corpi umani, ma non puoi fermarti, devi andare avanti se vuoi sopravvivere”. Racconta ancora di come, dopo 2000 km, si sia visto proporre per la grande traversata una piccola barchetta trasandata di circa 250 posti, mentre lui e i suoi compagni di viaggio, erano più del doppio: “Quando arrivi lì devi per forza salire! Sono armati!”. Conclude sobriamente e umilmente il suo “esodo” raccontando dell’arrivo a Lampedusa e della felice accoglienza che ha ricevuto dalla Caritas di Frosinone.“Dio mi ha fatto conoscere molte persone buone!” – cosi risponde ai tanti amici che gli domandano come faccia a vivere con delle persone che “lo insultano, lo picchiano, lo discriminano” (gli italiani). “Mi piace l’Italia perché non posso lamentarmi! Però è ancora dietro al razzismo!” – Inizia, allora, un accorato appello ai tanti universitari operanti nella comunità presenti in aula, perché è dai giovani che le cose devono cambiare – “Non sono sporco, sono nero! Sono una creatura di Dio! Se dici cosi allora anche Dio deve essere sporco!” – “Tu credi in Dio? E non ami suo figlio perché è nero?” – “Se io vi dessi per un solo giorno la mia pelle, non ve lo scordereste mai per quello che vivreste!”.La sua testimonianza è sincera, umile e si estende anche al tema dell’interculturalità e all’apertura alle altre culture, viste come ricchezza: “Dovete togliervi dalla testa che siete superiori ai neri e che gli altri non possono insegnarvi niente!” – afferma con rammarico, lui che ora è allenatore di calcio ai bambini di Strangolagalli, la cittadina in cui ora vive felicemente. “Dovete approfittare delle altre culture; solo cosi potete accrescere le vostre conoscenze” – “Rispetto e un po’ di affetto! Solo questo chiediamo noi stranieri! Devi dirci che tu sarai la nostra famiglia!”.La sua è una fede forte, e ce lo dimostra rispondendo al tema ODIO, con la parola PERDONO: “Ho imparato a perdonare, ho imparato a pregare, ma non imparerò mai a fare finta di essere ciò...
La crisi / Le crisi, installazioni, dipinti, video-opere e testi di persone con disabilità. Mostra promossa dai Laboratori d’arte della Comunità di Sant’Egidio. Si è inaugurata oggi la mostra La crisi / Le crisi, che sarà ospitata per l’intera settimana presso la facoltà di Giurisprudenza di Roma Tre. Cercheremo in quest’articolo di riprendere le parole di chi è intervenuto. Potete scaricare l’audio dell’evento dal link in fondo all’articolo. La mostra è il risultato di una accurata documentazione su argomenti del nostro tempo con una particolarità: nessun artista si è qui abbandonato al pessimismo, proprio perché l’arte permette di alzare lo sguardo. La crisi / Le crisi, mostra promossa dalla Comunità di Sant’Egidio, ha visto la partecipazione di tante associazioni e cooperative. L’ateneo Roma Tre, oltre ad essere un luogo di cultura in quanto sede universitaria, ha sempre dimostrato una sensibilità nei confronti della disabilità, iniziando dall’abolizione delle barriere architettoniche. La mostra in questo luogo è più che mai significativa. È peraltro un onore per l’ateneo ospitare un segmento di un ciclo di esposizioni che sono state ospitate alla Biennale di Venezia e alle Scuderie del Quirinale. L’arte come espressione personale, di ricchezza interiore, fa emergere qui un mondo di sentimenti e aspettative, altrimenti sacrificato nelle nostre società. Si scorge una profondità di pensiero sorprendente, in cui si danno letture originali della crisi. Parlar troppo della crisi porta spesso a conclusioni banali, ma non parlarne potrebbe sortire effetti ancor più pericolosi. Si scoprono diverse dimensioni dell’uomo: ecco che La prima crisi, titolo di un’opera, diventa la discordia tra Adamo ed Eva. Si scopre la sofferenza dell’altro, in un mondo diviso: La casa al centro reclama i diritti del popolo rom. La questione centrale risiede nel non perdere l’umanità in tempi di crisi. L’etimologia greca della parola crisi restituisce il significato di giudizio, non a caso. L’artista Maurizio Valentini, della Comunità di Sant’Egidio, esprime il suo pensiero attraverso la fotografia. Del suo percorso artistico si menziona la partecipazione a I/O è un Altro, special project di César Meneghetti. Stay tuned on this blog, visitate questo blog in questi giorni: saranno pubblicate immagini e parole dalla mostra! Si estende l’invito ai lettori di Roma: La crisi / Le crisi Università degli Studi Roma Tre – Facoltà di Giurisprudenza via Ostiense, 161 18-22 novembre 09.30-18.00 Premiazione delle opere scelte dalla giuria popolare Venerdì 22 novembre, ore 11.00 – aula 9 È possibile votare sul luogo o sul gruppo Facebook dei Giovani di Sant’Egidio – Roma Tre (https://www.facebook.com/giovanidisantegidioroma3?fref=ts) a cura di A.
A conclusione di un lavoro che ha impegnato i suoi artisti con disabilità insieme a quelli di numerose associazioni, cooperative, case alloggio, etc… i Laboratori d’arte della Comunità di Sant’Egidio organizzano una serie di mostre dal titolo “La crisi / Le crisi” che avranno luogo in alcuni quartieri della città di Roma. Attraverso dipinti, installazioni, video-opere e testi, ciascuna esposizione vuole offrire un contributo di riflessione sulle situazioni di crisi sia del presente che del passato, cogliendo quei segni che lasciano intravedere una luce di speranza sul futuro. Vi aspettiamo dal 18 al 22 novembre presso L’Università degli studi Roma Tre, via Ostiense 159. Inaugurazione lunedì 18 novembre ore 16,30 aula 4. http://www.santegidio.org/pageID/3/langID/it/itemID/8019/Inaugurazione_della_mostra_La_crisile_crisi.html Non perdere anche i prossimi appuntamenti!!
Oggi parleremo di un argomento che a noi Giovani per la Pace sta a cuore perché alcuni di noi sono stati in Mozambico, perché ventuno anni fa la pace è stata raggiunta grazie all’impegno della Comunità, perché in Mozambico ci sono circa 100 comunità tra città e realtà locali, perché l’amicizia con questo paese è nata proprio sul tema della pace e ci ha aperto il cuore sull’Africa. Parlo di Mozambico, però, perché sono preoccupata. La Frelimo e la Renamo si sono combattute per quasi vent’anni in una sanguinosa guerra civile, finché la Comunità di Sant’Egidio, non ha deciso di porsi come mediatore, riuscendo a raggiungere dopo 2 anni di trattative la pace. A seguito dei Trattati di Roma (4.10.1992), l’esercito è stato unificato e in Mozambico si sono tenute elezioni libere e democratiche, che hanno portato al potere la Frelimo, mentre la Renamo riusciva a ottenere delle vittorie politiche locali (soprattutto nel nord del paese). La democrazia ha permesso che il Mozambico divenisse uno dei paesi più ricchi ed emergenti dell’Africa, meta di turisti, ma anche di tanti profughi che fuggono dalle guerre e dalla povertà. Dai giornali ho appreso che il 21 ottobre l’esercito ha attaccato la base della Renamo a Gorongosa, dove il capo del partito, Afonso Dhlakama, era rifugiato da circa un anno e da cui è fuggito verso un luogo ignoto. Sta bene, secondo le dichiarazioni di alcuni giornalisti del giornale mozambicano O Paìs, che l’hanno incontrato, così come sta bene la popolazione, fuggita prima dei bombardamenti. Ho quindi letto su diverse testate che Afonso Dhlakama non riconosceva più i trattati di Roma, per poi leggerne l’esatto contrario circa quattro giorni dopo (il 25 ottobre). Ho pensato, allora, di parlare con qualcuno che è continuamente in contatto con il Mozambico e i Mozambicani, per avere un’immagine più chiara della situazione; pertanto, ho intervistato la professoressa Chiara Turrini, responsabile della Comunità di Sant’Egidio in Mozambico. Redattore: Dai giornali italiani abbiamo letto dell’attacco del governo alla base della Renamo, ma è scoppiata così improvvisamente la tensione o c’erano già dei presupposti? Chiara Turrini: Sì, dei presupposti c’erano già perché la Renamo ha chiesto di cambiare la legge elettorale in vista delle elezioni municipali che ci saranno e il 20 novembre e le nazionali che ci saranno il prossimo anno e purtroppo non hanno trovato un accordo sulla riforma della legge elettorale. Si erano create da alcuni mesi due delegazioni, una del governo e una della Renamo, per provare a fare un tavolo di dialogo ma purtroppo non è stato trovato l’accordo, fino a che sono cominciati… Degli incidenti c’erano già stati dopo Pasqua di quest’anno nell’ultimo tratto di autostrada, che è la strada principale che collega il Nord con il Sud, vicino a Beira. R: Quali potrebbero essere le cause delle tensioni? Sono semplicemente politiche o c’entrano anche i giacimenti di gas recentemente scoperti? CT: In Mozambico hanno trovato molte ricchezze naturali negli ultimi anni, il carbone, il gas… Io penso che sì, ha a che...
Voci da Lampedusa: “In quel viaggio terribile, sono stato trattato come una bestia. Ma sono africano, immigrato. Un essere umano!” Ciao a tutti! Nell’ultimo mese l’isola di Lampedusa è tornata tristemente alla ribalta per le stragi al largo delle sue coste: stragi di uomini e donne che, come tutti, cercano un futuro migliore per le proprie famiglie, sfuggono dalla guerra e dalla miseria, cercano un’alternativa – in alcuni casi – all’uccidere o all’essere uccisi. Partono prevalentemente dall’Africa subsahariana, e ultimamente da Siria ed Egitto (per ovvi motivi); attraversano il Sahara, stipati su pick-up o a piedi; trascorrono un periodo più o meno lungo in Libia, perché rinchiusi in una prigione o perché devono guadagnarsi i soldi per pagarsi la traversata del Mediterraneo, che avviene sulle “carrette del mare”: pescherecci piccoli e stipati di gente fino a scoppiare (o affondare). Infine arrivano in Italia e cosa trovano? Due centri di accoglienza e pratiche lunghissime, con dei funzionari italiani che devono decidere se era abbastanza grande la sofferenza da cui scappavano, se era abbastanza reale il rischio di essere uccisi o dover uccidere, per dargli lo status di rifugiato. Se non hai sofferto abbastanza, puoi tornare a casa. Quelli che arrivano, però, sono già dei sopravvissuti. Non solo, per i paesi da cui fuggono, ma perché sopravvivono a un viaggio tra i cimiteri: il cimitero del Sahara e il cimitero del Mediterraneo; solo nel secondo, dal 1988 sono morte almeno 19.372 persone. Perché parlo di tutto questo? Perché martedì 12 novembrealle ore 19:15 nella Basilica di San Bartolomeo all’isola Tiberina avremo la possibilità di ascolta Maurice, uno di questi uomini coraggiosi e fortunati, un ragazzo della Costa D’Avorio che ha guardato in faccia la sete, la sofferenza, i maltrattamenti insieme a tanti suoi coetanei, dei quali molti non ce l’hanno fatta. A seguire ricorderemo le tante vittime dell’inaccoglienza e dell’indifferenza. E rifletteremo insieme sull’odio e sull’inimicizia, come radici della sofferenza di tanti. Perché non è giusto guardare dall’altra parte, quando tanti muoiono e soffrono. Elena
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